Il Tazebao – Siamo dinnanzi ad un cambio della guardia, almeno nel campo della comunicazione politica. Le tornate elettorali europee, che in Italia raramente riescono ad eguagliare i risultati d’affluenza di quelle nazionali, possono essere adoperate come conferma o rimessa in discussione degli esiti nazionali, d’altronde la funzione che riveste il Parlamento Europeo non si presta a molto di più. Da questo punto di vista, le elezioni europee non sono particolarmente diverse da quelle che gli statunitensi definiscono le Midterms, con la differenza che, mentre negli Stati Uniti tenere un’elezione dopo l’insediamento del governo può servire a potenziare o smorzarne l’efficacia; in Italia, invece, queste si prestano a scopo puramente sondaggistico.
Il dato da cogliere resta la totale lealtà degli elettorati nei confronti dei partiti di governo o di opposizione, qualunque risultato inaspettato è fondamentalmente giustificabile o con il travaso verso aree programmaticamente affini o con la bassa affluenza, che ha giocato un ruolo nel gonfiare la percezione di forze politiche minoritarie (si guarda certamente con curiosità a come sapranno adoperare questa nuova percezione per stabilizzarsi sulla percentuale apparente).
Questo dato è importante, poiché il programma che attualmente dispiegano le forze governative è un programma autodefinitosi “Conservatore”. Questo termine, dal sapore fortemente anglosassone, ha ritrovato felicità a seguito del progressivo abbandono del termine “Sovranista”. Non meravigliamoci, l’attuale paradigma economico e politico è fondamentalmente ostile alle ideologie, di conseguenza i partiti adoperano gli aggettivi con cui si definiscono con la stessa cura adoperata dai settori del commercio e del marketing nei confronti di quella che viene definita la costruzione del brand, si tratta di costruire un’immagine aziendale che risponda bene agli interessi dei propri acquirenti; ciò è tanto vero nel marketing quanto nell’attuale politica. Da questo punto di vista potremmo definire conservatori e campolarghisti degli autentici Ferragni di Montecitorio.
Va chiarito a questo punto che il Sovranismo non si è propriamente estinto, sopravvive e si sovrappone alle stesse forme di pensiero che da una ventina d’anni hanno adottato in Italia i comunisti, ovvero si nutre di un idealismo magico, secondo il quale esisterebbe una folla oceanica di popolo in attesa che una forza politica degna riporti un vero sovranismo/comunismo in politica. Il limite del Sovranismo è stato quello di voler ideologizzare un’istanza singola. Il termine nasce politicamente per definire chi nelle tornate elettorali precedenti proponeva euroscetticismo (scelta retorica comunque felice, è sempre meglio usare un termine propositivo piuttosto che uno oppositivo a qualcosa) contrapposto alle forze canonicamente europeiste. Questo termine ha trovato ampio consenso tanto tra i partiti leggeri ed elettorali quanto tra le comunità militanti, che di solito trovano il loro grande limite proprio nella soglia di sbarramento. Vi è stato, di conseguenza, un tentativo da parte del popolo della periferia politica di stringere sodalizi con le forze istituzionali, che raramente tendono a durare in quanto l’elettorato moderato è tendenzialmente spaventato dalle forze militanti con un pesante e marcato universo simbolico. Mentre le forze istituzionali, allora, chiudevano ogni collaborazione o si disassociavano con le comunità militanti, politicamente svantaggiose da frequentare in quanto associate mediaticamente a violenza politica o situazioni ai limiti della legalità, reali o fittizie; vi è stato dall’altra parte un tentativo maldestro e nuovamente sovrapponibile alle categorie di ragionamento dell’estrema sinistra di “realizzare il vero Sovranismo”. La scommessa era puntare su un presunto elettorato deluso dalle svolte moderate dei partiti di governo, proponendo un programma che ripresentasse il tema sovranista per riscuotere consenso elettorale. Le elezioni europee hanno messo pesantemente in crisi questa narrazione: non esiste un elettorato in cerca di progettualità vecchie, riattualizzate o estremizzate (alla bisogna), o tuttalpiù non ritiene che chi si adoperi in questa direzione sia credibile o capace di rappresentarle.
Con ciò, la stagione politica del Sovranismo e del Populismo, definita precocemente Terza Repubblica, chiude il sipario mentre il bipolarismo tanto dileggiato da chi ora lo riabbraccia si stabilizza. Mentre ci accomodiamo nuovamente in quella Seconda Repubblica che, troppo ottimisticamente abbiamo abbandonato, cerchiamo di trarne una lezione.
Pretese di parlare a “tutto il popolo” sono destinate perennemente a fallire. La politica riproduce le forme dello scontro e necessita di identificare dei nemici tangibili, non astratti, fumosi e inquantificabili come l’élite intesa populisticamente; se una proposta populista diviene impopolare si verifica un’implosione interna ed una crisi di identità dalla quale è altamente difficile tirarsi fuori senza emorragie importanti. Con questo sarebbe sciocco sputare nel piatto da cui si è scelto di mangiare, la proposta di questo articolo è di recuperare i problemi reali a cui il Sovranismo offriva una risposta, ma porli non come un pretesto per andare oltre le categorie tradizionali di destra e sinistra, che ancora oggi sono vitali e necessarie, ma come delle questioni da risolvere sviluppando una progettualità, ideologicamente sensata e radicata. Il limite del laboratorio sovranista è stato quello di impantanarsi sui temi come punto di partenza per fare aggregazione, senza mai una volontà esplicita di svilupparli per non alienare chi proponesse una soluzione a discapito di un’altra. Ciò di cui abbiamo bisogno invece è proprio di delineare la risoluzione dei temi del Sovranismo come un punto d’arrivo, a cui giungere con uno sviluppo concreto, una progettualità precisa e programmaticamente sensata di una proposta politica. Un modello politico che non sortisce il risultato desiderato può avere due limiti, il non essere stato elaborato correttamente, o il non aver raccolto correttamente i dati necessari a combaciare con la realtà, una raccolta di dati parziale può sempre condurre a falsi positivi. L’onestà ha la tendenza a premiare chi riconosca con franchezza un problema, consentendogli di iniziare finalmente a risolverlo.