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Note sulla narrazione di un orrendo pluriomicidio familiare

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La narrazione pubblica del plurimo omicidio di Dugnano merita alcune considerazioni, al di là dell’accertamento dei fatti, che solo allo specifico procedimento giudiziario e, segnatamente, nel processo penale è demandato: contrariamente alla diuturna narrazione di violenza di genere e di Femminicidio, le espressioni Fratricidio, Matricidio e Parricidio, con la loro profonda semanticità simbolico-ancestrale, sono completamente assenti dal discorso pubblico sul nefando crimine, che vede indagato un diciassettenne reoconfesso di ben 68 coltellate verso Fratello, Madre e Padre.

Forse perché la Famiglia, nell’inconscio collettivo contemporaneo, è spesso intesa come ingombrante ostacolo da scavalcare per la espansione senza limiti dell’individuo, la narrativa del crimine, focalizzata sulla soggettività del malessere profondo del reo, rimuove così la oggettività del vinculum sanguinis che lo avvince alle vittime, deprivando però l’analisi di aspetti simbolici connotanti la specifica tragicità del caso.

Così l’immagine di una famiglia normale, sorridente su una barca in periodo vacanziero e confermata nella quotidianità dai vicini e conoscenti ritualmente intervistati, accresce lo sgomento dell’opinione pubblica destabilizzata da non poter collocare la scaturigine di tanto male in un aggressore esterno al rappresentato idillio familiare. Il contesto di benessere del profondo Nord della tragedia − consumatasi spente le luci di festeggiamento di compleanno paterno − rende impossibile relegare in stereotipate marginalità di degrado possibili spiragli sociologici esplicativi.

La enigmaticità del movente si appalesa speculare alla enigmaticità della paralisi reattiva del forte padre e della giovane madre di fronte alla furia omicida del diciassettenne, in primis fratricida verso un bambino dodicenne dormiente nel suo lettino. Alla banalizzazione della stigmatizzazione benpensante dei social media ed alla ennesima generalizzazione sul disagio giovanile, fa riscontro il ricordo dei più dotti che simili delitti endofamiliari si sono verificati pur prima dell’esistenza dei social.

Eppure, il delitto in questione presenta un complesso d’inquietante peculiarità oggettiva, soggettiva e contestuale, che suscita l’impressione di furia demoniaca impossessatasi di un soggetto qui non agit sed agitur.

Quale intelligenza artificiale potrà risolvere il mistero della pulsione criminale insopprimibile di Caino agente con riconosciuta premeditazione frigido et pacatoque animo ovvero cogliere i segni di malessere letale sfuggiti a familiari, Insegnanti e Amici? Quale vaccino potrà immunizzare dal virus della violenza sanguinaria più efferata, nella civiltà secolarizzata dell’abbondanza consumistica e tecnologico-digitale? Quale disincarnata razionalità potrà attingere gli abissi delle più profonde pulsioni del subconscio?

In una società iper-comunicativa e neo-belligerante, dove i confini tra pubblicità e informazione si confondono anche nella subliminale anestetizzazione rispetto all’uccisione di Esseri umani, incombe una potente asfissia interrogativa di tragedia senza catarsi: una strisciante normalizzazione comunicativa del Male, deprivato della dimensione del senso tragico, prende il posto della consapevolezza della “banalità del male” che può scatenarsi rimossi i freni inibitori individuali e sociali . Lacerata nel discorso pubblico la fratellanza universale tra tutti gli Esseri umani, quale asse valoriale imprescindibile della Pace tra le aggregazioni umane faticosamente costruito nella Storia, il fratricidio dell’inerme, preliminare alla distruzione della Comunità familiare, assurge a segno di temperie inquieta di più ampie distruzioni.

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L’Enigmatico n42

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