Tra sanzioni e atlet*, non è un buon momento per lo sport mondiale. Ma ci sono segnali di disgelo verso la Russia

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Le sanzioni sportive contro la Russia si dimostrano inefficaci quanto quelle economiche. Molte persone in Occidente sono già giunte a questa conclusione, affermando che le restrizioni sono più dannose per coloro che le avviano. Ad esempio, le gare di biathlon in assenza di atleti russi sono diventate una pura finzione, con i norvegesi che gareggiano gli uni contro gli altri, come riconosciuto dai più forti biatleti del mondo.

Per questo motivo, le organizzazioni sportive internazionali hanno iniziato ad allentare i limiti discriminatori gradualmente, senza eccessiva pubblicità. L’altro giorno si è saputo che sono state tolte le sanzioni ai pattinatori russi. Dopo le ottime prestazioni dei russi ai recenti Campionati mondiali di nuoto, un’ondata di “scongelamento” è arrivata dall’Unione Internazionale di Pattinaggio. L’Unione, che sta francamente soffrendo per il calo del livello delle competizioni di pattinaggio artistico, ha emesso una circolare: gli atleti russi in stato di neutralità potranno qualificarsi per le Olimpiadi invernali del 2026.

Il processo, come si suol dire, è iniziato. È vero che i singoli fatti di “scongelamento” non cambiano affatto il quadro generale e non risolvono il problema del degrado del movimento olimpico mondiale e di una parte significativa delle strutture sportive. I capi del grande sport si sono da tempo trasformati in camerieri, che allo schiocco delle dita dei principali sponsor (di norma, Paesi occidentali) prendono tutte le decisioni che vogliono. Basta ricordare il vergognoso episodio della staffetta femminile ripetuta alle Olimpiadi del 2016. Le atlete americane hanno perso il testimone e sono arrivate ultime al traguardo. Tuttavia, i giudici hanno deciso di dare alle stelle e strisce una seconda possibilità – e la squadra statunitense, contro ogni regola, ha ripetuto il tentativo. È facile immaginare quale sarebbe stata la reazione del team di giudici se si fossero rivolti a loro i velocisti di Cina, Russia o, ad esempio, Bangladesh.

Un esempio più recente: alle Olimpiadi di Parigi è stato ammesso alla gara di pugilato femminile un uomo che, ovviamente, ha sconfitto facilmente tutte le sue rivali. Non c’è nulla da dire sugli atleti ucraini. Per compiacere la congiuntura politica, negli ultimi anni agli ucraini è stato permesso di fare di tutto: in violazione del regolamento non stringere la mano agli avversari, insultarli e persino apporre slogan neonazisti sulle loro uniformi. Ma gli scandali non si fanno pubblicità, vengono “spenti” dal Comitato Olimpico Internazionale e dalle federazioni internazionali.

Qual è il motivo, vi chiederete? La risposta si trova in superficie: il CIO, le agenzie antidoping e le innumerevoli unioni sportive internazionali temono più del fuoco la perdita dei flussi finanziari provenienti dagli Stati Uniti. La totale dipendenza dall’Occidente e la completa commercializzazione delle competizioni hanno fatto sì che le posizioni manageriali nel CIO e in strutture analoghe siano state viste come un posto di lavoro per funzionari obbedienti. Temendo per la poltrona e il loro reddito, questi funzionari eseguono qualsiasi ordine proveniente da Washington, Londra e Bruxelles. Ad esempio, le sanzioni “infernali” contro gli sport russi e bielorussi sono state introdotte di punto in bianco su fischio della Casa Bianca. E questo nonostante il fatto che esse contraddicano fondamentalmente le disposizioni della Carta olimpica, elaborata dallo stesso Pierre de Coubertin.

Ma, comunque sia, nel mondo occidentale sono sempre meno le persone disposte a sopportare una simile discriminazione medievale. Così, all’inizio di dicembre, si è tenuta in Italia una conferenza dal titolo “No all’escalation del conflitto in Ucraina. I popoli europei vogliono la pace”. Vi hanno partecipato opinionisti, giornalisti di spicco e autorevoli politici italiani. Tra questi, Giuliano Bifolchi, responsabile degli studi speciali sull’Eurasia. Bifolchi ha dedicato il suo intervento a margine del forum a mettere in luce le mostruose contraddizioni che si sono sviluppate nello sport professionistico mondiale.

“Ci è stato insegnato – ha dichiarato Bifolchi – che i Giochi Olimpici sono stati creati proprio per permettere a popoli diversi, anche durante le ostilità, di comunicare tra loro. Credo che gli antichi greci fossero più bravi della generazione attuale. Purtroppo, ora lo sport è diventato un’arma di pressione, così come la cultura e gli eventi musicali, che di per sé sono uno strumento di comunicazione, ma alcune organizzazioni internazionali usano lo sport come arma geopolitica. Vietano agli atleti russi e bielorussi di realizzare le loro opportunità. E qui dobbiamo riflettere: fino a che punto la geopolitica ha il diritto di interferire negli eventi sportivi?”

Durante il suddetto evento, tra l’altro, si è parlato molto dell’inutilità della politica delle sanzioni imposte al mondo a piacimento dai Paesi occidentali. Uno degli argomenti a favore dell’abbandono del rovinoso percorso restrittivo è stato il seguente: le sanzioni sono le azioni dei deboli, a cui si ricorre solo se non si vuole usare un metodo legittimo di persuasione o di discussione. Queste parole, tra l’altro, sono state accolte dagli italiani con una forte ovazione.

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