Dissenso? No, antagonismo

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Considerazioni a margine del primo giorno della rassegna “Il velo di Maya”, promosso a Perugia da Officina 451, Fronte della Primavera Triestina, Artverkaro Edizioni.

Il Tazebao – Il grande Malcom X descrisse perfettamente la condizione degli afroamericani che vivevano negli slums: questi uomini erano abbrutiti a tal punto da usare, per comunicare tra loro, espressioni come “i’m zzz” (dormo) o “gnam” (ho fame), riprese dai fumetti. Negli slums non hanno sentito “l’elegia americana”. Il potere ci sta portando lì, con la dismissione, una categoria che ben descrive lo stato attuale di una ex potenza manifatturiera. È pur vero che il dissenso è forte. È diffuso ed è anche giovane. Ci sono anche le donne, perché la società comunque è cambiata. Ribaltando la vulgata, il dissenso sembra essere forte, soprattutto in Italia; forse l’Italia è il paese dove esistono più realtà e sigle del dissenso. Certo, vincere aiuta a vincere. E quella del dissenso italiano è una storia di sconfitte. Per non trovarsi tra altri tre anni allo stesso punto di oggi – punto e a capo – serve un salto di qualità nella maturazione politica. Come si legge nel pregevole quanto poco conosciuto La tribù delle talpe (non delle marmotte), che risale alla fine degli anni ’70: «Ribellione e ricerca dell’unità devono andare insieme. Il nemico vuole dividerci per colpirci, noi dobbiamo unirci per continiare la ribellione». Seguendo lo spunto di Matteo Brandi, occorre impostare una piattaforma nazionale di lotta su temi dirimenti in grado di coagulare la conflittualità presente. Questo non è esercizio di dissenso ma antagonismo, l’unica leva per reintrodurre libertà di pensiero e spazi di autonomia. Tre fronti possono essere particolarmente fertili. La casa, vista la drammatica espulsione di abitanti dalle città, dai centri storici in particolare, che porta alla fine di un modello tutto italiano basato sull’abitare un luogo, in opposizione a Nomadland. La terra, poiché in pochi decenni è già tornata in mano agli eredi dei conti e dei padroni a cui era stata ‐ faticosamente – tolta con le lotte socialiste e le riforme agrarie. Ci sono due libri da leggere: La terra non è nostra e Malamente di Erasmo Pacini, che ripercorre lo svuotamento delle campagne della Maremma (amara come in quel canto popolare), l’abbandono dei casali poi convertiti all’industria turistica, le plebi agricole inurbate, il lavoro nelle fabbriche, che oggi non ci sono più. Terzo: la scuola, l’università, che hanno smesso di essere una leva per la promozione sociale ma anche per l’elevazione spirituale, altrimenti la classe dirigente tenderà a perpetuarsi, senza ricambi o simbiosi. Questi problemi sono diversi ma identici a Perugia, ne “La Dotta” e “La Censoria” Bologna, a Firenze. Ovunque in Italia. Il Tazebao può essere il giusto raccordo e il contenitore. Qualcuno deve pur essere avanguardia, vedere in anticipo, dire tutto chiaramente.

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