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Lo strano caso di Hannibal Gheddafi: tra Libia, Libano e Siria. Il Tazebao del giorno

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Il Tazebao – Nella serata di ieri l’Associazione Indipendenza, già co-organizzatrice dell’evento Voci dell’Africa: verso una prospettiva multipolare, svoltosi a Roma il 27 gennaio scorso, ha tenuto un’iniziativa propria sotto il tema Il caso di Hannibal Gheddafi: analisi di un sequestro politico. Vi hanno partecipato Bushra al-Khalil (avvocatessa di Hannibal tra il dicembre 2015 e l’aprile 2016), Khaled Al-Ghawil (consigliere delle tribù libiche e membro della squadra legale di Hannibal) e Ahmed Hamza (presidente del Comitato nazionale per i diritti umani in Libia). Hannibal Gheddafi, figlio quartogenito del Colonnello, si rifugiò in Siria nel 2011 allo scoppio dei tumulti del 17 febbraio nel suo Paese e lì, alla fine del 2015, fu rapito con l’inganno da alcuni agenti del partito libanese Amal, intenzionati a vendicare la scomparsa dell’imam Musa al-Sadr nel 1978, di cui hanno sempre accusato il governo dell’allora Jamahiriya libica. Di pura vendetta politica si tratta, poiché Hannibal, all’epoca dei fatti, aveva solo due anni. Dal 2015, quindi, Hannibal si trova incarcerato in Libano in attesa di un qualsiasi processo, rinchiuso in un carcere sotterraneo privo di luce naturale e in condizioni fisiche sempre più precarie. Nella serata di ieri abbiamo provato a capire, con l’aiuto degli interlocutori libici, le vie che possono essere seguite per la sua liberazione (il dibattito si è soffermato sulla validità della modalità legale piuttosto che di quella politica, e viceversa, nonché sul ruolo del governo libico e delle altre forze libanesi al riguardo) e soprattutto come si possa sensibilizzare l’opinione pubblica italiana. Questo breve e modesto “pezzo” si pone in quest’ottica. (JC)

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