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Rabbia cieca o un malessere profondo? Le proteste contro il lockdown

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Le proteste andate in scena nelle piazze italiane sono un sintomo inequivocabile di sfiducia e malessere diffuso nella società italiana.

A partire dall’ultima settimana di ottobre migliaia di persone si sono rovesciate nelle strade di tutta Italia, al grido “Libertà!” e “Se ci chiudi ci paghi!”.

Ristoratori, piccoli imprenditori, titolari di palestre, tassisti, insegnanti e studenti si sono coordinati attraverso i social e hanno organizzato manifestazioni nelle piazze di Trieste, Torino, Milano, Genova, Firenze, Roma, Terni, Salerno, Napoli, Catania, Siracusa e Palermo.

A differenza di altre grandi proteste dall’inizio della pandemia i manifestanti non negano la pericolosità del virus e hanno manifestato indossando le mascherine.

“Ci mancherebbe, se io fossi oggi dall’altra parte sicuramente avrei motivo di dolermi” ha risposto Conte subito dopo le prime proteste a Napoli, “[…] proverei rabbia nei confronti delle misure del governo”. Assicura che le nuove misure saranno “sufficienti” e “adeguate” a mitigare il danno economico che un secondo lockdown – perché un lockdown si sta profilando –infliggerà al Paese.

Sprecati mesi preziosi

Si è atteso la seconda ondata di contagi autunnali, che a detta degli epidemiologi e dello stesso governo era prevedibile, invece di investire nelle strutture pubbliche fondamentali a garantire il distanziamento sociale. Si è preferito rattoppare le mancanze di personale e di strutture con banchi a rotelle o con misure meno stringenti negli ambienti pubblici non a norma.

Se per la prima volta in un decennio il governo ha elargito aiuti, questi sono arrivati in maniera sgangherata, lasciando scoperta la grande fetta di popolazione che già non godeva di alcuna garanzia. Col bonus vacanze, si sono favoriti i tanto sconsigliati spostamenti non essenziali, tentando di tenere a galla un sistema economico che si è retto per anni sul turismo di massa. Senza badare ai lavoratori del settore, per lo più giovani senza regolare contratto. Le regole del lockdown si sono dimostrate incoerenti, cieche alle realtà locali e sufficientemente ambigue da instaurare un clima di terrore.

Riguardo agli atti di vandalismo e di violenza avvenuti parallelamente o dopo le proteste, Conte ha ammonito contro le “infiltrazioni di professionisti che sfruttano il dolore reale della gente”. Infatti, il Viminale e le autorità locali si erano affrettate a bollare le proteste di Napoli come infiltrazione camorristica, salvo poi ritrattare quando le proteste hanno preso piede in tutta Italia.

Molte speculazioni sull’identità dei piccoli gruppi di giovani che hanno attuato con molotov e bombe carta vere e proprie guerriglie urbane. Se siano frange di estrema sinistra, destra, e/o ultras. Anche se i fatti di Catania, dove gli scontri si sono svolti fra diverse anime della protesta e non contro la polizia, lasciano intuire che la verità potrebbe essere ben più sfaccettata.

Più preoccupante è forse il fatto che centinaia di migliaia di persone abbiano rischiato la propria salute e quella dei cari per manifestare il dissenso e che centinaia di giovani vedano talmente pochi sbocchi da considerare la violenza un’opzione praticabile.

Pare che tutti, incluso il premier, si dispiacciano dei danni umani ed economici che il coronavirus continua a causare, come se non fossero frutto di mesi di malagestione delle risorse pubbliche e delle arbitrarie misure anti-contagio.

Non è quindi da stupirsi se i primi a manifestare sono stati i commercianti di Arzano, in Campania, dove il tessuto sociale è fatto di piccole realtà interconnesse, tra le province di Napoli, Caserta e Benevento. I commercianti si sono espressi chiaramente sulla minaccia che le restrizioni sullo spostamento interprovinciale pongono alla sopravvivenza economica della zona.

E con loro, il resto d’Italia trattiene il fiato per questa richiusura dell’attività quotidiana, rimarcando che il lavoro fatto ad oggi è fin troppo poco scientifico.

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