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Altro che pensiero debole! Un’intervista a Gianni Vattimo su l’AntiDiplomatico (2013)

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Il Tazebao ripropone alcuni passaggi salienti di un’intervista del 2013, pubblicata da l’AntiDiplomatico e giustamente rilanciata, al filosofo Gianni Vattimo, scomparso il 19 settembre scorso. Un’intervista pregevole, che risente del dibattito di allora, e dei protagonisti come Napolitano, sulla crisi dell’Eurozona, in cui il filosofo approfondisce i temi della contemporaneità, perfino le traiettorie del potere che oggi sono ben dispiegate.

La globalizzazione

“Il pericolo più grande esistente oggi nella società è quell’assuefazione di massa alla globalizzazione, all’intensificazione dei rapporti commerciali, all’integrazione, come se essi rappresentassero dei valori o degli obiettivi in sé. Io non ci credo più e ritengo che bisogna tornare a valorizzare le differenze. Basta vedere, del resto, gli effetti della politica europea verso l’Italia o i paesi dell’Europa del Sud, integrati in una gabbia che non riusciamo più a toglierci e che ci soffoca (…)”.

I partiti della sinistra

“(…) La responsabilità della sinistra è quella di essersi lasciata persuadere, includere, convertire dall’idea che il sistema finanziario dovesse essere al centro. Il risultato è che hanno aiutato a creare un modello tale per cui, ad esempio, la forbice tra il salario di un lavoratore ed uno stipendio di un super manager è passata da 1 a 20 a 1 a 400 negli ultimi anni”.

L’appiattimento ideologico

“Vorrei che il pensiero filosofico fosse responsabile, ma purtroppo lo è sempre meno. Quello che si può dire è che c’è stata una dimissione eccessiva nel voler partecipare al dibattito politico. Ed il tutto deriva secondo me dai lasciti dello stalinismo. Chi ha mai difeso in occidente Stalin? Neanche il più fervente ammiratore sovietico. Eppure Stalin è stato accusato anche di colpe non sue nell’azione di costruire una grande potenza in grado di concorrere con gli Stati Uniti, ad esempio, nella corsa allo spazio. Si è voluto indurre Stalin come personaggio unicamente sanguinario perché in questo modo lo stalinismo è servito a delegittimare tutti gli altri modelli di sviluppo diversi dal pensiero unico. Sui modelli di sviluppo nuovi, oggi o ci rassegniamo a quello che fanno, ad esempio, Letta e Napolitano, vale a dire oliare gli ingranaggi esistenti, oppure pensiamo a qualcosa di nuovo. Da questo punto di vista ho visto alcuni grandi segnali di speranza dal Sud America, dove esistono democrazie più giovani delle nostre, emerse dal colonialismo, ma che hanno avuto il coraggio di spingersi oltre il giogo degli Stati Uniti e non appiattirsi al modello di sviluppo unico. Quando però porto l’esempio positivo della forte partecipazione popolare, ad esempio, in Venezuela, mi si ribatte che a farlo sono solo i sostenitori di Chávez. E allora? Vogliamo la neutralità ed andare a votare un sistema preparato da quattro oligarchie? Io preferisco un modello meno democratico-occidentale, ma più carismatico e maggiormente basato su valori solidali. È una deriva fascista questa? E quello che abbiamo in Italia ed in Europa come la chiamiamo?”

L’ordine internazione

“Quello che mi ha sempre differenziato dal pensiero di Habermas è stata la sua fede permanente nei valori occidentali e, soprattutto, la sua visione delle Nazioni Unite come organizzazione in grado di realizzare quella repubblica cosmopolita di giustizia internazionale sul sogno kantiano. Io non sono affatto convinto di quest’ordine mondiale (…)”.

Il destino dell’Unione

“Un’Europa davvero socialista sarebbe un’Europa auspicabile. Ma gli anni dal 2005 ad oggi hanno dimostrato come questa sia un’utopia. Molta sinistra democratica ha confuso la politica europea con le istituzioni europee. L’esempio di Giorgio Napolitano è emblematico da questo punto di vista: il presidente della Repubblica ha sempre creduto nell’Europa, come se la Costituzione europea ed il più Europa sostituisse qualunque ideologia possibile. Non è così. (…) Oggi l’integrazione europea esiste, ma serve solo per imporre il Fiscal Compact all’Italia. (…) Non si può restare nel passato e dobbiamo comprendere dove queste istituzioni stanno andando e perché stiamo procedendo con questo tipo d’integrazione. Un’Europa socialista sarebbe auspicabile, ma al momento non è pensabile e quello che oggi si è creato rappresenta tutto ciò che di più lontano si poteva desiderare”.

Crisi greca e tecnocrazia

“Se penso alla definizione di Gramsci di fascismo, vale a dire un sistema in cui un’organizzazione tecnico-economica è in grado di imporre con la forza il suo modello, mi domando: cosa è cambiato oggi? Solamente lo strumento: non ci picchiano più in testa, non c’è più l’olio di ricino, ma ci obbligano all’austerity. È una governance mondiale che serve coloro che statisticamente ci guadagnano: la forbice tra i poveri ed i ricchi del mondo aumenta in modo selvaggio e c’è uno spostamento costante del Pil mondiale dal mondo del lavoro a quello finanziario. Non so valutarlo tecnicamente, ma è un risultato di questa dittatura oligarco-finanziaria”.

L’imperialismo

“Si tratta di un concetto nevralgico da comprendere. Se ci fosse ancora l’imperialismo tradizionale, almeno si saprebbe cosa colpire. Oggi, al contrario, si sono realizzate molte delle teorie di Foucault degli anni ’70 e ’80 sulla microfisica del potere. (…) La speranza che ho è quella che aveva Marcuse, vale a dire che il proletariato possa trovare nuovi spazi di ribellione dopo la pacificazione tra socialismo e capitalismo. Ma il problema è che al nostro interno non abbiamo al momento le risorse necessarie per contrastare quelle imposizioni nord americane, che ci hanno obbligato a cambiare i nostri stili di vita e stanno distruggendo il nostro sistema sociale. Con le basi militari in tutt’Italia ed il nostro territorio che è un deposito di bombe atomiche gestito dalla Nato e dal Pentagono, che senso hanno i programmi politici che ci presentano ad ogni elezione? La spinta al cambiamento è però inevitabile e, secondo me, subirà un’ulteriore accelerata dalla pressione esterna degli immigrati. Dobbiamo trovare il modo di cambiare le cose e sopravvivere tutti insieme”.

Libri e autori da leggere

“(…) Temo che non siano i libri che ci mancano, ma è comprendere perché il proletariato non torni a far sentire la propria voce in modo forte e a ritrovare quegli spazi che auspicava Marcuse. La risposta che mi sono dato è che al tempo di Marx non c’era la televisione. Oggi, al contrario, è come se ci spruzzassero nell’aria una serie di tranquillizzanti. Come è possibile che gli italiani sopportino il degrado in corso, il fatto che i genitori non possano permettersi il dopo scuola per i figli o che siano messi in discussione le tutele dei bisogni minimi esistenziali? Se dovessero scoppiare nei prossimi mesi dei conflitti sociali duri aumenterà la pressione poliziesca. Del resto, il caso della Tav in Val di Susa è un laboratorio di prova di uno stato sempre più militarizzato, sempre più distaccato dagli interessi della gente e pronto a farsi vedere con tutti i mezzi, anche quelli più duri”.

Fonte: “L’integrazione europea: io non ci credo più”. L’intervista del 2013 di Gianni Vattimo a l’AntiDiplomatico (di un’attualità incredibile)

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