L’Italia verso i prossimi mercati

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Il Tazebao – La vera urgenza è questa: ristrutturare l’economia italiana per far fronte al nazionalismo economico – da non escludere una stretta monetaria -, introdotto dal tycoon populista Trump. Continuare a vedere in Trump un “alleato” rischia di essere un errore fatale. Gli osservatori più acuti vedono sempre più nitidamente una minaccia nell’abbraccio russo-americano. Un attacco a tenaglia: la Russia, da un lato, avanza militaramente a danno dell’Ucraina – meriterebbe una seria riflessione la scelta di una guerra così lenta -, l’aggressione economica, dall’altro, completa l’opera di dismissione dell’industria europea avviata sotto Biden (e per quanto riguarda la Germania fin dal Dieselgate); in quest’ottica, il tentativo di occupare la Groenlandia – è risibile sostenere che per “difendersi da Cina e Russia” occorra violare la sovranità di uno Stato europeo “alleato” – serve per accorciare le comunicazioni con Putin, il quale – proprio in questi giorni – si è recato a Murmansk, la città della Rotta dei Pomor. Come Tazebao, pur mantenendo un approccio assolutamente non ostile al popolo e alla cultura russa – c’è qualcosa di indecifrabile che lega la Russia e i suoi grandi all’Italia – e, di contro, molto critico rispetto al regime di Kiev, complice la sua vicinanza all’antisemita Bandera, perché il nazionalismo è sempre foriero di mali, vogliamo mettere in luce i fatti per come sono. Per il bene del nostro Paese. Essendo una potenza manifatturiera di trasformazione, l’Italia ha bisogno di un costante flusso di import e di export così da garantire il benessere della sua popolazione. Soffre, al pari di Germania, Turchia o Giappone (il nascente blocco con Corea del Sud e Cina è molto promettente), per il clima di incertezza e sfiducia. Ad ogni modo, le colpe sono anche all’interno: è stato un errore puntare troppo su filiere fragili quali turismo – si sprecano gli esempi dei danni prodotti dalla monocoltura turistica -, moda e vino, a discapito di altre, complice la cronica arretratezza del ceto imprenditoriale e la scarsa visione della borghesia nostrana. Sono tendenze accentuatesi dopo la pandemia. Ugualmente, ha mostrato tutta la fragilità la spinta verso la digitalizzazione senza una solida cornice di controllo e finanziamento statale, come invece avviene in Stati Uniti e Cina. Il riarmo – chi vi si oppone vuole un’Italia strutturalmente debole – offre l’occasione di riconvertire alcune filiere morte o morenti, ma certamente non basta. Un piano strutturale per l’export avrebbe dovuto essere varato non oggi, in extremis, ma venti anni fa; tuttavia, vi sono aspetti positivi, da consolidare e incrementare, come il sostegno alle piccole e medie imprese. C’è da fare un salto di qualità come sistema. Cionondimeno, occorre un vero e proprio ribaltamento culturale: i dis-valori “importati” dall’Atlantico vanno rimpiazzati con l’attitudine al lavoro, al risparmio, alla misura e alla pazienza che ben si confanno al laborioso popolo italiano. L’Italia, entro la cornice del vertice di Londra, dovrebbe costruire un suo blocco, sganciandosi dalla nefasta tutela francese, dando massima attenzione ai rapporti con Germania, dove i cristiano-democratici hanno diligentemente respinto l’attacco di Musk, con Algeria e Turchia così da poter fare il “salto” verso l’Africa, da un lato, e, dall’altro, verso l’Asia e i suoi fiorenti mercati.

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