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Melancolia § I del Maestro di Norimberga: una panoramica sulle interpretazioni (parte 2)

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Il Tazebao è lieto di pubblicare, in tre puntate, la tesi di Rosario Gullì su Melancolia § I di Albrecht Dürer. Questa la seconda parte in cui l’autore entra più nel dettaglio sul bulino magistrale.
L’interpretazione più affermata e accolta dalla critica: Klibansky, Panofsky, Saxl

Partendo dal contesto culturale descritto nel capitolo precedente, in questo paragrafo tratteremo i risultati dello studio condotto da Erwin Panofky nel suo ampio e articolato studio Saturno e la Melancolia del 1964, scritto in collaborazione con R. Klibansky e F. Saxl.

Questo testo non era certamente il solo in cui Panofsky si fosse dedicato al maestro di Norimberga, bensì il terzo in ordine cronologico, dopo La vita e le opere di Albrecht Dürer e Dürer e la Melencolia I, quest’ultimo scritto insieme a F. Saxl.

Di questi primi testi P. riprende le tematiche trattate, estendendole e approfondendole, anche alla luce di nuovi scritti in letteratura, in precedenza non inseriti nella riflessione critica.

La base argomentativa su cui si sviluppa la teorizzazione interpretativa di KPS è la cultura iconologica ed astrologica, estrapolata dal sostrato presente nella società del tempo, e quella neoplatonica, di derivazione fiorentina, attraverso l’influenza di autori contemporanei come Marsilio Ficino e, soprattutto, Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim, i quali maggiormente hanno determinato un ascendente considerevole sulla cultura dell’epoca.

Quest’ultimo autore è determinante per la concezione interpretativa del bulino come raffigurazione della dolorosa presa d’atto di una insufficienza, come anche ipotizzato da P. nella sua precedente monografia.

Non solo, KPS riprendono, anche in questo caso ampliandole e sviluppandole, le tematiche già percorse dalla scuola di Würzburg, degli studi di Gielhow e Warburg, di cui loro stessi sono stati eredi e depositari.

Vengono pertanto esplorate: la figura del melanconico per com’era rappresentata nelle stampe popolari contemporanee e precedenti al tempo del Dürer; le figure astrologiche e mitologiche legate a Saturno, astro della melanconia e dio dei miti greci connesso strettamente alla figura del melanconico; la teoria dei quattro umori e dei quattro temperamenti (uno dei quali è proprio quella del melanconico, collegato all’umore della bile nera o “atra bile”) che diventano dei capisaldi della tesi interpretativa degli autori.

Lo studio di KPS approfondisce lungamente la figura di Crono/Saturno, andandone a indagare, anche in termini letterari e illustrativi, le caratteristiche che questo astro/dio determinava nel melanconico.

I singoli elementi della composizione in KPS

In questo paragrafo andiamo ad esplorare quali significati sono stati ipotizzati per i vari elementi presenti nella composizione düreriana.

Chiavi e borsello

La riflessione di KPS parte da un’annotazione che Dürer stesso ha lasciato su un foglio in cui è presente lo schizzo del putto: «La chiave significa potere, la borsa ricchezza».

Quest’affermazione è per gli autori emblematica e determina con certezza il legame con la tradizione astrologica e umorale medievale, ciò in quanto connessi direttamente alle caratteristiche individuate in quel tempo nel carattere melanconico in qualità di avaro e sordido, e quindi implicitamente ricco, il cui potere è strettamente collegato al possesso e al denaro.

Ciò si lega indissolubilmente, secondo questa visione, alla figura del mitologico Saturno/Crono, in qualità di distributore di ricchezza, inventore della moneta, tesoriere e artefice della prosperità secondo la gerarchia planetaria della tradizione, nonché governatore dei poveri e umili così come dei ricchi e degli avari.

Testa reclina, pugno chiuso e faccia nera

La tematica in merito a questa simbologia inizia con il prendere in considerazione la rappresentazione pittorica, che nei secoli si è tramandata, relativamente alla classica posa del sofferente con la testa reclina appoggiata sul palmo della mano, ritrovabile anche nei ploranti sui sarcofagi egizi.

Tale posa però, secondo KPS, «può anche significare fatica o pensiero creativo». Con questa “triade” di significato così esplicita, diviene, in tale ottica, naturale che l’artista abbia utilizzato nella sua composizione una simile posa.

L’innovazione sostanziale che il maestro apporta a questa posa, così ampiamente nota, è il connotarla con un pugno chiuso anziché con la classica mano morbidamente aperta e indolente. Tale atteggiamento, secondo la lettura degli autori, sottolinea ulteriormente il carattere melanconico della figura in quanto segno e sintomo della ben nota avarizia di tale temperamento.

Inoltre, il pugno chiuso viene ora interpretato anche come simbolo della concentrazione della mente che ha colto un problema e che, nella sua incapacità di dipanarlo o di lasciarlo andare, lo trattiene a sé.

Un grande rilevanza viene invece data al viso oscurato della figura femminile alata in posa “melanconica”.

È in questo viso in ombra che vi è, per gli autori, il contenuto emozionale dell’incisione.

Questo elemento è recuperato dalla tradizione del melanconico saturnino individuato, degli scuri o neri d’aspetto (facies nigra propter melancholiam), già dagli antichi e comunemente riportati nella letteratura medica medievale così come negli scritti astrologici e nei trattati sui quattro temperamenti.

Il maestro, secondo questa visione interpretativa, innova tale antica descrizione utilizzandola nell’espressione di un’emozione o di uno stato d’animo, trasformandola in un’atmosfera.

Le arti liberali, la Geometria, il cane e il putto

A preambolo della trattazione relativa alle simbologie presenti nella composizione e che vengono legate alle arti liberali, in particolare alla Geometria, KPS ripercorrono in modo esteso l’iconografia che riguarda dapprima la le illustrazioni a stampa che avevano come soggetto la condizione del malato di melancolia.

Similmente ripercorrono anche l’iconografia descrittiva dei caratteri peculiari dei quattro temperamenti (flemmatico, melanconico, sanguigno e collerico) presenti nella letteratura contemporanea e precedente, comprendendo nella trattazione le illustrazioni dei libri francesi del Quattrocento ed anche il noto frontespizio degli Amores di Konrad Celtis, opera anch’esso del maestro tedesco.

Pur se di contenuto differente, KPS legano tali raffigurazioni, non tanto per il contenuto quanto per la concezione e fruibilità artistica, alle allegorie figurative delle arti liberali, ritrovabili a partire dall’arte della Grecia classica, ma soprattutto da quella Romana, legata com’era alla pragmaticità dei mestieri nonché nell’arte successiva medievale, soffermandosi in particolare sull’arte della Geometria.

Tra gli esempi di raffigurazione di quest’arte liberale è presente anche la xilografia della Margarita philosophica di Gregor Reisch del 1504, ove quest’arte si trova raffigurata come una figura femminile di fronte a un tavolo pieno di figure geometriche, sia piane che solide, e con in mano una sfera ed un compasso, oltre ad essere circondata da scene di lavoro di vario genere.

KPS sottolineano come anche nella composizione düreriana siano presenti, sebbene in ordine sparso, molti degli strumenti riferiti alle occupazioni di quello che può essere definito il typus Geometrie, sebbene, a differenza di quanto raffigurato tradizionalmente per quest’arte liberale, la figura femminile, predominante nel bulino magistrale, non sia attiva ed energica ma mancante di occupazione, non utilizzando alcuno degli strumenti intellettuali o manuali a sua disposizione.

In tal guisa, la figura si avvicina maggiormente al typus Acediae, presente nelle illustrazioni popolari dell’inattività melanconica.

Una sintesi di tale trattazione risulta nella ipotesi di trovarci di fronte alla rappresentazione di una raffigurazione «della Geometria che si abbandona alla melanconia o quella della Melancolia con la passione della Geometria», ma il cui significato «va ben oltre la semplice fusione dei due tipi», combinando l’eccellenza intellettuale di un’arte liberale con la capacità di soffrire dell’animo umano e per un tale motivo, secondo KPS, questa raffigurazione «poteva prendere solo la forma del genio alato».

Per KPS il cane ed il putto sono “figure sussidiarie” al genio alato e hanno la funzione di sottolinearne i tratti tragici e umani.

In particolare, il cane dormiente (tipico animale legato a Saturno) viene visto come il simbolo della cupa tristezza di una «creatura abbandonata al suo inconsapevole agio o disagio», mentre il putto è tutto operoso ed intento a scarabocchiare, sebbene in modo infruttuoso perché «incosciente e non ancora gravato dal tormento del pensiero».

Il pipistrello, la veduta marina, la ghirlanda ed il quadrato magico (Mensula Jovis)

Differentemente dalla trattazione dei precedenti simboli, la creatura alata o pipistrello, che nella composizione ha anche la funzione di cartiglio per il titolo dell’opera, è un elemento originale introdotto da Dürer.

Ciò in quanto non vi sono riferimenti iconografici a cui possa essere associato, bensì è estrapolato da soli riferimenti letterari, ad esempio Orapollo, e anche in tal caso esso è collegato simbolicamente ai melanconici.

Secondo altri testi invece è riferito alla veglia notturna, alla vigilantia.

Anche la veduta marina sullo sfondo viene collegato da KPS a Saturno, per mezzo del mito astrologico secondo cui il dio fuggì per mare e quindi considerato signore del mare e dei naviganti, responsabile delle maree e delle inondazioni.

A lui sono anche collegate le “comete saturnine”, astri che “minacciano il mondo” con il dominio della melancolia, oltre a preannunciare le alte maree.

I due successivi elementi che KPS prendono in considerazione sono la ghirlanda sul capo della figura femminile alata ed il quadrato numerico, presente sulla struttura muraria/torre alle sue spalle.

La loro visione di questi elementi è vista nell’ottica di un controbilanciamento, di palliativo, contro l’influenza negativa dell’astro melanconico.

La ghirlanda è costituita dall’intreccio di due piante acquatiche, il ranuncolo acquatico e il nasturzio officinale, che essendo piante legate all’acqua vanno a contrapporsi alla natura terrestre e asciutta del temperamento melanconico.

Similmente, il quadrato numerico è un talismano legato a Giove, sostituto matematico delle immagini di divinità astrali della magia bianca che «contiene in sé tutte le forze benefiche del temperamento saturnino».

Gli attrezzi e le geometrie

Per KPS tutti gli strumenti da lavoro presenti in ordine sparso nella composizione si rifanno alla raffigurazione della Geometria e stanno a simboleggiare l’occupazione che pratica “l’arte della misurazione”, sia auto che etero referenziata.

Il compasso che la figura femminile tiene in mano in modo indolente sta a simboleggiare «il fine intellettuale unificante che sta alla base della grande varietà di arnesi e oggetti» e che insieme alla sfera e agli strumenti per la scrittura rappresentano integralmente la pura Geometria.

Mentre altri elementi come la struttura edilizia (in costruzione?), la sagoma per la modanatura, la squadra e il martello stanno a rappresentarne l’applicazione pratica e manuale.

«Il poliedro rappresenta la geometria descrittiva»

Gli altri strumenti richiamano professioni quali il carpentiere, il falegname, i costruttori, agli orefici…e che KPS collegano direttamente alla melanconia saturnina”.

La bilancia, la clessidra e la meridiana

Questi elementi richiamano in modo chiaro e distintivo, secondo la visione di KPS, la concezione che lo stesso Dürer possedeva della Geometria come scienza per eccellenza, il cui fine è «la misura, il numero e il peso», concezione che egli richiamerà anche nel suo trattato sulla pittura.

Per il maestro, quest’arte della misurazione rappresentava la sola potenza in grado di «assicurare agli artisti il dominio sulla natura» e sulla loro opera; potenza che per il maestro rappresentava il fine e l’essenza della capacità artistica stessa.

In tal senso, riflettendo su questo concetto düreriano di potenza, KPS ricollegano questi strumenti, questo loro aspetto simbolico, a quello della chiave presente nell’opera e descritto in precedenza.

KPS vedono nel putto, esempio di attività senza pensiero, anche la raffigurazione della componente pratica dell’arte, a contrapposizione ed integrazione della più teorica e metafisica, rappresentata figura femminile melanconica, che in tale visione è l’incarnazione dell’arte fondata su misura, numero e peso.

Il significato espresso da KPS nel rilevare come Pratica e Arte, così personificate, siano a tutti gli effetti separate ha delle tonalità cupe e deludenti, in quanto è visto come un infelice momento di separazione che nega e mette in dubbio il raggiungimento del successo dell’operare dell’artista.

Il significato della Melencolia § I per KPS

La lettura di KPS crea l’immagine di una nuova tipologia di melanconia che, dal Medioevo al Rinascimento, viene “redenta” in una nuova forma la cui visione è più positiva che in passato.

Da ciò che nel Medioevo era definibile come “Melancolia poetica”, determinata da una “tristezza senza causa”, si passa quindi alla “Melanconia generosa”, nuova figura simbolica, per il tramite del “furor melanconico” di platonica, ed allo stesso tempo aristotelica, derivazione, legata indissolubilmente alla genialità del melanconico influenzato dall’astro ambivalente di Saturno.

In tale concezione depressione ed entusiasmo sono viste e interpretate come le due facce di una stessa medaglia, come parti contrapposte di una stessa identità e disposizione d’animo.

Nonostante però una simile concezione nuova della melancolia, l’interpretazione ultima si riflette nell’idea di frustrazione del genio artistico, consapevole dell’impossibilità ad elevarsi al livello più alto del dominio del pensiero, che appartiene solo al filosofo.

La prospettiva interpretativa di Maurizio Calvesi e la sua visione cabalistico-alchimistica

Di visione completamente differente è invece Maurizio Calvesi, che, dapprima con un articolo per Storia dell’Arte con titolo A noir (Melencolia I) del 1969 e poi successivamente con un saggio degli anni ’90, in cui riprede le fila di quanto esposto nell’articolo ampliandone il respiro e la trattazione attraverso un’indagine approfondita delle fonti, pone come fondamento della sua esegesi la tradizione cabalistico-alchemica ed è in tale ottica che l’ambigua e molteplice simbologia del bulino magistrale viene studiata e interpretata.

I singoli elementi della composizione in Calvesi

Nel presente paragrafo andiamo a trattare l’interpretazione che C. fa dei vari elementi presenti nell’opera e che tende a raggruppare in base al valore di senso che questi acquisiscono nella loro interrelazione reciproca.

Il quadrato magico, il putto, il cane, il parallelepipedo, la sfera e la ruota

Così come il processo alchemico ha come meta finale l’Unità, l’opus alchemico tende alla circolarità, al ciclo.

A dare testimonianza di questo concetto, secondo la visione di C., troviamo nella composizione düreriana i simboli del compasso, della ruota di macina, della sfera ed anche il cane acciambellato a terra, assimilato quest’ultimo ad un traslato dell’ouroborus alchemico, il serpente che si mangia la coda in un ciclo di morte e rinascita infinito.

Allo stesso modo, la ruota di macina, indicata anche da Jung come simbolo alchemico fondamentale e che ha la finalità della sublimazione, è associata a Mercurio, che non solo è inteso secondo la simbologia antica ma anche alchemicamente come l’elemento della nigredo/melancolia.

Per mezzo di tale associazione, C. interpreta il putto alato, secondo lui sonnolente, come incarnazione di Mercurio che non a caso è seduto al di sopra della ruota, sua corrispettiva.

Inoltre, C. allude a una possibile ulteriore lettura del cane, posto ai piedi della ruota, come Mercurio «anziano, morente e degradato».

Per estensione della figura circolare, troviamo, in quest’ottica, poi nella composizione una sfera, immagine perfetta dell’«unità prima e ultima», simbolicamente, in senso alchemico, rappresentante la pietra filosofale.

Diversamente, il parallelepipedo è in questo caso non una rappresentazione della Geometria descrittiva, sebbene tanto cara al maestro tedesco, bensì, alchemicamente, alla pietra spezzata, alla roccia rotta, associata alla nigredo, primo grado da cui l’opus ha inizio.

La figura femminile, la scala e l’arcobaleno

Nella figura femminile l’autore vede una simbologia che diverge in modo significativo da quanto esposto da KPS.

In primis per C. la corona, o serto, non sta ad indicare uno dei rimedi alla melancolia ma mantiene il valore di coronamento per il raggiungimento dell’opus alchemico che avverrà nel futuro, simbologia sottolineata anche dalla presenza delle ali sia della donna che del putto alle sue spalle.

Il fatto che la corona sia composta da piante viene vista sotto la luce della sottrazione del melanconico alla “nigredo” in senso cosmologico-alchemico. Sotto questo punto di vista la corona, di cui è cinta la figura, sebbene colta da “nigredo”, corrispondente alla prima fase dell’opus ma anche al primo degli umori, la melanconia diventa il simbolo della futura vittoria.

Anche gli elementi accessori indosso alla figura vengono viste sotto un’ottica positiva, di speranza e di promessa.

Per C. la scala sta ad indicare tutte le fasi che aspettano l’alchimista/artista per giungere all’opus, la borsa simboleggia la ricchezza del futuro mentre l’arcobaleno sta a rappresentare la promessa della riuscita alchimistica. Come sette sono le operazioni per ottenere l’opus, il numero dei pianeti conosciuti dall’alchimia e anche i metalli, allo stesso modo la scala può avere sette pioli che indicano la progressione dell’opus alchemico.

Come in KPS, anche C. richiama la nota frase del Dürer: «La chiave denota il potere, la borsa denota ricchezza».

Partendo dal richiamo numerico che nella composizione si ripete più volte, C. si cimenta in una elaborazione numerologia a partire dalla cabala, scienza che è affine all’alchimia.

Fa notare l’autore come i numeri tre, quattro e sette si ripetano più volte in base alla simbologia introdotta nella composizione. Della scala tre pioli sono parziali e quattro interi, quattro sono gli elementi presenti sulla torre/costruzione alle spalle della figura, quattro i settori per ciascun lato del quadrato magico, 34 il suo numero rappresentativo, quattro i chiodi e dodici gli oggetti sparsi a caso per terra, quattro le figure animate.

Trattando poi il quadrato magico, anche per lui individuabile nella mensula jovis, questo rappresenta, in senso allegorico, la fase alchimistica successiva e pertanto denota la fine della nigredo/melanconia, testimoniata anche dall’apparizione dell’arcobaleno che, insieme alla cometa, per quanto intesa come sole nero, rinviando alla figura del sol niger della nigredo, simboleggiano la coniunctio dei due elementi del fuoco e dell’acqua, principali agenti della trasmutazione alchemica.

La torre, la bilancia, la clessidra e la meridiana

In tale visione cabalistico-alchimistica di C. è chiaro ed immediato associare alla torre, presente alle spalle della figura femminile, l’athanor, la fornace, luogo fondamentale dove avviene il processo alchemico. Non a caso vi sono collocati tutti i necessari strumenti di misura. Di questa fornace, il quadrato magico è individuato come esserne lo sportello.

Il significato della Melencolia § I per Calvesi

L’insieme dei vari simboli che C. tratta nella sua disamina rappresentano una visione nuova rispetto a chi lo ha preceduto, grazie anche all’inclusione nella sua riflessione di aspetti emersi in conseguenza degli studi nel campo della psicologia, come quelli di C. G. Jung.

Il bulino düreriano viene pertanto visto come la descrizione simbolica e metaforica di tutto quel processo alchimistico che deve portare, attraverso le quattro fasi e i sette processi che la contraddistinguono, alla realizzazione, «attraverso un intenso travaglio», dell’opus, simbolo dell’Unità universale, in un ciclo perpetuo ideale di distruzione e rinascita.

In tale accezione l’arte è quindi vista come un dar forma attraverso la lavorazione della materia e della progettazione mentale in una figurazione di imitazione del divino.

Nota suggestiva poi il fatto come, oltre a tutto ciò, C. faccia osservare come l’acquaforte, inventata dallo stesso Dürer, sia assimilabile alla aqua fortis alchimistica, detta anche acqua mercuriale, nel suo valore di trasfigurazione della materia.

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