Lovecraft Country

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La sequenza iniziale di Shining è una delle più note del cinema. La maestosa vastità spaziale, presto contrapposta al claustrofobico isolamento dell’Overlook Hotel, si dispiega: la bellezza delle montagne del Colorado, la strada e la neve e una pellicola d’acqua si fanno però presagio, un fondale oscuro che ha già detto tutto, nell’incedere ipnotico e ossessivo della musica. C’è una eco – non potrebbe essere altrimenti – del maestro di Providence, che ha costruito un immaginario dell’orrore destinato ad avere immensa, e meritata, fortuna e ad affascinare ancora.

Era uomo del suo tempo Lovecraft ed è stato più volte messo all’indice perché considerato “razzista”, anche se ce l’ha con tutti e non con i neri in particolare, e “misogino”. In effetti, di donne ce ne sono poche. Per par condicio e per pareggiare i conti, Netflix ci ha fatto una serie, Lovecraft Country: ci sono solo attori di colore eccetto una donna bianca che fa la parte della cattiva; ad ogni modo, il materiale lovecraftiano era così eccellente che nemmeno il politicamente corretto è riuscito a snaturarlo.

Lovecraft dedica una cura minuziosa all’elemento spaziale, tanto da creare una geografia dell’orrore. Paesaggio e territorio sono un primo contatto con l’orrore che seguirà, un presagio, necessariamente oltre-razionale, che proprio per questo solo i sensi e non la ragione intuiscono e colgono. Colloca i suoi orrori principalmente nel New England, donde il termine “Lovecraft Country”, ovverosia la terra della prima colonizzazione, dove si sono alternati i primi predicatori, ci sono ancora indigeni e catene montuose insondate o luoghi ancora vergini come una «sterile regione della costa settentrionale», al di là della Massachusetts Bay – è così ne I servi di Satana (1935) – dove non era giunta «l’autocratica mano dei puritani», oppure luoghi presto abbandonati a causa di fatti strani e misteriosi di cui nessuno, nemmeno dopo molto tempo, parla facilmente.

Ne Il colore venuto dallo spazio (1927), uno dei più celebri, il genio di Providence descrive un paesaggio anomalo e inquietante, ostile fin dal primo contatto visivo. Intorno alla «Landa Maledetta» si stagliano «fitti boschi mai toccati dalla scure» e gli alberi negli anfratti assumono «bizzarre inclinazioni», richiamando così la descrizione dell’arbor infelix che non dà frutti.

Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ‘nvolti;
non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco.

Dante, XIII Canto, Inferno

Come nella descrizione dantesca, in modo plurisensoriale e avvolgente, quasi ridondante, Lovecraft dimostra che niente è come dovrebbe essere:

«Gli alberi erano troppo folti, e i loro tronchi troppo grandi […]. C’era troppo silenzio nei bui sentieri tra gli alberi, e il terreno era troppo soffice per il muschio umido e per gli strati che ricoprivano il suolo creati da infiniti anni di putredine. […] Su tutto si stendeva una cappa di irrequietezza e oppressione; una sfumatura di irrealtà e di grottesco; come se un elemento essenziale della prospettiva o del chiaroscuro fosse errato». 

Quest’ultimo passaggio è degno di merito: c’è un qualcosa, ciò è tipico dell’orrore, che va oltre la percezione, la prospettiva “rinascimentale”, la linearità e sfida la ragione – e la stabilità psichica – dell’uomo.

Del resto, Lovecraft era, a tutti gli effetti, un uomo del suo tempo e risentiva di tutti i sentimenti dell’epoca segnata dalla relatività, dalle nuove frontiere tecnologiche ma dalla guerra (si pensi al racconto Herbert West, rianimatore del 1922).

Come vestigia umane, vano tentativo di civilizzazione, nei dintorni della landa folgorata, rimangono solo alcune «case tozze» che «meditano in eterno sui vecchi segreti del New England». Per togliere ogni residuo dubbio aggiunge: «Non è un posto buono per fantasticare, e la notte non porta sonni tranquilli». Un bacino artificiale è destinato a sommergere la zona: «[…] Allora i cupi boschi saranno tagliati e la Landa Maledetta dormirà sotto le profonde acque azzurre, la cui superficie rifletterà il cielo e si incresperà al sole. E i segreti di quegli strani giorni si uniranno ai segreti delle profondità; si uniranno al sapere occulto dell’antico oceano, e ai misteri della terra primitiva».

Lo stile è inconfondibile: parte essenziale del senso di orrore e straniamento. Lovecraft stira il significato delle parole, così da creare un senso di stranezza.

Infine, come ulteriore tratto inconfondibile, c’è l’eccezionalità dei fatti veduti, che aprono una frattura insanabile nella psiche del protagonista. «Solo io – rivela il narratore in La città senza nome (1921) – l’ho vista» e «nessuno trema come me»; sentimenti analoghi per il protagonista di Dagon (1919), che infatti si getterà dalla finestra. È la città che «affiora dalle sabbie», come un «cadavere», che poi definisce «la bisnonna della vecchia piramidi». Tuttavia, nemmeno di fronte a tanto orrore, a tanta stranezza, l’uomo non riesce a tenere gli occhi chiusi, anche a costo di rimanere marchiato per sempre.


Testi e citazioni sono riprese da Libri in Pillole e Creepy Pasta, cui vanno i ringraziamenti, oltre a varie edizioni e ricerche sul maestro di Providence.

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