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Privazione o emancipazione? La comunità sciita: dal “Grande Libano” agli anni recenti

Beirut, zona Sciita a prevalenza Hamal (2022)
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Si ritiene che in Libano la comunità sciita abbia subito per molto tempo una “privazione”. È veramente così?
In uno scritto, Karim Marwa, riportato da Eli Khoury, sostiene che proprio grazie al “Grande Libano” gli sciiti abbiano avuto molto di più che nei precedenti 500 anni di dominio ottomano.
Insistere sulla privazione, sostiene, l’autore è una precisa scelta politica per mantenere il controllo.

Quando gli sciiti che abitavano regioni di Jabal Amil e della Beqa’ sono entrati a far parte dell’entità statuale libanese nel 1920, la maggior parte di loro versava in condizioni di estrema povertà, completo analfabetismo; non solo, vivevano con il terrore di essere ancora perseguitati. Questo perché i sultani musulmani, fin dai tempi dei Mamelucchi, consideravano gli sciiti eretici e li uccidevano senza pietà.

I massacri a danno degli sciiti, infatti, nel corso dei secoli sono stati numerosi e si sono verificati a Jbeil e Kisrawan, a Tripoli e ad Aleppo, fino a Bassora e Najaf. Il massacro di Jabal Amil nel 1781, durante l’era ottomana, ha portato alla distruzione dei villaggi, precedette i massacri dei cristiani nel Monte Libano e Damasco nel 1860. Tutto questo rimane profondamente inciso nella memoria collettiva.

Verso l’emancipazione

L’ingresso nel Grande Libano ha rappresentato, in larga misura, per gli sciiti la fine dell’oppressione e l’inizio dell’emancipazione. Durante il mandato francese è stata adottata, infatti, una politica di tutela e rafforzamento delle minoranze, anche per spezzare il potere della maggioranza sunnita in Libano e Siria. Gli sciiti ne hanno beneficiato: sono entrati tra le sette riconosciute ufficialmente in Libano e hanno avuto il permesso di istituire un tribunale Ja’fari ufficiale, per la prima volta nella loro storia. Le nascenti scuole primarie pubbliche hanno contribuito allo sradicamento dell’analfabetismo tra le giovani generazioni. I progetti infrastrutturali hanno permesso di collegare le loro regioni nel sud e nella Beqa’. La migrazione è raddoppiata verso le colonie francesi nell’Africa occidentale, dove molti di loro hanno accumulato fortune.

Dopo l’indipendenza, la crescita è continuata, seppur in modo squilibrato. Per molti ci sono state opportunità di lavoro: dalla raffineria di petrolio di Al-Zahrani al progetto di irrigazione di Al-Qasimia, che ha permesso l’espansione degli agrumeti su tutta la costa meridionale, dalla diga sul lago Qaraoun alla centrale elettrica sul fiume Awali.

Per quanto riguarda Beirut, gli sciiti sono passati da lavoratori a giornata nel porto e nei mercati a essere professionisti e proprietari in meno di una generazione. L’International Charitable Society ha contribuito ad elevare il loro livello di istruzione dalla primaria alla secondaria, analogamente a quanto fatto dalla Makassed Charity Association per i sunniti.

Poi è arrivata l’istituzione dell’Università libanese sotto il presidente Fouad Chehab, per ridurre il divario educativo tra loro e il resto dei libanesi. Così gruppi di studenti sciiti si sono laureati e hanno ottenuto diplomi post-laurea che li hanno qualificati per intraprendere lavori da “colletti bianchi” che prima gli erano preclusi.

Gli sciiti hanno svolto un ruolo importante da timoniere negli equilibri politici interni tra cristiani, sunniti e drusi, e lo hanno fatto in un modo armonioso e pacifico, che gli è valso il favore di molti. Hanno contribuito a elevare lo status del Libano in vari campi. I media che erano di proprietà di giornalisti sciiti, in particolare il quotidiano Al-Hayat, all’epoca il quotidiano libanese con la maggiore diffusione, consolidarono la loro posizione di protettori dell’entità.

Tuttavia, nonostante questi progressi, gli sciiti non raggiunsero, prima della guerra civile, il livello di sviluppo e ricchezza delle altre comunità. Perché? Forse semplicemente perché hanno iniziato il percorso di promozione da zero, a differenza degli altri. Ciò ha alimentato in loro il senso di ingiustizia.

La posizione di Musa al-Sadr. Prima della Rivoluzione Iraniana

È interessante notare che quando l’Imam Musa al-Sadr è apparso sulla scena politica negli anni Sessanta del secolo scorso, non ha usato parole dure per trattare di questa ingiustizia. Ha scelto la parola “privazione”, che è una parola bella ed emozionante allo stesso tempo, come qualcuno che vuole ammonire e non combattere.

Quartiere di Khandaq Al-Ghamiq a Beirut – Il Tazebao (2021)

La situazione degli sciiti necessitava, infatti, di serie attenzioni da parte dello Stato libanese, che spesso ignorava lo sviluppo della sua periferia. La loro situazione era critica, ma non così catastrofica come alcuni la dipingono oggi. Pertanto, al-Sadr non ha chiesto una radicale riconsiderazione del regime, come richiesto da altri leader in quel momento, come Kamal Jumblatt, Rashid Karami e Maarouf Saad. Il movimento dell’Imam al-Sadr, che prendeva il nome di movimento degli indigenti, è rimasto un movimento di rivendicazione. Non ha mai intrapreso una svolta radicale se non dopo la sua scomparsa e il suo martirio, proprio perché si è unito alle suddette correnti. Questo ha precluso l’accesso a un gran numero di sciiti moderati ed è così tutt’ora; il pensiero di Khomeini ha chiuso definitivamente ogni accesso e possibilità.

Quartiere di Khandaq Al-Ghamiq a Beirut – Il Tazebao (2021)

Se oggi sono sciite alcune tra le persone più ricche del Libano, ma anche intellettuali, artisti o personaggi dei media più brillanti, è perché la comunità sciita è entrata a far parte del Grande Libano, e non nonostante ciò. Fu la loro presenza nel Grande Libano ad aprire loro le porte della conoscenza e del progresso (…). Oggi, grazie agli espatriati sciiti, il distretto di Al-Zahrani/Tiro è quasi più ricco del distretto di Al-Matn, gioiello dell’economia libanese.

Dove sarebbero senza il “Grande Libano”?

E se fosse accaduto il contrario? Se Jabal Amel e la Beqa’ non si fossero unite al Grande Libano nel 1920? E se le regioni storiche degli sciiti fossero rimaste parte della Siria o della Palestina? La situazione degli sciiti oggi non sarebbe simile a quella dei siriani e dei palestinesi che vivono nella miseria, nell’indigenza, nell’ingiustizia e nello sfollamento?

Insistere sulla cosiddetta “privazione” e sul cosiddetto “boicottaggio” a danno degli sciiti non è altro che ingratitudine rispetto al grande “abbraccio nazionale” di cui hanno beneficiato anche gli sciiti dopo il 1920. Sicché, agitare lo spettro della “privazione” serve a coprire la paura che il popolo si vendichi per il coinvolgimento degli attuali leader nelle guerre in Siria, Iraq e Yemen. Oltre che per l’oppressione in Libano.

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