Il 30 ottobre scorso la tranquillità delle notti di Firenze è stata violata da una serie di proteste organizzate in diverse zone del centro storico.
Un articolo del 1° novembre del Corriere Fiorentino si poneva l’ambizioso obiettivo di fornire una descrizione dei protagonisti di quella notte di disordini che aveva visto un’ampia mobilitazione di giovani provenienti dalle periferie della città. Giovani, alcuni dei quali minorenni, “uniti dall’odio verso le forze dell’ordine” [1].
Sono diversi gli elementi che il quotidiano decide di omettere dalla sua narrazione. Molti dei quali avrebbero probabilmente contributo alla costruzione di un quadro generale delle dinamiche di quella notte: le loro motivazioni, il loro svolgimento, le loro prospettive.
Al di là del tentativo (fallito) di voler individuare e collocare una tale moltitudine all’interno di uno schema predeterminato e stabile ai fini della comprensione dell’ennesima insolita dinamica sociale, il Corriere pare ricordarsi di un elemento che spesso sfugge dal dibattito pubblico cittadino: la periferia fiorentina.
Intese come zone neutrali, talvolta mistiche, le zone periferiche della città hanno deciso, una notte di fine ottobre, di confrontarsi con il centro storico. Le modalità mediante le quali la periferia si è palesata agli occhi di Firenze (quella vera) sono però degne di nota: i protagonisti sono stati i giovani.
Peri-feria. Le molte Novoli – Il Tazebao
Coloro, cioè, che condividono con i loro coetanei di altre parti d’Italia la stessa drammatica percentuale: il 29,7% di disoccupazione giovanile [2] e, in Toscana, il 22% di abbandono scolastico [3]. Caratteristiche che il Corriere avrebbe potuto prendere in considerazione nel suo compito di ricerca di analogie fra i giovani in piazza.
Gli stessi giovani provenienti dai quartieri popolari relegati ai margini della “città vetrina” che l’amministrazione Renzi prima, e quella Nardella poi, hanno deciso di escludere da qualsiasi processo costruttivo collettivo.
È qui implicita la tendenza ad instaurare una distanza fra la Firenze vivibile, a misura di turisti e lussuosi alberghi, e quella marginale, sovrappopolata e decadente.
Si manifesta così un rapporto di sfruttamento e di dipendenza dal centro nevralgico. Una relazione fra i due punti che, quando avviene, percepisce unicamente diversità. Come se ognuno dei due tendesse a guardare l’altro come estraneo. Dove il secondo cerca il proprio posto nel primo consapevole che si tratti di una dimensione dotata di rigidi parametri all’ingresso.
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Non nel senso che il comune abbia adottato misure finalizzate ad alleggerire la vita dei suoi cittadini. Ma in un’accezione particolare: la periferia è desolante come sempre ma assume sembianze inedite. Sembrano anche essere scomparsi gli elementi che le sono propri: i licenziamenti di massa, gli sfratti, i black out, le fabbriche dismesse, gli autobus che non passano, i tossici.
Nella sua interezza, essa è costituita da una pluralità di componenti che definiscono la sua struttura. La periferia circonda la città, la osserva dagli angoli remoti di un contesto urbano privo di una propria omogeneità. Scruta ogni suo sviluppo, spesso perpetuando l’illusione di sentirsi partecipe di ogni suo cambiamento.
Ma ogni occasione di evoluzione e avanzamento, quando avviene, non è detto sia destinato ad entrambe le componenti della città.
Gli scarsi collegamenti fra centro e periferia determinano una dinamica di lontananza apparentemente irremovibile. Il distacco fra ciò che rimane dentro e ciò che invece è destinato all’esterno innesca un meccanismo di esclusione fra coloro sui quali grava il peso dell’emarginazione. Il centro viene così presentandosi come il luogo “dei pochi per i pochi”.
Questo però, nei periodi di normalità, non si stancava mai di richiedere la manodopera della periferia da impiegare all’interno del suo processo produttivo destinato all’industria turistica. Almeno, così, anche gli esterni avevano la gratificazione di sentirsi interni per almeno otto ore della loro giornata. E così, ancora, riempire gli autobus e i tram per disorientare la monotonia di questa ormai logora città vetrina. Mezzi di trasporto che ora rimangono patrimonio di una ristretta cerchia di salariati “privilegiati”.
Tuttavia anche all’interno dei quartieri non periferici si può scorgere qualche frammento di periferia: ciò può essere inteso come il frutto di un processo di colonizzazione interno che si manifesta in ogni angolo e che basta saper osservare. Desiderosa di strapparsi le vesti che le hanno cucito addosso, l’entità periferica si spinge oltre i luoghi che le sono propri, in quanto attratta dalla perenne fuga dal deserto che la compone.
La periferia è sinonimo di ciò che fa contrasto, ciò che stona, che rompe il contesto generale con cui si rapporta. Da tale punto di vista può esser periferico un luogo, una scuola, un gruppo, un individuo; tutto ciò, insomma, che presenta caratteristiche che consentono a chi osserva di collocare un certo elemento nella sua struttura sociale d’appartenenza.
Della notte di fine ottobre sembra non esser rimasto nulla. La rabbia espressa in quell’occasione è rientrata nei ranghi. L’appiattimento e la calma apparente danno vita ad un tessuto sociale silenzioso e immobile, relegato ad una specifica area urbana dalla quale ora è impossibilitato ad uscire.
L’ira di quella notte si è dissolta e il vuoto che ha urlato non ha trovato interlocutori capaci di comprenderlo. Per cui si ritira nella sua dimensione di appartenenza, la stessa che lo ha generato e che ora lo accoglie.
A cura di Lorenzo Villani
Bibliografia
- “Da Brozzi e dal Mugello, età media vent’anni: chi sono i responsabili degli scontri in piazza a Firenze”, Corriere Fiorentino del 01/11/2020.
- Rapporto “Il mercato del lavoro – I trimestre 2020”, ISTAT.
- Rapporto Openpolis.