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Libia, un barlume di speranza? La strettoia per la pace

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Fra ritiri di truppe ed embargo d’armi ripartono i negoziati internazionali.

In queste settimane, i rappresentanti dei due governi libici e le potenze straniere coinvolte nella guerra si stanno riunendo a un vertice dell’ONU in Tunisia per negoziare un cessate il fuoco. Nell’ultimo anno ci sono stati diversi tentativi di accordo, nonostante la tensione alta, e dopo quasi un decennio di guerra, questa sarebbe una svolta storica per il Paese.

Un lento cammino verso la pace

A gennaio del 2020, diverse potenze mondiali si sono riunite a Berlino per discutere. Fra i presenti c’erano Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Italia, Cina, Emirati Arabi, Turchia, Congo, Egitto, Algeria, e rappresentanti di ONU, UE, Unione Africana e Lega Araba. I due governi libici sono stati invitati, ma non si sono voluti sedere allo stesso tavolo. In separata sede, sono stati informati delle discussioni.

Era stato concordato un embargo sulle armi estere, violato poco più di una settimana dopo da 8 Paesi fra cui Turchia, Russia, Emirati Arabi e Francia.

Haftar non ha più la stessa fiducia

È evidente che dopo l’assedio a Tripoli del 2019 si è sentito il bisogno di invertire la rotta. Il 2019 ha visto la più grande mobilitazione di forze libiche dal 2011. Fra i soldati di Haftar c’era sia chi era stato leale a Gheddafi e chi si è era ribellato e ha poi vissuto la guerra come un fallimento. E forse proprio questo assedio, conclusosi con uno stallo e moltissimi civili morti, ha determinato la sfiducia internazionale verso Haftar.

Haftar controlla una vasta porzione del territorio dal 2016, ha sconfitto l’ISIS e consolidato il controllo territoriale in pochissimo tempo, ma non è riuscito a guadagnarsi la fiducia della comunità internazionale.

Durante le negoziazioni di settembre a Ginevra si è rimarcata la necessità del ritiro di truppe straniere, per poi poter organizzare le elezioni. Si è discusso di un eventuale spostamento di importanti organi amministrativi e del parlamento a Sirte in via temporanea, una volta compiute le dovute procedure logistiche.

Haftar ha dichiarato che si atterrà alle risoluzioni di Ginevra. Nelle ultime settimane Russia, Emirati Arabi ed Egitto hanno ritirato delle truppe, il che lascia ben sperare.

Altro dato importante sono alcuni cambiamenti interni alle autorità libiche: Sarraj e Haftar stanno perdendo d’importanza, sostituiti per altro in alcune visite di rilievo. Eventuali dimissioni da parte dei leader potrebbero allentare le tensioni riguardanti un eventuale governo unico.

Un mondo sempre più multipolare

La Libia mette in luce quanto il mondo sia cambiato dal 2011. Da un quinquennio, le alleanze si fanno sempre più aleatorie in una transizione storica verso una multipolarità. Esempio lampante è il ruolo della Francia, che pur ufficialmente sostenendo le azioni dell’ONU per la pace e ponendosi come attore centrale e neutrale ai negoziati di pace, ha prestato aiuti politici, logistici e militari consistenti a Haftar.

Nel 2019 sono stati rinvenuti diversi missili Javelin vicino a Bengasi. La Francia li aveva acquistati dagli USA e forniti a Haftar, violando accordi bilaterali con gli americani e un embargo sulle ONU. Dopo l’incidente internazionale, al Sarraj ha interrotto i rapporti con l’Eliseo e l’ONU ha inviato un monito ai francesi.

Un’Italia tagliata fuori

La noncuranza della Francia nella sua gestione dei rapporti con i Paesi africani, in questa occasione, rischia di creare uno strappo all’interno della NATO, per via della tensione fra Turchia e Francia in merito alla situazione in Libia, ma anche nel Mediterran25eo Orientale. Lontana dall’essere una forza moderatrice imparziale, in diverse occasioni ha tagliato l’Italia, centrale nella questione libica, fuori dalle discussioni diplomatiche.

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Le potenze occidentali, che hanno istigato la guerra nel 2011, non sono più una fazione compatta e hanno ceduto il passo ai Paesi mediorientali nel 2014. La Turchia e il Qatar, ad esempio, sono riusciti ad affermarsi e a mantenere il governo islamista di Sarraj con la benedizione dell’ONU e dell’UE. Dal canto loro, i russi si sono ritrovati a operare fianco a fianco con gli Emirati Arabi, da sempre fedeli agli inglesi. La Cina, inizialmente coinvolta in operazioni segrete, si è ritirata dal conflitto e ora spinge per una soluzione diplomatica.

Il Chaos libico e l’emergenza sanitaria globale. La partita del petrolio

Pare che i Paesi coinvolti siano troppi per potersi stancare della guerra, ma forse lo scenario internazionale sta cambiando. Il Covid ha messo in ginocchio l’economia mondiale, abbassando drasticamente il prezzo del petrolio e permettendo al governo di Tobruk di mettere un embargo di sei mesi sull’oro nero. Embargo che si è concluso solo ora, con la riapertura dei dialoghi. Già nel 2016, diversi pozzi di petrolio minori nella parte ovest del Paese erano stati completamente prosciugati da varie milizie islamiste, che gestivano commerci illegali sulla rotta tra Niger e Misurata. Adesso, solo i pozzi principali nell’area di Ubari sono sotto il controllo di Tripoli, ma il governo non ha dove poter raffinare il grezzo.

Le ipotesi per arrivare a una pace più duratura

Si spera che questi negoziati portino almeno a una tregua temporanea, oppure che eventuali successori dei due leader uscenti possano mettere d’accordo abbastanza potenze internazionali da guadagnarsi la fiducia dell’ONU e dell’UE.

Una delle priorità delle discussioni, a valle di questo embargo, è quella della ripartizione equa del petrolio. Qualora la tregua non portasse ad alcuna soluzione duratura, alcuni esperti considerano che la Libia possa venire divisa in due parti all’altezza di Sirte.

Rimane ancora da vedere se questa possa essere una soluzione accettabile per Mosca. Ma soprattutto se il governo di Tripoli si accontenterà di una risoluzione tutta in suo favore, oppure se tenterà di accaparrarsi i giacimenti di petrolio più importanti d’Africa, sfruttando il ritiro delle forze alleate di Haftar.

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