“Connection before Correction”.
Creare dei legami prima di puntare il dito contro l’un l’altro. È questo il messaggio dell’articolo del rabbino Yakov Nager su The Times of Israel. [1] Tale preghiera alla coesistenza pacifica fra le comunità presenti sul territorio israeliano arriva in seguito all’appello lanciato dall’ormai famoso e decisivo, leader arabo Mansour Abbas (di cui abbiamo parlato ampiamente).
Abbas, in un discorso trasmesso sui principali canali televisivi israeliani, ha parlato di “Jewish-Arab coexistence in Israel” [2], coesistenza tra la comunità araba e quella ebrea. Si è definito “a man of the Islamic Movement, a proud Arab and Muslim, a citizen of the state of Israel” (“Un uomo del movimento islamico, un fiero arabo e musulmano, un cittadino di Israele”), non ha mai pronunciato l’aggettivo palestinese. Ha tenuto lo stesso discorso in ebraico, non in arabo e inizia con un augurio di pace rivolto a tutti i cittadini dello stato d’Israele. “What we have in common is greater than what divides us” (“Quello che ci accomuna è più grande di quello che ci divide”), ha citato diversi passi del Corano in cui si sottolinea l’umanità, caratteristica costante di tutte le persone. Ha ringraziato tutti i suoi sostenitori che gli hanno permesso di diventare la star, potremmo dire, della scena politica israeliana ed è più che consapevole della missione di cui queste elezioni l’hanno investito:
“To create an opportunity for coexistence in this holy land, blessed by three religions and home to two peoples” (“Creare un’opportunità per la coesistenza in questa terra santa per le tre grandi religioni monoteiste e casa di due popoli”).
E pensare che oggi il presidente americano Joe Biden, al telefono con il re di Giordania, ha resuscitato la tristemente famosa formula “two-state solution”! [3]
Abbas, intanto, rincara la dose: “we must give ourselves and our children the right and opportunity to come to know our neighbors” (“Dobbiamo darci e dare ai nostri figli il diritto e l’opportunità di conoscere i propri vicini”). Ha espressamente sottolineato come egli rappresenti il 20% del pubblico israeliano, ma è proprio da questa comunità ristretta che deve partire il cambiamento per “costruire una società civile che sia al di sopra dei suoi componenti”. La responsabilità politica è indispensabile per infondere fiducia tra la popolazione ed evitare che una comunità abbia paura dell’altra e creare insieme un futuro migliore per tutti. È richiesta responsabilità sia da parte dei politici, sia da parte degli elettori per costruire una realtà diversa per i cittadini israeliani. “Israel has changed its face, but she refuses to open her eyes” (“Israele ha cambiato la sua faccia, ma rifiuta di aprire gli occhi”) ha detto riprendendo una famosa canzone ebrea, “Now is the time for change”, ‘adesso’ è il momento del cambiamento.
L’appello del rabbino Yakov Nager
Ritorniamo alla dissertazione del rabbino Yakov Nager. Secondo questi, infatti, è giunto il momento per i leader ebrei di aprirsi sinceramente, con buone intenzioni, alla comunità araba e di accoglierli nell’agone politico per renderli protagonisti a pieno titolo “in building a society that works for everyone” (“nell’edificare una società che funzioni per tutti”). Questo processo non è per niente facile: arriveranno critiche da tutte le parti, ci saranno e ci sono divergenze profonde di opinione fra le due comunità, ma se si aspetta di raggiugere la perfezione, si deve aspettare in eterno. Bisognerebbe, invece, iniziare dal processo contrario: “Connection before Correction”, prima l’unione, poi la correzione, prima si accetta la situazione così com’è, poi si contribuisce a cambiarla dall’interno che è molto più semplice ed intelligente.
Il rabbino continua focalizzandosi sui sospetti che gli ebrei nutrono nei confronti degli arabi: molti, infatti, pensano che le loro intenzioni non siano sincere e che tengano questi discorsi sulla coesistenza solo per meri interessi politici, o addirittura si domandano se le parole pronunciate in arabo corrispondono con le loro “friendly words”, ‘parole amiche’ in ebraico o in inglese. Proprio per sfatare questo mito della diffidenza reciproca, ma soprattutto da parte giudaica, ed enfatizzare il desiderio arabo di unione con la comunità giudaica, il rabbino fornisce tre esempi tratti dalle sue numerose visite nelle scuole arabe di Israele.
Qui di seguito riporterò solo l’ultimo di questi tre esempi, il terzo, quello più significativo perché vede come protagonisti i bambini, mentre gli altri due ragazzi di istituti superiori.
Yakov Nager si reca in una scuola in Galilea, a Kafr Rama e porge ai bambini la seguente domanda.
Israele è uno stato così piccolo che sulle carte geografiche è complicato scrivere il suo nome perché mal si adatta; la sua terra è geograficamente insignificante, il numero di persone uccise e ferite a causa del conflitto arabo-israeliano incombe qui, ma è trascurabile rispetto ai conflitti in altre regioni.
Se è così, perché gli occhi del mondo intero sono attentamente puntati su questa piccola area del globo?
I bambini rispondono: “Tutti sanno che tutto è iniziato qui”.[4]
In effetti, le religioni abramitiche, che sono tutte ispirate da eventi che hanno avuto luogo nel territorio del giovane stato israeliano, oltre 3000 anni fa, rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale.
I bambini di Kafr Rama hanno parlato del passato, ma il rabbino collega il loro ragionamento al presente: nel luogo stesso in cui tutto è iniziato, “dobbiamo cercare un modo per affrontare le sfide di oggi”.
Bibliografia
- Yakov Nagen, “I’s Tome to Heal Jewish- Arab Relations in Israel”, The Times of Israel, 4/04/2021;
- The Times of Israel Staff, “Ra’am Leader Abbas Calls for Arab- Jewish Coexistence, Based on Respect, Equality”, The Times of Israel, 1/04/2021;
- The Times of Israel Staff, “After Restoring Aid to Palestinians, Biden Endorses Two-State Solution”, 8/04/2021;
- Yakov Nagen, “I’s Tome to Heal Jewish- Arab Relations in Israel”, The Times of Israel, 4/04/2021.
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