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Riforme. Legittimazione diretta, presidenzialismo o simul simul per l’esecutivo? Nazione Futura a confronto

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Giovedì 2 febbraio si è tenuto alla Camera dei Deputati un convegno di stampo accademico del centro studi Nazione Futura, in collaborazione con la Associazione Italiana Giovani Avvocati, la Rete Liberale e la Fondazione Tatarella sul tema delle riforme costituzionali.

I professori hanno cercato di dare uno sguardo d’insieme sulle tendenze, le limitazioni e le sfide della Costituzione e delle sue riforme. Temi centrali dell’incontro sono stati la riforma del Titolo V, la necessità di una forma di governo stabile per via delle nuove forze a livello subnazionale e sovranazionale, l’ipotesi presidenziale, il bilanciamento fra i poteri, venuto meno con la l. 3/1993 che, sulla scia dell’indignazione di Tangentopoli, ha modificato l’autorizzazione a procedere e l’equilibrio dei poteri che garantiva l’indipendenza della politica di fronte all’indipendenza della magistratura.

Importare un modello?

È intervenuto il prof. Francesco Clementi, La Sapienza, sottolineando che la questione delle riforme è un tema politico innanzitutto, e un tema che va affrontato con punti di riferimento italiani.

Guardando ai sistemi presidenziali, ha fatto alcune valutazioni:
sul modello americano, altamente conflittuale, una società frammentata e affaticata, come quella italiana, potrebbe non reggerebbe un sistema presidenziale conflittuale (anche per via di un sistema Regionale molto meno forte rispetto al modello federale).

Dall’altra parte, un modello più flessibile come quello francese può dar luogo a delle coabitazioni, quando un presidente non è in maggioranza col Parlamento. Un sistema politicamente frammentato come quello italiano, però, prevede il presidente come motore di riserva: un tale sistema potrebbe essere stabile, ma non forte.

Ha suggerito come chiave di volta il maggioritario. Un premier non dovrebbe essere necessariamente eletto, ma legittimato direttamente, assicurando così una maggiore stabilità. E, guardando all’attuale ruolo del Presidente del Consiglio come arbitro o “vigile urbano” del Consiglio dei ministri, il prof. ha ribadito l’inadeguatezza di fronte alla storia e le dinamiche europee attuali.

La via referendaria

Il prof. Giovanni Guzzetta, di Tor Vergata, ha aperto il suo intervento guardando alla riforma della Commissione bicamerale D’Alema 1998, che aveva già suggerito un meccanismo presidenziale, facendo un’importante considerazione: gli accordi politici non reggono il tempo delle riforme — come per il Patto del Nazareno.

Il prof. ha suggerito che uno strumento valido per aggirare il problema è proprio la forma referendaria, già scelta istituzionale di De Gasperi, che non era stata inizialmente prevista, per decomprimere l’Assemblea sulla scelta repubblica-monarchia.

Citando una lettera di De Gasperi a Sturzo del 1946: “I socialcomunisti opposero una tenace resistenza all’ipotesi di referendum, obiettando che il popolo non fosse maturo per tale voto. Per me, il referendum ha un grande valore morale, perché dà il senso democratico e pacificatore di una suprema decisione popolare, di un consenso esplicito a una nuova forma di Stato”.

Sulla questione delle crisi di governo, un’abitudine culturale, insieme al trasformismo, che impone di governare in coalizione, il professore suggerisce essere un elemento disciplinante se utilizzato come deterrente, passando da una situazione di extrema ratio in mano al Presidente della Repubblica a una scelta in mano all’esecutivo.

Il premierato non è un modello arginante a una prassi tutta italiana: nessun premier ha il potere di scioglimento, con ‘’eccezione del Primo Ministro inglese, che lo ha in qualità di leader del partito di maggioranza, tramite il Re. Il professore ha suggerito anche la validità dell’altro modello francese ma ha ribadito la necessità di una decisione popolare.

L’elezione diretta

Anche l’intervento del prof. Francesco Saverio Marini, di Tor Vergata, è partito dalla questione del metodo, con un’interrogazione sulle riforme fallite e sui successi di riforma, osservando che le riforme riuscite sono state circoscritte, anche per non spaventare gli elettori e per rendere il voto agevole. Ha quindi escluso la possibilità di riformare
interamente la seconda parte della Costituzione.

Sulla personalizzazione della riforma, ha avanzato la necessità di non intestare eventuali riforme alla maggioranza, creando un testo durevole e di consenso largo, ma sottolineando il rischio di una negoziazione a ribasso, una “riformicchia gattopardesca” inutile.

La minima esigenza di una stabilità dei governi e la crisi della politica, ha considerato, impone chiarezza sulle fonti di legittimazione democratica, suggerendo un’elezione diretta come possibile soluzione per rafforzare fisiologicamente il governo, risolvendo il problema della responsabilità politica.

Il “complesso del tiranno” non passa

La prof.ssa Ida Nicotra, dell’Università di Catania, è entrata immediatamente nella questione di merito, spiegando che nonostante tutte le riforme importanti che sono state fatte, l’Assemblea Costituente sapeva benissimo di creare un sistema tendente al parlamentarismo. A questo scopo fu avanzato l’ordine del giorno di Tommaso Perassi che prevedeva un sistema parlamentare con dei delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori iscritti nel comune della circoscrizione elettorale, un sistema di “presidi” e che avrebbe introdotto una forma di rappresentazione regionale.

Il “complesso del tiranno” ha sempre impedito una riforma di un esecutivo voluto debole dalla Costituente. Nonostante le riforme siano state importanti, toccando rapporti fra Stato e Regioni, l’introduzione dell’ambiente, il numero dei parlamentari, l’unica parte che non ha subito riforme, è la forma di governo, per via del citato complesso.

La prof.ssa ha quindi riflettuto sulla necessità di creare un modello italiano senza trasporre dall’estero, guardando alle riforme bocciate del 2006 e del 2016 e al contesto. La prof.ssa ha avanzato due grandi alternative. Un collegamento forte fra Presidente del Consiglio e il corpo elettorale, sulla base dei risultati delle elezioni per mezzo del Presidente della Repubblica, come nel governo regionale italiano, con l’elezione diretta del Presidente della Regione con una formula simul stabunt simul cadent con il legislativo: se manca la fiducia, si torna a votare. Un’altra possibile soluzione della crisi di governo potrebbe essere anche la delineazione di un successore, nella mancanza del quale si torni a votare.

Solo riforme minime?

Il prof. Edoardo Raffiotta, dell’Università Milano-Bicocca, è intervenuto partendo dall’intervento della prof.ssa Nicotra e guardando al contesto politico e sociale del momento che rende la riforma agevole: in un contesto di maggioranza forte, e con un
terzo polo all’opposizione che aveva a suo tempo promosso una riforma della forma di governo.

La parte più importante, ha ribadito, è il tempo: utilizzare quindi il metodo classico per la riforma costituzionale, secondo l’art. 138, concentrandosi sulla forma di governo per fare una riforma circoscritta senza toccare il Titolo V, già riscritto dalla Corte costituzionale, e fare una riforma semplice ed essenziale per evitare una levata di scudi dei difensori della “Costituzione più bella del mondo”. Il prof. ha supportato le ipotesi di una forma di premierato con un potere di scioglimento delle camere oppure della clausola simul…simul… con lo stesso effetto di deterrenza.

Riflessioni conclusive

Il convegno, scherzosamente definito di “ingegneria costituzionale”, è terminato con un dibattito fra i professori, dove si sono sottolineati alcuni possibili problemi transizione, la necessità di avere una forma di governo di largo consenso, il grande nodo delle disomogeneità sociali, economiche e politiche fra Nord e Sud.

Una giornata di importantissimo dibattito accademico su un tema istituzionale che è di centrale importanza. Il nodo della forma di governo determinerà il pieno esercizio della democrazia in un momento in cui l’astensionismo elettorale e la crisi democratica hanno accelerato la degenerazione del parlamentarismo selvaggio e della sfiducia nella politica.

Sulla risoluzione di questo nodo si gioca la legittimità dei governi, la responsabilità politica in un contesto internazionale che ha stretto i governi nazionali, sollecitando le istituzioni.

Per approfondire: Inaugurato alla Camera l’Osservatorio sulle Riforme di Nazione Futura

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