Il Tazebao – La corsa al Libano continua. Il paese, soprattutto dopo l’esplosione di tre anni fa al porto, vive uno dei periodi peggiori dalla guerra civile – Beirut chiusa e spenta è uno specchio fedele della situazione – ma rimane un crocevia strategico. Da qui passa molto, si comprendono molte dinamiche. Del resto, la geografia, dunque le rotte, i valichi, gli stretti, è una costante. Lo avevano capito i romani e lo praticavano, a Heliopolis come a Tadmor ovverosia Palmyra.
Egemonia iraniana. Hezbollah, dunque l’Iran, è infiltrato in tutti i gangli vitali del paese. Ha un sostanziale controllo delle infrastrutture (aeroporto di Beirut in primis), dei trasporti – non è una novità il passaggio di camion pieni di armi – e, non ultimo, del sistema giudiziario; così si perpetua la storia della continua occupazione del Libano da parte di una potenza straniera. Così l’Iran è arrivato stabilmente al Mediterraneo.
La Siria, che ha occupato per oltre 20 anni il Libano prima del ritorno di Michel Aoun, a fatica rinuncerà a quella che considera una finestra sul mare. E, anche adesso che la guerra è finita, ondate di profughi siriani continuano a passare illegalmente il confine per stabilirsi in Libano, come dimostrano tanti video che circolano in rete in questi giorni.
L’Arabia Saudita è rimasta delusa da Saad Hariri, figlio del grande Rafiq, l’uomo della ricostruzione, la cui morte ha riaperto le porte al caos, e si è ritirata dal paese. Hariri non ha partecipato nemmeno alle ultime elezioni. L’Arabia Saudita sembra non volersi far carico di nuovi problemi in questo momento, né in Libano né altrove: altri dossier sul tavolo, a partire dalla possibile intesa con Israele. Di conseguenza, la comunità sunnita ha perso un punto di riferimento e potrebbe guardare sempre di più al leader sunnita più in vista, Erdoğan, come dimostrano le celebrazioni per la sua vittoria al ballottaggio.
Il caso di Israele, altro paese che ha invaso militarmente il Libano, è interessante, soprattutto in questo momento. Israele vive una profonda lacerazione intestina; ciò è dovuto, come ha spiegato a Il Tazebao Fiamma Nirenstein, anche all’assenza di una costituzione scritta. In più, il crescente peso della destra radicale, particolarmente aggressiva, tanto da accarezzare il sogno di una “Grande Israele”, ispirata dalle idee di Jabotinsky e convinta che occorra una “muraglia di ferro di baionette ebraiche” per garantire la sicurezza dello Stato di Israele, potrebbe accrescere tensioni e appetiti.
Equilibri demografici. Ad ogni modo, è proprio la già citata comunità sunnita, oggi molto più povera, quella che, nel medio-lungo periodo, potrebbe registrare un aumento vertiginoso dei propri numeri a causa degli ingressi di profughi, soprattutto dalla Siria (oltre a quelli già giunti dalla Palestina). Il milione e mezzo che ancora si legge nei documenti ufficiali dell’UNHCR rischia di essere una grave sottostima. In questo modo, potrebbe portare a suo favore la bilancia demografica, a detrimento delle altre componenti, anche di quella sciita. È probabile che ciò rappresenti un tentativo, per vie diverse, di colonizzazione del paese, attraverso la sostituzione. Forse c’è un progetto politico.
Il dramma economico. Negli anni passati, la popolazione ha subito un effettivo furto dei propri risparmi perpetrato attraverso limiti e blocchi a prelievi e trasferimenti di denaro. Tutt’oggi, diversi miliardi sono ancora bloccati: The National News stimava fossero circa 100 a fine 2022. Ciò ha falcidiato la classe media e ha costretto molti in condizioni precarie; per esempio, molti non riescono a pagare i generatori privati che sono l’unico modo per avere energia in assenza di una rete efficiente. Del resto, colpire il risparmio, prima linea difensiva dell’individuo, e impoverire – scientificamente – significa controllare. Dunque, il Libano è l’esempio perfetto di come si possa, scientificamente, tirar su e buttar giù un paese. Forse, anche in questo caso, c’è un progetto politico.
Riforme? Una proposta su cui molti concordano è la stesura di un “nuovo patto nazionale” che porti a spezzare il sistema confessionale e settario arrivando a una “partizione” territoriale. Ci sono però dei nodi spinosi. Chi porta avanti questa eventuale riforma? Quale partito o movimento? Quale blocco sociale? Soprattutto, con quali risorse? C’è un sostegno internazionale? O, almeno, c’è un interesse degli attori in gioco? Fare la rivoluzione… costa.
LS