Torna, dopo un po’ – troppo? – tempo sul Tazebao, Francesco Borgognoni.
“Sous le pont Mirabeau coule la Seine…”
“Se vedi il tuo amico abbracciato al tuo nemico, vuol dire che hai due nemici. Uno palese e l’altro occulto”.
Il Tazebao – Il dibattito sviluppatosi in Italia, sul ruolo dell’Europa e sulla posizione dell’Italia stessa dentro un ipotetico processo di pace, che coinvolga stabilmente la Russia, merita una considerazione che tenga conto della distribuzione delle forze presenti nel Parlamento della Repubblica. La sinistra italiana, infatti, pesantemente coinvolta, assieme a quasi tutti i governi europei, nel sostegno economico e militare all’Ucraina, ha subito una pesante sconfitta elettorale, che ha avuto come conseguenza il governo di Giorgia Meloni. La vittoria del centrodestra, in linea con quanto è avvenuto in Francia e poi in Germania ha aperto uno scenario affatto diverso da quello ipotizzato all’inizio di questa avventura militare, con ancora Biden presidente degli USA. Uno scenario che poi si è drammaticamente scomposto con la sconfitta elettorale di Kamala Harris e la affermazione di Donald Trump.
Conseguentemente la narrazione del politically correct, prevederebbe la rappresentazione del nostro paese come marginale rispetto ai processi dell’Europa che conta, dove Francia, Germania ed Inghilterra – che non fa parte della UE, ma questo è un dettaglio – sarebbero la genuina espressione di una forma compiuta di democrazia occidentale e di un corretto svolgimento del governo della cosa pubblica. Argine fermo al dilagare dei sovranismi e dei movimenti di destra e destra estrema. Monito costante, inoltre, alle espressioni del voto popolare non “conforme”, come il caso Romania dimostra, e sentinella vigile sui governi “non affidabili”, Ungheria e Italia in testa, secondo i contenuti dell’ormai famigerato Manifesto di Ventotene, che non a caso il nostro premier ha posto al centro del dibattito politico.
Avanti, quindi con la esterofilia, male italiano ormai datato e con il tentativo costante di contrapporci al governo Europeo, anche aldilà delle differenze esistenti. Non viene sopportata, soprattutto a sinistra, la vicinanza del Governo all’alleato americano e non viene persa occasione per evidenziare una presupposta contraddizione di interessi tra l’agire europeo, quello statunitense e quello italiano. Una alleanza, si dice, rappresentata dall’Italia in modo servile e subalterno. Assistiamo ormai da tempo ad una crisi di nervi, che sfiora la gelosia e che ci vorrebbe fare sbagliare. Naturalmente ci sarebbe la fila in Europa a prendere il nostro posto e surrogare la nostra funzione.
In questo teatro, non è senza interesse osservare per un vecchio laico come me, come la sinistra italiana, unificatasi nel PD con il partito del Vaticano, abbia finalmente compiuto il suo cammino e che dalle “convergenze parallele” di Aldo Moro e attraverso i governi Amato, Prodi, Monti, Draghi e Conte sia finalmente pervenuta nella posizione di rappresentanza compiuta degli interessi stranieri più variamente organizzati in attività aliene da ogni forma di interesse nazionale.
Perché questo?
Perché non si deve stare con l’Italia, perché non la si deve difendere, perché non ci si debba sentire parte integrante del suo destino? Si dice che il fascismo abbia scavato un solco tra la patria ed il suo popolo, generando un rigetto non più superabile. Ed in questa affermazione c’è indubbiamente una verità. Tuttavia questa verità meriterebbe qualche precisazione.
La Patria di Benito Mussolini, quella della celebrazione dell’Impero, delle leggi razziali e della subalternità ad Hitler non era l’Italia dei patrioti che l’hanno fatta. Non era la Italia dei carbonari, né quella degli eroi della Repubblica romana del ’49. Non era l’Italia di Giuseppe Garibaldi – che si rivolgeva al papa con un epiteto non riferibile -, non era l’Italia del libro Cuore né quella della classe dirigente post-unitaria, che chiuse i ghetti, permise la costruzione di sinagoghe e luoghi di culto non cattolici, che consegnò il governo di Roma, della città del soglio di Pietro ad un Sindaco come Ernesto Nathan.
Tutte esperienze chiuse dalle squadre fasciste, dalla messa fuorilegge dei partiti e della massoneria e dalla realtà del Concordato.
Nel secondo Dopoguerra, l’ecumenismo cattolico – l’abito della domenica della negazione della patria – incontrò l’internazionalismo proletario nella versione Togliattiana – modalità raffinata di mantenere un partito stalinista in ambito occidentale e al di qua del Muro – e iniziò un viaggio senza ritorno. Almeno per le nostre generazioni.
Mentre decidiamo che l’Europa deve riarmarsi, non sarebbe male decidere quale Europa vogliamo. Se quella delle Nazioni di Macron o qualcosa di simile a quella delle Regioni vagheggiata da Spinelli. Quella dei “glocalismi” intelligenti, capace, secondo alcuni, di rappresentare maggiormente l’interesse dei cittadini. E, magari, aprire un confronto su welfare, sviluppo industriale e ambiente. Un confronto animato anche dalla volontà di fare pesare le esigenze quotidiane delle popolazioni dell’Europa.
Siamo ancora lì. Mentre davanti ai nostri occhi va in scena la condanna di vite senza opportunità e diritti reali ed il contorcersi di percorsi umani di esseri mantenuti nell’oscurità della ignoranza e sospinti verso le strade della degradazione.
Che dire? Affidiamoci alla speranza. Tutto sta mutando repentinamente attorno a noi. Forse, se ci attrezziamo a capire, se impariamo a sopravvivere in maniera consapevole, possiamo sperare.