Melancolia § I del Maestro di Norimberga: una panoramica sulle interpretazioni (parte 3)

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Il Tazebao è lieto di pubblicare, in tre puntate, la tesi di Rosario Gullì su Melancolia § I di Albrecht Dürer. Questa la terza parte in cui l’autore entra più nel dettaglio sul bulino magistrale.
Una singolare interpretazione: Louis Barmont e la sua visione esoterica cristiana

Essendo una delle opere più enigmatiche nella storia dell’arte, a causa di una predominanza del linguaggio simbolico nonché di un’evidente allusione criptica e della possibile, se non indubbia, presenza di un messaggio esoterico complesso e ricco di simboli criptici, l’unica possibilità di una corretta decifrazione in tale senso può solamente risiedere nel possesso delle sue effettive chiavi di decrittazione.

Diventa pertanto preziosissima e provvidenziale l’opera di Louis Barmont, esoterista cristiano del ‘900, membro della Fratellanza dei Cavalieri del Divino Paracleto, appartenente agli ambienti di Louis Charbonneau-Lassay.

Barmont tratta in modo estremamente limpido, sebbene incompleto per sua stessa ammissione, gli elementi che nella Melancolia § I costituiscono il corpus esoterico del messaggio düreriano, collegandolo indissolubilmente ai caratteri dell’esoterismo cristiano di Renè Guènon e alla sua lettura in questi termini dell’opera dantesca, senza tralasciare i collegamenti alle tradizioni mediorientali Islamiche, Lamaiste e Indiane.

Nel testo l’autore si sofferma solamente su alcuni dei tanti simboli presenti nel bulino magistrale, quelli che secondo la sua visione possono rappresentare una chiave di lettura dell’insieme. Per Barmont, è inoltre chiara in Dürer l’appartenenza ai modi espressivi propri della forma cristiana della Tradizione, comprendendo in questo le scienze sacre che vanno a costituire l’ermetismo cristiano.

La disamina di Barmont parte innanzitutto da quelli che per lui sono veri e propri errori interpretativi dei precedenti studiosi e che pertanto vanno rettificati e posti nella luce corretta. Fatto ciò, passa in rassegna altri elementi della composizione esplorandone i caratteri ermetici preminenti.

I singoli elementi in termini esoterici

Passiamo ora qui in rassegna, con una descrizione sintetica, i principali simboli che B. tratta nel suo breve ma denso saggio, in cui la chiave di lettura è di enorme respiro e la cui comprensione è da approcciare con il proprio sentire interiore oltre che con l’intelletto.

Cometa, Bilancia, Clessidra, Meridiana, Scala a pioli e Arcobaleno

Diversamente da quanto ispirato e accolto dai pensatori sul “sole nero della malinconia”, l’autore esprime la chiara evidenza del fatto che sopra il paesaggio marino è esplicitamente rappresentata una cometa, realmente avvistata nel cielo occidentale tra il 1513 ed il 1514, ed «osservata dall’artista attraverso un arcobaleno nel corso di una giornata temporalesca», situazione che, secondo l’autore, «spiega l’atteggiamento del grande angelo e dell’animale».

Di grande rilevanza la direzione NO-SE in direzione della Bilancia, simbolo presente nella composizione ed allusivo della omonima costellazione, per qualificarla come “astro di cattivo augurio”, “del Giudizio Universale”, e della “Fine dei Tempi”.

Non è quindi un caso trovare ai lati della bilancia degli strumenti di misura del tempo, quali la clessidra e la meridiana, che denotano il fluire precipitoso degli avvenimenti del Ciclo volto al suo termine.

La scala a pioli, in numero di sette, viene vista dal saggista come riferita ai sette stati dell’essere e ai relativi sette gradi iniziatici mitraici così come anche, e soprattutto, ai “sette millenni”. Non a caso, fa notare l’autore, che il primo e il settimo piolo siano parziali in quanto stanno a rappresentare «l’arresto della rotazione del Mondo e la sua fissazione in uno stato finale che è la restaurazione dello stato Primordiale», pertanto un ritorno al Principio.

Alla luce di questa visione, la cometa viene interpretata anche come «agente igneo del cataclisma» che provocherà «la calcinazione del mondo», la quale sottende alchemicamente al suo stato di ossidazione, alla perdita di tutte le sue sostanze volatili, e quindi alla fine del Ciclo.

In quest’ottica, l’arcobaleno rappresenta l’alleanza con il divino nel momento del rinnovamento del mondo, della fine di un ciclo e principio di quello futuro, e così diventa l’elemento complementare della cometa, che insieme raffigurano una sola realtà.

Il Leviero/Veltro (cane), la sfera, il poliedro e gli utensili

L’animale acciambellato e addormentato ai piedi del genio alato è per B., chiaramente, non un cane qualsiasi ma bensì un levriero, riconoscibile a colpo d’occhio da chiunque vista la maestria ed accuratezza anatomica con cui è stato rappresentato dal Dürer.

Immediata e netta è per B. l’interpretazione di tale levriero come il Veltro di dantesca memoria, in attesa di lottare contro la “Lupa anticristica”, così come anche il “Cinquecento dieci e cinque”, sempre citato profeticamente da Dante, indicante il numero col quale si rende simbolicamente un personaggio che avrebbe dovuto liberare la società di tutto quanto le impediva di vivere virtuosamente e pacificamente.

Non a caso, intendendo tale numero secondo la scrittura dell’antica Roma, si perviene alla parola DUX (condottiero, capitano), equivalente al “Khan” della popolazione Tartara, la cui funzione universale è la medesima di figure similari in altre tradizioni (il Madhi in quella islamica, il Guesar di Ling in quella Lamaista,…), e che profetizza la seconda nascita umana del Cristo, la sua ridiscesa dal Cielo alla Terra.

Una visione di stampo apocalittico, che segue i testi della Tradizione e che si collega anche con altre tradizioni ermetiche tra cui l’Induismo, il Mazdeismo, la Tradizione Cinese e il Buddhismo, oltre alle tre principali tradizioni semitiche di forma esotericamente religiosa di tipo metafisico (Giudaismo, Cristianesimo e Islamismo).

Intorno al levriero troviamo nella composizione molti altri elementi che B. interpreta secondo questa visione di carattere preminentemente esoterico.

Per lui la sfera sta a indicare la perfezione del ciclo che si avvicina al suo inizio, mentre il poliedro è visto come un cristallo gigante, sapientemente studiato ma di impossibile realizzazione geometrica.

Gli strumenti da lavoro, riferiti alla lavorazione della pietra e del legno, richiamano inevitabilmente alle iniziazioni dei muratori e dei carpentieri, mestieri che hanno in seno tradizioni ermetiche che vanno ben oltre la mera professione pratica.

Quadrato magico

Pur richiamando, di questo elemento, il suo numero caratteristico che lo definisce in qualità di Mensula Jovis, il numero 34, B. lo interpreta in chiave di allusione al 34° motto della profezia di Malachia riferentesi al pontificato di Clemente V, collegando il carattere melanconico dell’opera düreriana in senso oracolare, riferendosi alla profezia: «Perderà il suo splendore sotto il sole tenebroso».

Ulteriore collegamento a eventi di cesura nella Chiesa è ascrivibile, secondo B., anche all’anno di esecuzione del bulino, 1514, presente anche nel quadrato magico e forse non a caso “celebrante” il 200° anniversario dell’ultimo atto della tragedia templare.

Da tale data, sommando i numeri che la compongono, si ottiene il numero 11, “segno di riconoscimento” delle organizzazioni eredi del Tempio, oltre ad essere il risultato numerico della somma del cinquecento-dieci-cinque già visto in precedenza, legato alla figura del Veltro/DUX.

La disamina poi passa alla dissertazione delle elaborazioni numeriche che da questa prima considerazione si dipanano e che porta in ultima battuta alla sintesi del numero 7, numero sabbatico per eccellenza, connesso alla fine del Ciclo ed al ritorno al Principio.

L’ulteriore risultato della sintesi elaborativa numerica è il numero 10, simbolo della completezza, del compimento totale del ciclo, della totalizzazione, che sarà il compito del decimo Avatar, la fine e la trasformazione del ciclo attuale.

Pipistrello e titolo

L’autore del saggio riflette anche sull’insieme della creatura-cartiglio per determinarne la correlazione con il significato del bulino del maestro tedesco.

Il temperamento melanconico è dopotutto riferito alla “atra bile”, la bile nera, quarto e ultimo temperamento ippocratico, collegabile al fatto, nella lettura di B., che il Mondo si trova, al tempo del Dürer, nell’Età Nera o Kali Yuga, quarta e ultima età del ciclo, caratterizzata dall’Ignoranza e dal colore nero.

Ignoranza che ha come conseguenza la Melanconia, che Dürer sceglie di scrivere sul corpo del pipistrello/creatura alata nera, secondo questa visione un simbolo satanico e della sua influenza preponderante nell’età Oscura in cui l’umanità sprofonda.

B. non omette di far notare la particolarità con cui il maestro di Norimberga scrive il titolo dell’opera e azzarda ipotesi sia sul possibile significato dell’arabesco e del I.

L’arabesco potrebbe essere una S camuffata cosicché S.I. starebbero a indicare il Sacro Impero, in attesa di quello autentico del Regno di Dio. Oppure S potrebbe rappresentare un segno grafico stante alla “erranza indefinita della manifestazione” e del passaggio da questa alla fissità del segno I, inteso come “Invariabile Mezzo”.

Un’ulteriore lettura del segno I è ipotizzato essere lo “Iod” ebraico, 10° archetipo con la funzione della Concentrazione, simbolo del punto di inizio ed anche 10a lettera dell’alfabetico semitico, nonché un Nome divino.

Il “grande angelo”, le chiavi e la corona

Nella sua visione interpretativa B. associa la figura femminile della Melancolia al grande angelo simboleggiante la Potenza del Genio, secondo il linguaggio ermetico cristiano, del Ciclo al suo termine, qui rappresentato dal libro chiuso in grembo alla figura, che rappresenta la chiusura del cerchio della manifestazione, tracciata col compasso, simbolo a sua volta dell’iniziazione di mestiere.

Sotto tale punto di vista le chiavi sono, di conseguenza, il simbolo dell’apertura e della chiusura del Ciclo (la chiave grande) e delle sue quattro età subordinate (le quattro chiavi più piccole).

Non solo, la figura femminile/genio alato ha la testa cinta con una corona/ghirlanda di fronde che secondo l’autore sono somiglianti all’acacia, simbolo massonico associato all’immortalità, in potenza, che si attualizzerà col ritorno al primordiale dell’umanità dopo la fine del Ciclo.

Il “bambino alato”, la tavola da disegno, la ruota, il maglietto e la bilancia

Il putto è visto da B. in stretta connessione con il genio alato della figura femminile melanconica, da cui egli stesso è generato, e rappresenta il Genio del Ciclo futuro, con connotati archetipici opposti, nella fattispecie di sesso maschile anziché femminile, e con una dominante attiva anziché passiva e melanconica.

Egli siede su una ruota abbandonata e inerte e che viene letta come «manifestazione ancora in potenza».

Tiene in mano la tavoletta da disegno su cui scrive con uno strumento dall’autore individuato con il maglietto, attributo del Maestro massone, simbolo di forza e di volontà, nonché trumento con cui si modella la materia agendo direttamente su di essa.

Estendendo ulteriormente il significato del putto, B. lo interpreta stante a simboleggiare la seconda venuta del Cristo glorioso o la manifestazione del decimo Avatar, prima citato, e un indizio di tutto ciò starebbe nel fatto che il putto alato si trova proprio sull’asse della composizione, inteso in tale contento come asse del Mondo, secondo la Tradizione, il Verbo.

Direttamente al di sopra del putto vi è poi la Bilancia, segno astrologico sotto il quale avverrà il Giudizio Universale. Similmente la campana si trova al di sopra della figura femminile, intesa come personificazione del Ciclo attuale.

Il Paesaggio

Anche lo sfondo ha per B. un significato universale e la sua rappresentazione fa individuare in quello della navigazione, intesa come traversata della “corrente delle forme”, in senso sia microcosmico che macrocosmico, e del raggiungimento della meta ultima, della “l’Identità suprema di tutti gli essere e di tutte le cose”. Conseguenza degli sconvolgimenti portati dall'”Astro infernale”, la cometa, e poi riconciliati dalla presenza dell’arcobaleno che unisce nuovamente Cielo e Terra.

Il significato della Melencolia § I per Barmont

Dopo una simile carrellata di simboli e significati misterici che B. ci ha proposto, vediamone in estrema sintesi le risultanze di significato della composizione nella sua totalità.

È indubbio che B. veda nel bulino del maestro tedesco una esplicita illustrazione delle condizioni, origini, corso e fine dell’era più buia, quella della dell’Età Oscura, che ormai è prossima al suo culmine, il momento della venuta del DUX, del Santo, del Vero.

Contenendo pertanto una significato esplicitamente dottrinale, sebbene sotto forma simbolica, per assicurarne la conservazione e la trasmissione pare sotto la sua guida di vedere in Dürer una volontà pedagogica di trasmissione di un sapere antico e imperscrutabile per i non iniziati a certe tradizioni sapienziali e ad alcuni ambienti dal pensiero rivolto alla lettura dei segni e dei simboli “oltre” il visibile.

Si tende anche a percepire una nota “profetica” nelle riflessioni di B., il quale estrae a piene mani, da Tradizioni geograficamente molto lontane, elementi consonanti tra loro ed orientati verso una stessa visione unificante, eliminando confini territoriali, culturali e linguistici.

Sebbene le chiavi di lettura di B. necessitino di una conoscenza approfondita di alcune specifiche dottrine, se così possiamo definirle, vi è sottilmente la possibilità di comprendere la sua esegesi a partire dal proprio sentire interiore e dalla propria spiritualità innata, ciò senza necessariamente essere edotti in alcun modo nei misteri esoterici.

Interpretazione dell’epoca attuale: Elena Filippi – Una visione olistica della Melancolia/Filosofia

Tra le varie trattazioni che in tempi recenti sono state fatte del bulino magistrale, troviamo molte variazioni sul tema.

Alcune richiamano l’opera düreriana all’interno della loro disamina di carattere psicologico, altre procedono ad analisi di comparazione tra il pensiero culturale contemporaneo di Dürer con quello del ricercatore che lo sta studiando, altre si concentrano sul demolire tutte le interpretazioni precedenti mentre altre ancora propongono una lettura che esula dalla interpretazione contenutistica, privilegiando un’analisi formale e tecnico-esecutiva.

Uno dei testi che affrontano la materia in modo che potremmo definire “olistico” è quello di Elena Filippi che, partendo una trattazione storico-culturale di ciò che ha influenzato il maestro di Norimberga o che comunque era, verosimilmente, entrato a far parte del suo bagaglio culturale, passa poi ad una disamina approfondita e variegata, finalizzata a dare solidità alla sua ipotesi interpretativa dell’opera.

I singoli elementi in termini “filosofici”

Non sono molti i simboli su cui l’autrice si sofferma ad indagare il significato intrinseco del bulino magistrale. Ciò è dovuto al suo approccio metodologico alla materia, che non prescinde da una visione più globale, e non frammentaria della composizione, uno studio del suo insieme, per una ermeneutica comparata e integrata.

Nello studio di alcune simbologie, l’autrice utilizza in modo sistematico il metodo del richiamo documentale, illustrativo o letterario, a cui il maestro tedesco poteva aver attinto in qualche forma oppure delle fonti a cui la cultura della sua epoca doveva i propri elementi costitutivi.

La scala, la torre, il putto, la figura alata, la cometa

Per quanto riguarda la scala a pioli, la disamina di F. prende avvio dalle considerazioni di significato a partire da Aristotele e Boezio, che, unitamente al simbolo della torre, generano l’idea della graduale approssimazione alla sapienza divina, irraggiungibile in termini ultimi ma approcciabile per gradi mediante il progresso delle conoscenza e della riflessione personale.

La scala allude, secondo F., anche alla Philosophia divina, figurativamente rappresentata nel frontespizio della Margarita philosophica ma assente nella composizione della Melancolia § I.

I sette pioli di questa scala, come nella Margarita le lettere greche centrali, stanno a simboleggiare le sette arti liberali, dalla Geometria all’Astronomia, la cui conoscenza è la condizione fondamentale da perseguire per il raggiungimento dell’obiettivo della sapientia.

Il putto, presente centralmente al di sopra dell’incrocio delle diagonali dell’immagine, sta quindi a rappresentare la nascita dell’artista in qualità di filosofo del futuro e che sta pertanto a indicare Dürer stesso, come un autoritratto ma non in termini tautologici, bensì simbolici e interiori.

Inoltre, il putto è operoso, impegnato in prima persona nel suo percorso d’istruzione, tiene la tabula ansata, vista come la tabula rasa, a sua volta metafora dell’anima su cui scrivere il libro della propria vita, ed in tale veste viene visto come rappresentazione del momento della inventio, che però deve ancora apprendere la dispositio e la elocutio, prime fasi aristoteliche dell’arte oratoria, la Retorica, intesa qui come Sapienza in senso esteso, e pertanto elementi essenziali per la completa realizzazione.

Per converso, la figura alata, tradizionalmente personificazione di un concetto astratto, è per F. metafora figurativa dell’anima umana, incarnante la filosofia intesa secondo quanto esposto da Celtis nei suoi Amores, che riunisce in sé tutte le arti e tutte le scienze; prova di questo sono tutti gli strumenti e i simboli che la circondano.

L’autrice fa anche notare come la figura abbia la testa coronata esattamente come accade nella raffigurazione della filosofia sul frontespizio della Margarita filosofica e come essa abbia in sé anche la funzione di sprone, di incoraggiamento, nei confronti del putto, affinché questi si impegni nella sua crescita in termini di virtù, sapienza e ricerca di Dio, nell’anelito all’ascesa lungo la faticosa scala delle arti.

Inoltre, secondo F., questa corrisponderebbe alla scala delle virtù, in quanto, nella concezione del maestro di Norimberga, le arti avevano la funzione massima della distinzione tra il bene e il male ed in ultimo il servire la causa del bene.

In conseguenza di questa riflessione, secondo l’autrice, il putto, assorbito dalla pratica richiama il concetto platonico di paideia, la formazione e cura dei giovani; concetto che durante il periodo in cui vive l’artista diventa sinonimo di cultura ed educazione all’istruzione.

Riferendosi al putto in qualità di anima, F. spiega che questa va identificata con quella di Dürer stesso e che pertanto l’idea a cui rimanda è quella dell’artista in fieri così come a quella dell’amante della sapienza.

Rappresenta in tutto e per tutto il discente che, grazie alla vicinanza di colei che cura l’anima, acquisisce il sapere.

Il volto della donna, diversamente dall’iconografia popolare melanconica, ha uno sguardo colmo di vitalità, non esprime disperazione né abbattimento. È un punto saldo della scena che mostra una concentrazione assorta, quel tipo di sguardo che si spinge in profondità, prova di un grande lavoro speculativo, riflette e per farlo ha sospeso ogni altro impegno e attività.

La figura femminile si trova pertanto in una condizione del tutto umana, in quel momento di crisi in cui viene maturato «l’interrogativo filosofico sull’ente nella sua totalità».

L’autrice parla anche della cometa richiamando il passaggio realmente accaduto della cometa del 1472 nel cielo di Norimberga, come riportato dall’astronomo Regiomontano.

Al tempo l’evento venne stato letto come un segno epocale dal duplice significato, ossia da un lato come l’annuncio della fine del mondo in senso escatologico, dall’altro come «vocazione artistica di Dürer».

Pertanto, sottolinea l’autrice, nel bulino magistrale si possono riscontrare degli aspetti autobiografici dell’artista che però, per mezzo della sublimazione all’interno dell’opera artistica, vengono universalizzati mediante l’utilizzo della capacità traslativa del simbolo.

L’autrice ci espone anche una lettura della scritta, come fecero anche KPS (il prime degli umori/temperamenti) e Calvesi (la prima fase dell’opus alchemico), ognuno secondo un’accezione specifica della propria visione interpretativa, ma, anziché come simbolo, ci viene proposto un valore di senso in termini pluralistici della melancolia, utilizzando come ponte di significato l’etimo greco da cui la parola trova la sua origine primaria.

All’interno di questa esposizione, per F., il simbolo § potrebbe stare semplicemente a indicare un segno divisorio tra le parole, come quello che spesso è visto essere utilizzato in altre situazioni e testi, soprattutto per le scritture in latino.

Il significato della Melencolia § I per E. Filippi

Per l’autrice, il bulino düreriano propone all’osservatore un “testo filosofico”, non certo però nell’accezione moderna del termine come la intendiamo oggi.

Per questo motivo decide di percorrere una trattazione che individui in modo chiaro cosa Dürer doveva intendere con il termire filosofia (philosophia), quella del “Bildung”, interdisciplinare, scientifica e pratica, in cui l’immagine diventa parte e strumento essenziale per mezzo della sua natura polisemica ed efficace, determinante un “pensiero in forma di immagine”.

Questa Philosophia, secondo tale interpretazione, è quindi quella scienza suprema che accoglie, e raccoglie in sé, tutte le altre scienze e le arti, secondo quel paradigma in virtù del quale “si prende cura dell’anima” dell’artista.

Il tutto operato magistralmente da Dürer, attraverso il sapiente utilizzo di una commistione di temi e di simboli, incentrando la riflessione su cosa fa di un individuo un artista ed il ruolo che a questo spetta nel mondo.

Il centro focale della Philosophia è quindi in ultima analisi il rapporto tra la teoria e la pratica, tra il sapere ed il fare.

La focalizzazione del tema, ed allo stesso tempo una sfida, sarà pertanto di trovare un accordo, un giusto equilibrio tra azione artistica, sforzo teorico ed applicazione pratica.

Conclusioni

Il nostro excursus tra le varie interpretazioni non può che confermare le grandi qualità, non solo formali ma anche contenutistiche, simboliche, allegoriche, metaforiche e culturali, che Dürer ha saputo infondere in questo suo bulino così singolare.

Un’opera ben nota per essere “aperta”, in quanto impossibile da decifrare in modo compiuto e definitivo e, junghianamente possiamo azzardare, permette di attingere sia a tutti i simboli dell’inconscio personale ma anche collettivo di un’epoca ed anche oltre.

Non a caso Calvesi riprende alcuni aspetti proprio dagli studi di C. G. Jung come elemento propulsivo di alcune sue riflessioni.

I gradi, gli strati di lettura di tale opera sono molteplici, mai in netto contrasto, multisfaccettati, che si integrano reciprocamente.

Le letture possibili passano da un compendio di filosofia rinascimentale alla simbologia ermetica cristiana più misterica e profetica, senza escludere la trattatistica scientifico-naturale dell’Umanesimo tedesco a quella più iconologica e astrologica, che compendia, assorbe, rielabora e rinnova sia i vernacoli della cultura popolare che la nuova cultura dell’epoca.

Ogni interpretazione è figlia della precedente così come anche di delle “scoperte” letterarie che gradualmente sono andate stratificandosi nei decenni e nei secoli sin dalla scomparsa dell’artista.

Forse mai sarà possibile una lettura esaustiva di un’opera di tale livello e complessità ma ciò non può che essere un valore aggiunto che mantiene viva l’opera stessa, la quale mai smette di stupire ed intrigare l’osservatore, il quale a sua volta, oltre all’apprezzamento estetico, viene spinto, suo malgrado, a indagare e indagarsi per coglierne il significato nascosto.

Il fruitore dell’opera, così come la protagonista in essa, è spinto alla riflessione riguardo ai suoi limiti, in una ricerca interiore per diventare consapevole di sé e pertanto realizzare ciò di cui è davvero capace. Si tratta proprio di quel momento, sottilmente e romanticamente sublime, in cui l’uomo è “sospeso” tra oscurità cognitiva e conoscenza, tra energia e abulia, tra la teoria e la prassi.

I capitoli precedenti
  1. Melancolia § I del Maestro di Norimberga: una panoramica sulle interpretazioni (parte 2)
  2. Melancolia § I del Maestro di Norimberga: una panoramica sulle interpretazioni (parte 1)

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