Il Tazebao – In un articolo uscito oggi sul sito del Ministero degli Esteri della RPD di Corea, viene fatto notare come «nei Paesi capitalisti, il Primo Maggio è contrassegnato da raduni e manifestazioni per aumenti salariali, soluzioni al problema della disoccupazione e migliori condizioni di lavoro». Difficile contestare questa sintesi: La Nazione di Firenze ha parlato in un articolo dell’«anno rovente delle vertenze» e dei familiari delle vittime della strage di via Mariti che ancora chiedono giustizia, fino a un’inchiesta sulla ricostruzione di una vita che ha rischiato la rovina proprio per un’incidente sul lavoro. L’INAIL, inoltre, ha pubblicato dei dati agghiaccianti per i quali dal 1990 a oggi tre persone muoiono in media ogni giorno per incidenti sul lavoro. Non è però questo l’unico problema, né tantomeno esso si circoscrive a un ambito locale: pochi giorni fa l’Eurostat ha rivelato che in Italia il 9% dei lavoratori full time vive in povertà (+8,7% rispetto al 2023), una percentuale che sale al 10,2% se si considerano tutti quelli impiegati per almeno metà dell’anno; per fare un raffronto, in Germania tale percentuale si attesta al 3,7% e in Finlandia al 2,2%. Solo in Spagna si sta leggermente peggio: 9,6%, dove però è diminuita, seppur di poco, la povertà dei lavoratori sia full time che part time (-0,1%). Crollano, nel (fu) Belpaese i salari reali, confermando i dati del 2022 e del 2023 e scendendo al di sotto dei livelli del 2008 (-8,7%), il che rende, secondo il rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, l’Italia il Paese peggiore del G20. Non sarà quindi un Primo Maggio tanto di festa, quanto, e dovrebbe esserlo assai di più, di lotta. Anzitutto per la sopravvivenza. (JC)

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