Il primo di un terzetto di approfondimenti sulle questioni sociali che stanno esplodendo: gli italiani senza casa come obiettivo del nuovo modello politico Nomadland. Le prime occupazioni.
«Avevo tredici anni e non sapevo che il mondo era diviso: non sapevo che il campo che lavorava mio padre era di un altro; che la macchia tagliata aveva un altro padrone; che la legna portata a casa nei giorni di freddo era un furto, e che gli uomini quando dicevano ‘la nostra casa’, ‘i nostri campi’, ‘la nostra macchia’, dicevano una bugia»
(Pompily, 1944)
Il Tazebao – La realtà è sempre un passo avanti, più avanti delle narrazioni artificiali, mentre il ritardo della politica fotografa la misura della distanza sempre più incolmabile. In assenza di alternative, espulse dal mercato, che è sempre artificiale, sottoposte a contratti da fame che non emancipano dal bisogno, alcune persone, poche per ora, cittadini che, in quanto tali, hanno il diritto a vivere e ad abitare, hanno iniziato ad occupare le case convertite in affitti brevi.
Succede in quel di Gavinana, zona di Firenze non propriamente a vocazione turistica ma già tappezzata di b&b, a testimonianza della penetrazione orizzontale di questo nuovo modello di vita momentanea che sta smantellando l’abitare. Non è un modello economico, è un modello politico: la precarizzazione delle vite, una sforbiciata dalla qualità di vita, un’ulteriore riduzione dei numeri. La dismissione porta anche a questo.
È una tendenza consolidata l’estensione del modello turistico alla prima periferia o all’ex periferia. Sintomatico il caso dell’Isolotto, sempre a Firenze. Tra i palazzoni in cemento spunta Starbucks, che prelude alla trasformazione dell’utenza, all’arrivo di monopattini e trolley, alla fine dell’identità popolare. Le tramvie non sorgono a caso, anzi anticipano e accompagnano la trasformazione del tessuto umano e sociale, verso una città a residenza zero.
Il caso fiorentino ha una sua genesi precisa: i lavori per Firenze Capitale, con lo sventramento del centro e l’espulsione dei ceti popolari oltre la cintura dei viali, cioè delle vecchie mura. Le stesse mura dove oggi sorgono i nuovi studentati “di lusso”, piazzeforti – quello di Belfiore una colata di cemento apertamente ostile al panorama e all’estetica – che confermano lo sconfinamento oltre il centro patrimonio “dell’umanità”.
La questione della casa si ripresenta prepotentemente, in ogni città d’Italia. Sembra incredibile ma nel 2024, in una democrazia che si specchia nella sua compiutezza, sempre più italiani sono senza casa. Secondo una ricerca dell’annus horribilis, il 2021, erano almeno 500 mila gli italiani senza casa. Non vi è dubbio che siano cresciuti ancora e oggi siano molti di più. Non solo quelli ritualmente esclusi, quelli che affollano i sottopassi, le Cure ne sono un esempio, o le stazioni come Termini. Non fa scandalo, anche se dovrebbe.
Dal 2020 a oggi, una larga parte della popolazione, neppure troppo a rischio prima, non ha più la stabilità di una casa. Prezzi alti, cioè prezzi artificialmente alti, anche perché le banche sono piene di immobili, mutui inaccessibili, garanzie inarrivabili e completa riconversione in affitti turistici “brevi”, cresciuti in modo esponenziale. Questa fetta di popolazione crescerà sempre di più. Episodi come quello di Firenze o di Padova si moltiplicheranno.
Come porsi di fronte a tutto questo? È necessario un salto di qualità nell’azione politica e nella lotta, che non può ridursi ad azioni dimostrative. Bisogna entrare nella carne viva, avere il coraggio di andare nei posti, di fare ispezioni, di chiedere incontri perfino a chi occupa, per capire cosa spinga a sfidare la legge. Occupazioni e proteste, insomma, vanno lette politicamente, come segnale di una contraddizione che sta esplodendo. Non bisogna però farsi risucchiare negli ingranaggi del divide et impera: piccoli proprietari, pauperizzati (quindi già espropriati), contro inquilini e affini. Senza lotte reali, il dissenso è destinato a restare un rumore di fondo. Sempre più tollerato perché indolente. Gruppuscoli inoffensivi perché scollegati, dunque autoreferenziali. L’idea socialista è il solo tramite tra l’avanguardia intellettuale e un popolo italiano – non “la gente” -, che ha bisogno di impegno e risposte.