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La crisi tedesca e la crescita di Alternative für Deutschland

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo una riflessione di Luca Picotti, redattore di Pandora Rivista, sulla Germania.

La costante crescita di AfD induce a riflettere sulla crisi della Germania, che non riguarda la sola recessione. Vi è proprio un nuovo contesto – internazionale, industriale, economico, di transizione di politica interna – che sta mettendo in notevole difficoltà la vecchia locomotiva d’Europa, la quale, in questa fase storica, non può certo vantare la stessa autorità che aveva durante la crisi dei debiti sovrani.

I fattori sono molteplici:

  1. Prima la pandemia ha gettato l’Europa nell’anarchia fiscale, con sospensione del patto di stabilità e deroghe in fatto e in diritto all’intera infrastruttura giuridica di stampo ordoliberale (e quindi tedesco).
  2. Poi la guerra in Ucraina ha rappresentato uno strappo nel cielo di carta del mondo illusoriamente piatto ed economico in cui era abituata a muoversi la Germania.
  3. Questo ha inoltre coinciso con la fine dell’era Merkel (il volto di una quindicina di anni di politica tedesca) e un interregno che una figura poco carismatica e politicamente ibrida come Scholz non è di certo in grado di chiudere.
  4. La guerra, unita alla competizione con la Cina, ha portato via con sé il ‘mondo di ieri’ della Germania, basato su gas russo a basso costo, relazioni strette con Pechino, politiche di export-led e bassa inflazione.
  5. Ad una competitività delle imprese tedesche già gravata dal costo dell’energia schizzato in alto, si sono aggiunte le politiche industriali statunitensi, come l’Inflation Reduction Act, idonee a rendere gli investimenti in suolo americano più attrattivi.
  6. Come se non bastasse, la stessa transizione ecologica, con la crescita di nuovi mercati, ha ulteriormente gravato la crisi del sistema industriale tedesco (già nella tenaglia dei costi energetici e della concorrenza americana con l’IRA): il mercato EV, ad esempio, rappresenta un duro colpo alla tradizionale leadership tedesca nell’automotive, il cui valore aggiunto e know-how delle filiere poco serve per nuovi mercati con processi produttivi più semplici e dominati dalla Cina.
  7. Da qui anche alcuni dati che inquietano (spesso per spauracchi storici) Berlino: inflazione, debito, non più surplus commerciale.
  8. L’incidente al North Stream ha reciso il cordone ombelicale che univa Berlino a Mosca e ha visto la Germania assistere in (quasi) silenzio ad un evento dalla portata simbolica enorme; se dovesse emergere la responsabilità di paesi alleati o sostenuti politicamente, le difficoltà in seno all’Europa, anche in prospettive di allargamento, aumenterebbero.
  9. Sul fronte interno, i verdi si sono rivelati un mero volto più cool per il vecchio elettorato Spd, assumendo da un lato una postura fortemente atlantista, capitalista e pronta a scendere a compromessi con il carbone (quindi di certo poco green e radicale), dall’altro posizioni irrazionali come quella sul nucleare. Di fatto, inverosimile rappresentino il futuro.
  10. I due partiti principali continuano a mantenere i rispettivi zoccoli duri di elettorato, ma la crescita di AfD è inquietante: su questo, alcune radici risiedono in conflitti politico-culturali insoluti dalla riunificazione, stante le percentuali che AfD fa nella Germania Est. Fenomeno da monitorare, anche perché, considerati i venti di riarmo (se per la Nato, per l’Ue o nazionali non è dato saperlo), si tratta pur sempre di un paese che può diventare la terza spesa militare globale se investe il 2% del Pil.

Ci sarebbe molto altro da scrivere. Nel complesso, anarchia fiscale in Ue, guerra, costi energia, IRA Usa, nuovi mercati, politica interna, indicano come, se non proprio malata, la Germania non stia senz’altro bene.

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