Il secondo approfondimento del ciclo su Joseph Ratzinger a cura de Il Tazebao, che invita a riflettere sul Cristianesimo, la libertà, il potere politico.
Completano il pezzo foto di Ravenna, Roma, Digione, del Libano e non solo.
“Signore, ti amo!” Le ultime parole di Joseph Ratzinger sono la summa del suo percorso terreno e rispecchiano la certezza della Fede, soprattutto nel passaggio finale.
Come già introdotto nel primo contributo, Benedetto XVI merita uno sforzo di comprensione ulteriore. Eppure, anche in queste ore di spaesamento e dolore per il popolo cristiano e di vuoto per un’istituzione come la Chiesa, certe narrazioni mainstream, queste sì mai tenere con Ratzinger, vorrebbero dipingerlo come “mite”, “conservatore”, come “puro teologo” – come se il pensiero che orienta l’azione fosse un accessorio démodé – inadatto a un ruolo di direzione, dunque, “rinunciatario” perché incapace di riformare la Chiesa e, quindi, costretto a lasciare il passo a un Papa ritenuto più incisivo.
Ogni lettura superficiale o apertamente fuorviante, su di lui o sulla sua scelta, su ciò che ne è seguito e in generale sulla Chiesa, quantomeno perché rappresenta, checché se ne dica e vale anche per i laici e non laicisti, una fortuna storica dell’Italia, non tanto e non solo per la bellezza donata alle città italiane ma soprattutto per il Concilio di Trento (vedere alla voce Ugonotti a La Rochelle per conferma), e perfino su Papa Francesco, che si trova proiettato in una dimensione brutale-primordiale del capitalismo dove il potere vuole rendere docili, mansuete e perfettamente inquadrate le masse, è da scansare, a priori.
Ratzinger è stato, a tutti gli effetti, un protagonista della Storia e del Secolo Breve, che, da tedesco figlio dell’alterità bavarese, ha voluto chiudere con la sua visita ai campi di sterminio nazisti donde volle interrogare Dio. Lo fece nel 2006, quando la Germania, assimilate le riforme di Schröder e con Merkel saldamente alla guida, è tornata motrice di un’Europa più economica che politica, secondo i critici proprio sfruttando i lavoratori intrappolati nella povertà come effetto perverso delle riforme Hartz.
In questa cornice va ricondotto il suo tentativo, in stile Ostpolitik, di “pervenire a una riconciliazione storica con il patriarcato di Mosca”, scriveva Dottori su Limes, nell’ottica di una piena integrazione euro-russa, culturale prima che energetica, che avrebbe aperto anche a una prospettiva diversa per lo spazio post-sovietico.
Nel suo intervento precedente, Gianni Bonini propone una riflessione corretta: leggere la rinuncia di Benedetto XVI anche nel quadro geopolitico di allora. La scapitozzatura delle classi dirigenti del nazionalismo arabo ha portato, a caduta, conseguenze e avvicendamenti in tutti i paesi mediterranei, Italia, con la caduta di Berlusconi, e Vaticano compresi. Consequenziale la fine di ogni progetto di riavvicinamento con la Russia.
Benedetto XVI: Il mio testamento spirituale
❤🌟 Auguri di buon #Natale con i mosaici di Santa Sofia. L'arte musiva ci rappresenta il riscatto della materia dal peccato attraverso la Luce.
"Lux in tenebris lucet et tenebrae eam non comprehenderunt". pic.twitter.com/fI80L3lr5R
— Lorenzo Somigli (@lo_scriba) December 24, 2021
Il “membro contemplativo”
La sua figura ha animato un dibattito serrato, soprattutto dopo la rinuncia. “Rinuncia”, denominandola in modo semplicistico, sempre e comunque al centro di una non semplice disputa canonica, riaccesa dalla fortunata distinzione tra “membro attivo” e “membro contemplativo” a comporre un “ministero allargato”, come precisò mons. Georg Gänswein nel 2016 – fare sintesi si conferma impresa difficile quando ci sono “due Soli”; lo stesso Gänswein ha rilasciato in questi giorni un’intervista destinata a far discutere e riflettere.
Molto probabile, inoltre, che sia stata meditata, come testimonia il suo legame con Celestino V. Ne sono una riprova la Visita Pastorale a Sulmona nel 2010 in occasione degli ottocento anni dalla nascita di San Pietro Celestino e la precedente visita il 28 aprile 2009 a L’Aquila quando donò il suo pallio poggiandolo sull’urna di S. Pietro Celestino nella Basilica di Collemaggio.
Il potere che frena
Massimo Cacciari, intervistato da Vita nel 2013, sostenne che Ratzinger non fosse stato in grado di tenere a freno “l’avanzata delle forze anticristiche” nella Chiesa. È un verbo non casuale quello scelto dal filosofo veneziano: trattenere, tenere a freno, ritardare. Si squadernano alcune delle pagine più dense, enigmatiche, inquiete dell’esegesi cristiana.
“Prima, infatti, verrà l’apostasia e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio”, scrive nella Seconda lettera ai Tessalonicesi San Paolo, che poi prosegue accennando al Mysterium Iniquitatis:
«(…) Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che finora lo trattiene (τὸ κατέχον, ciò o colui che trattiene; dunque, San Paolo lascia un’ambiguità, n.d.r.). Allora l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta».
San Paolo allude a un potere contenitivo e frenante, che si consuma nel tentativo di rallentare il Male perché ha già in sé i semi della sua fine, ma cerca anche di portare l’Ultimo Giorno più avanti perché vive della sua stessa funzione contenitiva, che ne è la giustificazione (cfr. “Il potere che frena” di Cacciari, 2013). Un potere che frena talvolta identificato nell’Impero Romano, lo status romanus ovvero la condizione di stabilità dell’Impero, talvolta nella Chiesa stessa.
Proseguendo nelle letture sulla Fine del Tempo, Giovanni sostiene che ci sono molti “anticristi” che «sono già venuti. (…). Sono usciti da noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; sono usciti perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri».
In tal senso, merita di essere menzionata l’opera di Ticonio, pensatore molto studiato dallo stesso Ratzinger (ne tratta in un suo articolo in tedesco degli anni ’50), che riflette sul “corpo bipartito del Signore” e introduce il concetto della presenza del Male anche all’interno della Chiesa. Concetto ripreso dal filosofo Agamben nel suo “Il mistero del male. Benedetto XVI e la fine dei tempi” (Laterza, 2013):
«Il Cristo e l’Anticristo convivono indissolubilmente nella Chiesa, e ciò sino alla fine dei tempi, quando il Messia sarà nuovamente rivelato».
Prospettive attuali
Per quanto attiene Papa Francesco, formulare un giudizio è ampiamente prematuro. La Chiesa, più volte, ha dimostrato grande capacità di adattamento, modulando la sua narrazione a seconda dei tempi e rilanciando con successo impegno e presenza. Basti citare la “Rerum Novarum” (1891) di Leone XIII che ha permesso alla Chiesa di esprimere una via diversa alla modernità. Dal suo impegno nella polis e dentro il corpo sociale, nasce quella rete di solidarietà ispirata dai valori cristiani, che tutt’oggi sopravvive e sostiene i bisognosi, come lo stesso Benedetto XVI ricostruì nell’enciclica “Caritas in Veritate” (2009).
La riduzione a mero “supporto della società borghese” – sono sempre parole di Cacciari – apre a uno scenario di subalternità. Non che sia la prima volta che il potere politico cerca di smorzare l’influenza della Chiesa, tutt’altro. Non è da escludere che questo atteggiamento remissivo e subalterno, schiacciato sulla narrazione ufficiale, sia l’unico modo per sopravvivere al tempo presente e all’attuale forma di potere. Certo è che ha delle conseguenze tangibili. Dipende, infatti, cosa sopravviverà e come o quanto potere contrattuale conserverà l’istituzione.
In più, la “presunzione di universalismo” di Francesco dovrà confrontarsi con la realtà fattuale di un mondo ristrettosi a sfere di influenza non comunicanti, con la scarsità di risorse e una competizione serrata per esse e, di conseguenza, con sistemi di potere sempre meno contendibili e stagni, sistemi meno liberali e aperti. Del resto, situazioni di scarsità inducono naturaliter opzioni nazionaliste e “illiberali”, orientate al contingentamento dei corpi e delle menti, all’organicità.
Qui, infine, grazie alla riflessione sul potere sopra accennata, si torna, in una instancabile ringkomposition, al pensiero di Joseph Ratzinger, che nel suo “Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo” (Cantagalli, 2003) scriveva:
«La distinzione fra lo Stato e la realtà divina crea lo spazio di una libertà in cui la persona può anche opporsi allo Stato. I martiri sono una testimonianza per questa limitazione del potere assoluto dello Stato. Così è nata una storia di libertà».
In questo sta il carattere insopprimibilmente rivoluzionario del cristianesimo, che per primo riconosce all’uomo una coscienza e una possibilità di scelta autonoma, e per questo rappresenta da sempre un antagonista rispetto alle forze coercitive del potere. Un contropotere. Fino ad oggi?