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Di razzismo nel pallone e altre amenità corrette. Il tackle di Fabio Fallai

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Hanno fatto molto discutere gli insulti razzisti contro il giocatore del Napoli Koulibaly domenica scorsa allo Stadio Franchi. La Fiorentina si è subito scusata attivandosi per individuare i colpevoli. Ne è nata una grande polemica e la società stessa ha ricordato come uno dei suoi giocatori abbia subito un trattamento analogo a Bergamo. Noi Tazebanti amiamo la polemica e le opinioni difformi, e invero siamo anche parecchio tifosi (almeno alcuni), dunque siamo lieti di fare una, nuova, incursione nel mondo del calcio che è “metafora della vita”. Accogliamo Fabio Fallai, Presidente del Viola Club Franco Nannotti, precedentemente intervenuto in supporto a Rocco Commisso, che oggi non le manda a dire al politicamente corretto.

Il suo tackle tutto da gustare…

“Frequento lo stadio da oltre 50 anni e riconosco che ormai il calcio che mi ha appassionato e che ha lasciato una impronta indelebile sulla mia vita di uomo e di tifoso sta scomparendo e state tentando di criminalizzarlo sempre di più.

Premetto, onde sgombrare il campo da ogni possibile ricaduta moralistica (e, probabilmente per molti soloni del politicamente corretto, anche giudiziaria) che non è mia intenzione difendere atteggiamenti di discriminazione razziale e/o territoriale: voglio solo spiegarvi che quelli accaduti a Firenze, che accadono spesso anche in altri stadi, tali non sono.

Da piccolo ero un bambino grassottello e paffuto (gli zii mi chiamavano “mangione”) e alcuni compagni di classe (che oggi chiamereste bulli) mi salutavano cantando una canzoncina denigratoria ovvero “Ciccio bomba ferroviere/guida il treno con le mele…”, che spesso mi faceva piangere; così come mi feriva un grande amico, un po’ più grande di me, che accarezzandomi gli orecchi con entrambe le mani, cantava una canzone di Rita Pavone allora molto in voga “Nelle mani il mondo”.

Erano attacchi diretti alla mia persona, alla mia grassezza, e, quindi, ferivano, per mia fortuna, nel mio caso, senza conseguenze.

Nel calcio, nel mondo dei tifosi, non è così

Il tifo per la tua squadra (soprattutto a Firenze, dove l’identificazione della squadra con la città è assoluto) è totalizzante, è una passione, un sogno ad occhi aperti, una identità assoluta, e la contestazione dell’avversario non è rivolta alla persona ma alla maglia che indossa.

Chi, almeno quelli della mia età over 60, non ha fatto a cazzotti per difendere l’onere della mamma messa in dubbio da qualche sconosciuto di un’altra compagnia che si lasciava sfuggire “la maiala di to’ ma’”?

Ecco: per la tua squadra, la sacralità della fede e dell’attaccamento è più forte dell’onore della mamma. E allora gli avversari, quelli che giocano con una maglia diversa dalla tua, ma anche gli altri tifosi e tutti coloro che in qualche modo difendono e giustificano i loro atteggiamenti, sono aggressioni alla tua passione, demolitori consapevoli di un sogno che tu, in prima persona, stai vivendo per realizzarlo.

Ma non ci sono differenze di colore della pelle o discriminazioni di alcun tipo: ne sanno qualcosa Nicola Berti e Marcello Lippi (ma l’elenco potrebbe essere lunghissimo), che hanno pagato in prima persona lo sgarbo fatto alla Fiorentina (il tradimento di Nicola Berti, la gobbaggine di Marcello Lippi) con insulti velenosi che andavano fino agli avi più lontani.

E anche domenica a Firenze uno dei bersagli più gettonati era Insigne, in quanto pericolo costante per la squadra viola e quindi da esorcizzare con ogni mezzo. Così si spiegano i cori di Bergamo contro Vlahovic: è paura nei confronti di un campione che può farti male.

Tutti i tifosi (i tifosi, non gli sportivi) si riconoscono nel personaggio creato da Nick Hornby in Febbre a 90°, il leggendario tifoso dell’Arsenal che modula la propria vita (privata, professionale, sentimentale) in funzione del calendario e delle partite della squadra del cuore.

E tutti i tifosi sanno quanti comportamenti irrazionali e scaramantici vengono adottati prima e dopo ogni partita (ci si mette una maglietta particolare, si passa da una strada sempre uguale, non si guarda il calcio di rigore perché sennò lo sbaglia): si chiama PASSIONE, si chiama AMORE, si chiama SOGNO.

Siamo in una sfera irrazionale, non interpretabile con le regole e i canoni tradizionali

I calciatori moderni, semidei superpagati, non sempre campioni di etica e di correttezza, dovrebbero evitare di offendersi per gli insulti loro rivolti, e magari fare a meno di rotolarsi in campo abbattuti da un missile per un semplice fallo di gioco per poi rialzarsi come se niente fosse se la palla torna in possesso di un compagno di squadra: o protestare con l’arbitro dopo aver gambizzato l’avversario con una entrata da codice penale indicando, con la faccia tosta di chi sa di mentire, di aver colpito solo la palla. Sono comportamenti che incendiano i tifosi e che dovrebbero essere condannati almeno con la stessa virulenza con cui vi accanite contri i cori razzisti da stadio.

Alla fine della partita tutto si estingue

La bolla nella quale siamo entrati per quelle due ore, l’essere vicini a gente che soffre e sogna insieme a te, te la porti dentro fino alla prossima occasione e quasi mai degenera in agguati e violenze. E quando lo fa (ed è giusto condannarlo) è comunque ascrivibile a quel tasso di intolleranza e di aggressività che la convivenza, non proprio civile odierna, ha enormemente alzato (ma qui si entra in un ambito sociologico – distruzione dei punti di aggregazione sociale, smantellamento dei luoghi di socializzazione, abbattimento dei centri di discussione politica – di cui siete responsabili e che non voglio affrontare in questo momento).

Lo capisco che volete eliminare la presenza dei tifosi allo stadio. Il tifoso da divano si controlla meglio, paga in silenzio e accetta supinamente le mostruose linee trigonometriche con cui il VAR ti fa credere quello che vuole: è sufficiente aspettare una ventina d’anni e nessuno di noi sarà più in grado di andarci.

Ma finché ne avrò la forza e il fisico me lo consentirà, andrò allo stadio sostenendo la mia squadra, infamerò gli avversari, qualunque sia il colore della loro pelle, esalterò i miei giocatori, anche quelli scarsi, e contesterò tutti gli altri.

Perché la Fiorentina è la squadra che amiamo, di tutto il resto ce ne freghiamo!”

Fabio Fallai, Presidente Viola Club Franco Nannotti


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