Trieste la multipolare. La guerra egemonica riaccende la questione triestina

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Il Tazebao – L’identità di Trieste nasce dall’essere sempre stata al confine, alla periferia di un grande impero e di un potere centrale, dal suo essere una commistione necessaria tra cultura italiana, slava, tedesca. La vita triestina è tutta pervasa dalla presenza del mare, quell’autostrada liquida Nord-Sud che è l’Adriatico, come la rappresenta la Tabula Peutingeriana. Al tempo della dominazione austriaca, Trieste, per citare il grande Egidio Ivetic, era per Vienna ciò che Odessa era per la Russia, cioè il porto economico, mentre Pola, la città natale di Ivetic, era “la Sebastopoli di Vienna”, il porto militare; tuttavia, l’attivismo della NATO rischia di sbilanciare Trieste, trasformandola in porto militare a tutti gli effetti, nell’ambito dell’iniziativa del Trimarium, insieme a Danzica in Polonia e Costanza in Romania.

Trieste non esiste solo come luogo dello spirito, nelle reminiscenze dello scrittore triestino Claudio Magris o dei grandi che l’hanno vissuta e attraversata, cogliendo nella vitalità del suo porto i segnali, e le contraddizioni, della modernità. Nonostante anni di abbandono e di incuria, più o meno voluta, con l’ombra sempre incombente della speculazione immobiliare nel vecchio porto franco, Trieste rimane una realtà economica. Certo, non sono più gli anni del tumultuoso sviluppo ottocentesco, quando la città pensava di raggiungere i 500 mila abitanti, diventando una metropoli di quell’Impero che tutti criticavano e che, in un certo senso, in molti rimpiangono. Negli ultimi anni, complici la guerra e il blocco di Suez, tutto il settore portuale italiano ha subito pesanti danni economici, tanto che, nel 2023, 14 autorità portuali su 16 hanno chiuso con il segno meno (-4,9% di container per Trieste).

In questo particolare humus triestino, tre anni fa, sono scoppiate le proteste di vaste proporzioni e con ampia eco mediatica dei portuali, mosse principalmente, ma non solo, contro il “green pass” (la certificazione sanitaria di avvenuta vaccinazione introdotta nel 2021 e progressivamente irrigidita). Quando i porti si infiammano, che si tratti di Kiel (1918) o dei cantieri navali di Danzica (1980), può succedere di tutto. Non c’è da stupirsi, allora, della repressione particolarmente feroce voluta dal governo Draghi. Visto che dal confine la realtà appare più nitida, dietro la questione economica stava emergendo una questione politica e geopolitica. Trieste, stando ai contenuti del Trattato di Parigi, dovrebbe essere un “territorio libero” con un “porto franco”, ma così non è stato perché Italia e Jugoslavia si misero d’accordo per la spartizione di Trieste con un colpo di penna.

Ciononondimeno, in un contesto di crescenti venti di guerra, molti triestini stanno ponendo la questione. Sulla scorta delle proteste contro il “green pass”, è nato il Fronte della Primavera Triestina che, in questi giorni, ha protestato vigorosamente contro la presenza della NATO nel porto di Trieste, visto che «il Trattato di Pace di Parigi – affermano in una nota – stabilisce la neutralità e la smilitarizzazione del nostro porto».

È questo un punto di contatto tra il Fronte della Primavera Triestina e il Socialismo Italico (Socit). Il segretario Giovanni Amicarella ha rilevato: «La conformazione strategica del territorio di Trieste, inserita nella lotta e nell’idea di una pace sociale per tutti i popoli d’Italia e d’Europa, non può lasciare indifferente chi si definisce patriottico, pena il fare scadere la concezione ad un mero vezzo elettorale. Assieme al Fronte condividiamo parte dell’origine, ambedue ci siamo fatti strada in quel tumulto che fu il movimento giovanile contro il green pass, di cui oramai siamo rimasti probabilmente gli ultimi due movimenti politici, socialisti e identitari, senza paura di definirsi tali».

Capitalismo e consumi vorrebbero livellare le differenze, nella “grande scacchiera” non sembra esserci posto per quella che un altro amante del Mediterraneo e dell’Adriatico, Braudel, chiamava la longue durée; eppure, c’è un genius loci, uno spirito del posto, un’autenticità insopprimibile, anche a Trieste, ovunque in Italia.

In questo spirito è possibile trovare i semi di un dissenso e costruire un antagonismo a una storia che non è già scritta.

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