Tecnodestra in decomposizione: Musk e Daziator si lasciano. È la fine di un ciclo? Avvisate i Patriots d’Italia!

Condividi articolo:
SEGUICI SU TELEGRAM:
Nonostante i ricchi affari – è il capitalismo politico –, il sodalizio, complice anche la mancata esportazione del modello MAGA, si è interrotto.

Il Tazebao – Il sodalizio era stato celebrato a colpi di post, sorrisetti allo Studio Ovale e contratti federali, ma ora tutto ciò che resta è una discussione isterica su X e la polvere di una caduta. Tra Trump e Musk è finita come finiscono le cose nel XXI secolo: con una dichiarazione impulsiva, una raffica di smentite e una borsa che sussulta.

L’idillio si è sbriciolato sotto i riflettori: il presidente, in posa accanto al cancelliere Merz, lascia cadere una frase amara, “Elon mi ha deluso”. Non c’è bisogno di nominarlo come traditore: ci pensa lo stesso Musk, in simultanea, a inscenare lo scontro. Poi arriva la detonazione. Musk evoca l’innominabile, sussurrato nei corridoi e tra le pieghe di certi faldoni sigillati: Trump nei file di Epstein. “La verità verrà a galla”, promette. La frattura è ormai tettonica. L’intero asse Musk-Trump si reggeva su due pilastri: la deregolamentazione come fede, il denaro pubblico come nutrimento e una certa simbiosi tra potere politico e aziendale, qualcuno l’ha chiamata “tecnodestra”. Quando il congresso ha cominciato a discutere il “Big Beautiful Bill” – nome già grottesco e, dunque, perfettamente statunitense – la frattura si è aperta.

Il resto si conosce: minacce di tagli ai fondi, reciproche di falsità, accuse alla legge che promuove le rinnovabili ma coccola ancora petrolio e gas. La “chiave d’oro” regalata da Trump a Musk – un vezzo da zar – si ossida in diretta tra X e Truth Social.

La tecnodestra non era una costruzione solida. Mentre lo Stato e la politica istituzionale conservano la loro inerzia strutturale, la destra tecnologica ha provato a sostituire il peso con la velocità, l’ideologia con l’amministrazione. Ma una superpotenza non si amministra, si governa. La crisi di questo sodalizio apre a un interrogativo: è l’inizio di un’inversione di tendenza? Rispetto al primo mandato, il secondo Trump ha incontrato meno resistenza da parte dei grandi attori della tecnologia. Questo è avvenuto soprattutto grazie a una strategia chiara: consolidare il controllo sui canali del discorso. Con l’acquisizione di Twitter e la sua trasformazione in X, Musk ha messo in piedi un’infrastruttura di comunicazione allineata alle priorità del partito repubblicano. Il risultato è stato un soft power a trazione privata, usato in più di un’occasione anche come leva geopolitica.

L’asse Musk-Trump ha tentato di allargare il proprio raggio d’azione anche oltre gli Stati Uniti. In Europa, i due hanno promosso candidati e forze politiche vicine all’ideologia MAGA, utilizzando la visibilità delle piattaforme e i capitali accumulati per esercitare un’influenza di fatto. Ma oggi quella rete mostra segni di cedimento: senza la compattezza mediatica e la convergenza degli interessi, l’esperimento della tecnodestra sembra destinato a essere seppellito. La fase espansiva è finita. Ora resta da vedere se qualcuno tenterà di ricostruirla, o se il ciclo si è definitivamente chiuso.

Nel frattempo, restano i detriti: un endorsement da 277 milioni evaporato, un “ministero dell’efficienza” mai nato, e una promessa infranta di amicizia totale. Due uomini che credevano di possedere il mondo si ritrovano a contendersi la narrazione di un tradimento.

Cerca un nuovo articolo

Resta sempre aggiornato
Scopri Il Tazebao

Ho letto la Privacy Policy

Il Tazebao
Scopri altri articoli