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Melancolia § I del Maestro di Norimberga: una panoramica sulle interpretazioni (parte 1)

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Il Tazebao è lieto di pubblicare, in tre puntate, la tesi di Rosario Gullì su Melancolia § I di Albrecht Dürer.
Introduzione

L’era del Rinascimento ha certamente dato i natali a personaggi di grande spessore, la cui influenza si è spinta sino ai giorni nostri, svegliando le coscienze e muovendo l’arte in molteplici direzioni così come verso nuove frontiere, spostandone gradualmente e costantemente i confini.

Una di queste personalità eminenti è stata Albrecht Dürer, maestro indiscusso del Nord Europa vissuto a tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, la cui grandezza espressiva e lo spessore intellettuale ne hanno fatto un caposaldo dell’arte del suo tempo e di quella successiva, soprattutto nell’arte incisoria.

Ricercatore instancabile e minuzioso osservatore ha creato opere di grande rilievo sia tecnico che espressivo e simbolico, mediante un linguaggio innovativo per il suo tempo, una maestria incomparabile e una padronanza tecnica eccezionale.

Il corpus delle sue opere è vasto e variegato, nonché dall’alto valore sia storico che espressivo e tecnico, con cui ha trattato i temi più vari, (religioso, mondano, filosofico) andando a compendiare la cultura del suo tempo seppur rivista secondo la sua personale ottica e pensiero.

In questo breve testo si andrà a trattare l’evoluzione delle interpretazioni che nei secoli si sono succedute riguardanti la sua opera più criptica e misteriosa, ovvero la seconda del suo trittico delle Meisterstiche (Bulini Magistrali), creati intorno al 1513/1514, la “Melencolia § I”.

I tre bulini magistrali mostrano dell’artista una caratteristica inedita, sino ad allora con un’impronta drammatica e visionaria, mentre ora il tono che delle tre opere è di carattere più meditativo ed introspettivo, con un programma ideologico alla loro base.

Cercheremo di delineare a grandi linee il contesto intellettuale e culturale all’interno del quale Dürer si muoveva e operava, per andare a comprendere quali influenze avessero operato sul maestro di Norimberga nel creare questa sua opera.

Per la brevità del presente testo non si andranno ad approfondire alcuni collegamenti eventuali o ad esplorare nessi tra le personalità coinvolte, ma si andranno a considerare, in modo molto sintetico, solamente le fonti letterarie e artistiche con cui il maestro è entrato necessariamente in contatto e che possono avere orientato la sua ricerca personale in una direzione piuttosto che un’altra.

Successivamente passeremo in rassegna le principali correnti di pensiero, alcune delle quali fortemente accreditate e seguite ancora tutt’oggi grazie all’ampiezza di argomentazione e plausibilità interpretativa, che si sono succedute in merito ai tentativi di interpretazione del bulino oggetto del nostro approfondimento e che, come vedremo, andranno a toccare i più vari ambiti, da quello astrologico a quello esoterico e filosofico.

Il contesto culturale della Germania del Cinquecento

Il periodo storico in cui vive il Dürer è caratterizzato in modo incisivo dalla Corte di Massimiliano I di Asburgo, il cui atteggiamento verso la letteratura e la cultura in generale ha dato un contributo notevole alla determinazione di un ambiente di grande fermento.

Questo anche grazie al suo mecenatismo, in particolar modo decorativo, soprattutto focalizzato sul rafforzamento dell’Impero, erede dell’impero romano in occidente, del Sacro Romano Impero, e sulla trasmissione di una sua immagine cristiana ai posteri.

Nel campo letterario si rileva il recupero e la rielaborazione di teorizzazioni filosofiche, astrologiche e mitologiche antiche ma sottoposte ad un’ottica rinnovata che non andasse a contrapporsi alla forte presenza cristiana del tempo, con cui il possibile conflitto veniva stemperato anche grazie all’emergere delle idee che porteranno a breve al protestantesimo luterano.

Le influenze sul Dürer provengono sia dalla cultura che respirava, dalle tradizioni tedesche, sia dalla ventata di novità che spirava dall’Europa del Sud, dove lui decide di fare un “pellegrinaggio” per quattro anni, soprattutto in Italia.

È un periodo in cui vengono riscoperti i classici di Aristotele e Platone, il contesto culturale e letterario percorre argomenti ad ampio spettro che passa dalla filosofia occulta al neoplatonismo, all’astronomia mista ad astrologia, in cui mito e scienza si fondono e ne amplificano di significato.

I testi che in modo determinante caratterizzano l’humus culturale dell’epoca sono testi a metà tra il tecnico e l’ermetico, quali: i Problemata dello Pseudo-Aristotele, oppure il De Occulta Philosophia di Agrippa, per non parlare del De Vita Triplici di Ficino, che nell’ambiente fiorentino avrà una grossa risonanza grazie anche alla Accademia neoplatonica da lui fondata.

Ancora in Italia troviamo Pacioli, con il suo De Viribus Quantitatis, e i suoi insegnamenti sulla geometria descrittiva che tanta influenza avrà su tutta la generazione di artisti del tempo e non solo.

Siamo anche in un periodo storico in cui vede la luce il primo testo definibile enciclopedico, che verrà anche utilizzato come libro di testo scolastico e universitario, la Margarita Philosophica di Reisch, la prima enciclopedia illustrata a stampa della storia moderna.

Non possiamo poi non citare gli scritti di Celtis; fondamentale i suoi Amores, ma ancora di maggior importanza il fatto che grazie a lui viene “teorizzata” la traslatio sapientiae.

Non a caso il suo scritto aveva un carattere decisamente pedagogico, con una vocazione duplice, stilistico-letteraria da una parte, riprendendo la prassi umanistica italiana, e scientifico-matematica dall’altra, secondo l’Umanesimo germanico. Così facendo dava corpo all’idea della possibile e fattiva traslazione verso nord della arti.

Pertanto il contesto culturale, in cui il maestro si muove, ha connotati di vivacità, in cui il dibattito è ricco e privo di separazioni nette e rigide tra le varie discipline dell’Umanesimo.

Le principali correnti interpretative

A dimostrazione dell’evoluzione espressiva e della complessità formale, compositiva e linguistica raggiunta dal Dürer con questo bulino magistrale, si sono succedute nei secoli, già dopo pochi anni dalla morte del maestro di Norimberga, molteplici interpretazioni che quest’opera ha suscitato ed che sono state elaborate dai diversi intellettuali partendo dalle più differenti premesse argomentative.

A volte basandosi sulla contemporaneità ed in altre, come in tempi relativamente più moderni, contemplando un approccio più storico e critico.

Per i fini del presente documento non si descriveranno tutte le innumerevoli interpretazioni esistenti né, per non divagare dal nostro proposito didattico/illustrativo, potranno dettagliarsi le correnti principali di pensiero sul tema, per le quali si rimanda alla letteratura in bibliografia.

Le interpretazioni che verranno trattate derivano la loro argomentazioni da considerazioni eterogenee, partendo da linee di pensiero estremamente differenti, di cui le principali correnti qui trattate saranno:

  1. L’approccio iconologico-astrologico di E. Panofsky, punto di arrivo di una riflessione iniziata da Karl Giehlow, proseguita da Aby Warburg ed ereditata da Panofsky stesso;
  2. L’approccio cabalistico-alchimistico utilizzato da M. Calvesi, in netta contrapposizione alla precedente, anche nel significato ultimo;
  3. L’approccio esoterico-cristiano di L. Barmont, che devia dalla intellettualizzazione che storicamente caratterizza la ricerca teorica interpretativa per approdare a lidi misterici e profetici;
  4. L’approccio olistico, di visione d’insieme, di E. Filippi, che, senza perdersi in studi simbolistici frammentari e parcellizzanti, tenta di creare una sorta di sintesi, e crasi allo stesso tempo, delle interpretazioni storiche più accettate.

Il proposito del capitolo sarà pertanto dare una descrizione per sommi capi, ma il più esaustiva possibile, delle esegesi più rilevanti e più innovative, che permettono di avere un quadro d’insieme della grande varietà interpretativa che l’incisione düreriana ha determinato e che la classifica come un’opera non definibile in modo risolutivo.

La Melancolia § I risulta pertanto essere un’opera incisoria che dalla sua realizzazione rimane aperta alla riflessione sul suo significato in maniera astorica e atemporale.

Ogni pensatore, in ogni epoca, per il tramite del proprio bagaglio culturale, della propria forza intellettuale, e soprattutto con il proprio sentire, potrà vedere in questa opera un qualcosa di diverso, che non escluderà mai quanto precedentemente ipotizzato ma anzi lo integrerà ogni volta.

Le prime interpretazioni moderne: H. Wöfflin, K. Giehlow, A.  Warburg e W Benjamin

Scorriamo qui brevemente i risultati dei primi maggiori studiosi che in epoca moderna hanno aperto la via alla decodificazione del bulino magistrale düreriano, seppure senza la pretesa di completezza illustrativa, bensì allo scopo di dare una base di riferimento alla “storia delle esegesi” dell’opera dal ‘900 in poi.

Nella prima metà del Novecento, lo storico dell’arte, Heinrich Wölfflin, vedeva nella figura femminile “completa apatia” e un “pervasivo malessere”, non a caso, infatti, egli dice che nell’acquaforte di Dürer, si osserva una donna in atteggiamento di cupa meditazione, che fissa un blocco di pietra irregolare, irrazionale, non studiabile con numeri e compasso, ma anche instabile sulla sua base e che determina un’atmosfera di mancanza di pace.

Successivamente, con K. Giehlow, si inizia a ricostruire la tradizione, di origine antica, dell’immagine di Saturno in qualità Dio degli opposti.

Con i suoi studi, incentrati sui rapporti tra l’incisione di Dürer e il circolo umanistico riunito attorno a Massimiliano I, Gielhow mette in luce come nel Rinascimento l’idea medievale di Melancolia si ricollega con quella aristotelica, la quale associa insieme temperamento atrabile e genialità.

Inoltre, la sua trattazione riscontra aspetti in comune con l’idea astrologico-ellenistica, mediata dagli arabi, che vede Saturno e Giove con una funzione di trait d’union con il loro gioco di opposti.

Sempre a lui si deve l’idea, poi ripresa in seguito anche da Panofski, che proprio questa congiunzione planetaria rappresentava un metodo di cura della malinconia per gli occultisti occidentali del Rinascimento e considerava il quadrato magico di Giove, non in termini curativi ma come simbolo della genialità dell’uomo saturnino.

Warburg, dal canto suo, riprende queste argomentazioni e le amplia, comprendendo nelle sue riflessioni le idee riprese dal Picatrix e dalla sua trattazione della magia astrologica di tradizione mediorientale, rilevando l’incongruenza del quadrato di Giove, rispondente alla iatro-astrologia, anziché quello di Saturno, simbolo più logico per il genio dell’uomo melanconico.

Sottolinea, Warburg, come proprio questa “mitologia magica” sia l’elemento che permette a Dürer “l’atto più propriamente creativo” per portare ad un rovesciamento del significato dell’uomo melanconico, dominato da Saturno, trasformandolo in “incarnazione plastica del lavoratore che pensa”.

In seguito anche Walter Benjamin riprenderà le teorizzazioni di A. Warburg e proseguirà la trattazione attraverso una riflessione sull’immagine intesa come rappresentazione, intesa come Darstellung nel senso di concreta, esterna presentazione del senso.

La sua lettura, in prosecuzione con quella di Warburg, è incline a vedere la malinconia come una strada obbligata, necessaria, radicata nella necessità della rappresentazione intesa come portatrice di senso nella forma e pertanto nel contenuto.

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