Per capire dove vada la Tunisia accogliamo, con estremo interesse, un osservatore privilegiato e indipendente: la Professoressa Rawdha Zaouchi Razgallah.
La svolta di Saïed, i problemi di lungo periodo e ancora irrisolti, il pericolo della deriva islamista e gli anticorpi civili. Per capire dove vada la Tunisia, Il Tazebao è lieto di accogliere Rawdha Zaouchi Razgallah. La nostra ospite è Professoressa di Letteratura Italiana all’Università di Cartagine, è stata insignita dell’Ordine Nazionale al Merito della Repubblica tunisina per l’educazione e le scienze ed è Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana e presidente del Commissione per le Arti e la Cultura di La Marsa.
Dieci anni fa la Tunisia fu il primo focolaio delle Primavere arabe. Che interpretazione dà di quella stagione e dei suoi effetti?
“Prima di tutto voglio mettere in chiaro che non sono in alcun modo politicizzata e che non ho un’appartenenza politica: questo mi rende un osservatore totalmente indipendente. La mia vita e la mia attività è stata spesa ed è ancora per l’istruzione, l’elevazione culturale del popolo tunisino e il dialogo con l’Italia. Dunque, la mia interpretazione di quei fatti è semplicemente quella di un qualsiasi cittadino tunisino che non accetta attentati alla democrazia, compressioni delle libertà fondamentali del cittadino e delle donne, che non intende in alcun modo sorvolare sul crimine o la corruzione endemica. In un primo momento, allora, ci fu un moto generalizzato di fiducia nella speranza di un miglioramento e di un ampliamento delle basi democratiche. Questo fino a circa il 2014 quando ci siamo resi conto che era stato perpetrato un inganno da parte forze oscure ai danni del popolo tunisino, una manipolazione i cui effetti erano tangibili nell’aumento della corruzione, male contro cui ci scontriamo quotidianamente. Allora un freddo autunno ha soppiantato il tepore della primavera”.
In un precedente intervento, il Prof. Salvatore Lombardo della Swiss UMEF di Ginevra ha parlato degli sforzi fatti da Ben Ali per la scolarizzazione e per la crescita culturale del Paese. È un percorso che si è interrotto?
“Non si è interrotto. Sono diminuite le risorse e, in parallelo, si è affermata una visione dell’insegnamento che favorisce il privato a discapito del pubblico. Questo cambiamento, che è di lungo periodo, ha avuto conseguenze sulla società, perché l’educazione è un bene universale, e, nei fatti, ha alimentato, anziché ridurlo, il divario tra ricchi e poveri.
La scuola gratuita per tutti e l’insegnamento di qualità sono stati due pilastri dell’azione di Bourghiba, due leve di progresso e giustizia sociale.
Sfortunatamente, contrariamente a quello che ha scritto Lombardo, la privatizzazione della scuola ha cominciato con Ben Ali, pace alla sua anima. Alla lunga, anche la cultura è diventata un terreno di spartizione e di clientelismo, purtroppo. Nonostante queste condizioni e nonostante le sempre minori risorse, non abbiamo risparmiato sforzi continuando a lavorare per un’educazione migliore e sempre più accessibile per tutti i tunisini”.
Sempre sulle “fragili Primavere” e le loro conseguenze. L’emersione dell’Islam politico poteva riportare indietro di decenni la Tunisia? Quali anticorpi hanno permesso di resistervi?
“L’islam politico non è Islam e men che meno conciliabile con la democrazia. I nostri concittadini sono sempre ben vigili e mai permetterebbero di cancellare l’eredità di Bourghiba, ancora vivissima, che significa apertura verso il mondo e tolleranza. In più, la Tunisia è a maggioranza sunnita e, quindi, naturalmente aperta al mondo esterno, grazie a un’interpretazione del libro sacro che concede spazio alla contemporaneità, che stimola la convivenza, la tolleranza e soprattutto il rispetto delle altre religioni, per altro rivelate e riconosciute nel libro sacro il Corano. Gli anticorpi sono in primo luogo la generazione formata sotto il governo di Bourghiba, patrioti figli dei valori di uguaglianza e giustizia, che mai e poi mai avrebbero ceduto o accettato colpi all’eredità di quella stagione. La conoscenza e il patriottismo sono e rimangono anticorpi fortissimi. Un altro anticorpo è la fede nella sovranità del paese, rimasta salda nonostante gli attacchi degli islamisti.
Un altro anticorpo è l’importanza della donna, madre, sorella e figlia nella società tunisina. Sempre e in tutto, uguale all’uomo.
La parità è riconosciuta a livello governativo e lavorativo. Abbiamo lavorato molto per mesi e anni per non lasciare la Tunisia tra le mani dei voraci e malfattori e ci siamo riusciti”.
Ogni fase emergenziale apre a scenari potenzialmente imprevedibili. Crede che la fase transitoria avviata da Kaïs Saïed sia nel perimetro costituzionale o no, come sostengono gli avversari?
“Sì, è certamente nel perimetro costituzionale. Non dimentichiamo che stiamo parlando di un docente di diritto costituzionale, che conosce tutte le norme e che ha contribuito alla stesura della nuova Costituzione.
Di contro, i deputati, salvo qualche eccezione, si sono dimostrati litigiosi, incapaci di provvedere ai bisogni del paese, arrivo a dire traditori del mandato popolare; dunque…il congelamento dell’aula era l’unica via d’uscita.
Il Presidente è, prima di tutto, un vero patriota e il nuovo governo è composto da persone competenti e patriottiche. Adesso dobbiamo lasciargli il tempo di affrontare i mali del paese, a partire dalla corruzione”.
C’è, dunque, un sostegno reale alla svolta del Presidente? Interno ed internazionale…
“C’è un ampio appoggio interno, popolare ma anche degli intellettuali, e internazionale perché è chiaro che Kaïs Saïed sta lottando contro la corruzione, male che attanaglia la Tunisia, ed è chiaro che una Tunisia più serena sia un successo per tutti. Le forze oscure, però, non vogliono il cambiamento perché potrebbe spazzare via il loro banditismo ma il Presidente è ben saldo. Adesso c’è anche un cronoprogramma delineato per le riforme che permetterà di ricostruire il sistema e ridare voce al popolo tunisino. La lotta alla corruzione richiede un ribaltamento complessivo dell’attuale sistema politico”.
La premier Bouden ha parlato apertamente, secondo alcuni è stata la prima a farlo, di lotta alla corruzione. Quali altri punti dovrebbe mettere nell’agenda di governo?
“Le priorità sono: ridare fiducia ai tunisini, abbassare i prezzi dei generi alimentari, riformare l’insegnamento delle elementari e delle medie, proporre nuove strategie formative, favorire l’industrializzazione e dunque la crescita in tutti i territori, anche le zone più marginali. Un punto critico di cui tener conto è l’ambiente. Dobbiamo sostenere le energie rinnovabili e insegnare fin dalla scuola elementare a fare la raccolta differenziata, incentivandola con stazioni di raccolta, come nel caso dei compost che possono servirci per l’agricoltura e l’energia. Solo la frazione residua dovrebbe essere conferita nelle discariche, che già scarseggiano. Servono, e per questo sono positive le consultazioni popolari, anche riforme politiche: mi piacerebbe un parlamento composto da meno e più affidabili partiti che altrimenti destabilizzano il paese.
Sei grandi partiti e realmente rappresentativi dei tunisini sono più che sufficienti.
Data anche la mia esperienza a livello locale mi sento di dire che una maggiore autonomia alle amministrazioni locali, con margini di spesa più ampi, e più competenze in materia di sicurezza sarebbe oltremodo positiva”.
Tra Italia e Tunisia c’è naturalmente un ponte culturale. Dall’alto della sua esperienza e competenza, quali sono le contaminazioni e gli influssi tra le due culture?
“Sono stata borsista dello stato italiano nel 1972 presso l’Università di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia, in piazza Brunelleschi. Questa esperienza fu per me il primo ponte tra Italia e Tunisia perché le borse erano assegnate alle persone che avrebbero potuto ricoprire ruoli di rilievo e di responsabilità in Tunisia.
Figli di questa visione abbiamo lavorato concretamente per migliorare e strutturare le relazioni tra i due paesi. La comunità italiana è stata ed è protagonista di una Tunisia multiconfessionale e multietnica. L’influsso della lingua italiana è tangibile in ogni ambito. La RAI era presente nelle case tunisine dal 1962. Si viveva di cultura italiana, si parlava italiano e “mamma Rai” faceva venir voglia di vivere all’italiana. Il Corriere di Tunisi, in lingua italiana, ha favorito la coabitazione, la reciproca conoscenza e le alterità positive.
Dopo l’emersione della frangia islamista in Tunisia, le relazioni, come tutto il paese, hanno avuto un contraccolpo, ma il ponte, plurisecolare, tra i due paesi permane, ben saldo e quotidianamente alimentato da tutti noi. Studi, conferenze, scambi culturali, le diverse organizzazioni mediterranee nate dopo l’indipendenza della Tunisia, l’arrivo in Tunisia di migliaia di cittadini italiani nell’ambito della legge economica 72, gli scambi bilaterali attraverso i progetti con l’ENI, con le università, e tanti altri enti ad esempio l’APII, la FIPA, il Consiglio Superiore Economico, gli scambi culturali di ogni anno in seno al colosseo di Cartagine, del Jem, di Dugga. Sono pochi esempi per le molteplici attività che sono state fatte.
Nell’ultimo decennio l’Istituto Italiano di Cultura ha lanciato un’idea geniale per creare sinergie culturali tra artisti tunisini ed eccellenze italiane con formazioni puntuali. Siamo popoli più che fratelli”.
Cosa può e deve fare l’Italia per la Tunisia in questa fase?
“Dato questo grande e storico legame di amicizia e cooperazione può e deve starle vicina, soprattutto adesso che affronta una fase nuova e difficile. Sicuramente deve convincere l’Europa che, data anche la posizione del nostro paese, il supporto è imprescindibile. Tra Italia e Tunisia e, dunque, tra Tunisia ed Europa devono tornare a circolare le persone, gli scambi, non solo materiali, sono fonte di benefici reciproci, il ricatto del visto è un’ingiustizia e una contraddizione in termini rispetto al progetto europeo e all’afflato della globalizzazione. È sul piano culturale e sociale che vedo ancor più positivo l’apporto dell’Italia alla Tunisia. Vorrei che l’italiano, nostro compagno di vita quotidiana, rimanesse una lingua sempre parlata e viva in Tunisia, anche dai più giovani. L’Italia deve diffondere la sua lingua e cultura, deve proseguire con le borse di studio per gli studenti e si dovrebbe usare più spesso la lingua italiana anche nei convegni internazionali”.