L’Iran di Raisi. Lorenzo Somigli e Roberta Vaduva a colloquio con Antonello Sacchetti (Diruz)

Condividi articolo:
SEGUICI SU TELEGRAM:

Dopo la vittoria di Ebrahim Raisi, dato ampiamente per favorito, abbiamo contattato Antonello Sacchetti, esperto di Iran e fondatore del blog Diruz, che ci ha concesso un nuovo e stimolante approfondimento.

Cosa possiamo aspettarci da questa nuova presidenza?

“Si tratta di un personaggio che non è nuovo nel paesaggio politico della Repubblica Islamica. Ha 60 anni ed è tutt’ora a capo della Magistratura iraniana, un’istituzione che, anche nella Repubblica iraniana, dove vige la separazione dei poteri, è molto importante.

Quattro anni fa, è stato avversario di Rouhani. È arrivato ad un 40% non riuscendo a sconfiggere il moderato Rouhani. Adesso è stata una vittoria abbastanza annunciata. Da quando sono stati annunciati i nomi delle persone ammesse dal Consiglio dei Guardiani, tutti quanti scommettevano su una vittoria semplice e facile di questo candidato. Si tratta di capire alla base di questo personaggio quanto siano veritiere alcune definizioni. È davvero un ultraconservatore? È assimilabile ad un altro personaggio del passato iraniano? A Mahmoud Ahmadinejad? Probabilmente no. Provengono da ambiti culturali e politici diversi. Raisi è un ayatollah, indossa il turbante nero. Ahmadinejad proviene dalla guerra, è esponente di una classe politica più popolare e più radicale in un certo senso. Raisi, tutto sommato, è giovane nel quadro del sistema politico iraniano. Arriva dopo otto anni di governo moderato, dopo una fase delicata in quanto sono ancora in corso i negoziati a Vienna per il nucleare e soprattutto arriva dopo un anno e mezzo di pandemia, dato non trascurabile. Una pandemia vissuta sotto sanzioni”.

Uno sguardo sui possibili nuovi equilibri della regione. Consci delle motivazioni strategiche che hanno portato gli USA a occupare la posizione, il ritiro dall’Afghanistan può avere delle conseguenze? Quali sull’Iran?

“Oggi, tra Israele e Iran, è in corso un a guerra non dichiarata perché tutti i giorni, o quasi, Israele bombarda le postazioni dei Pasdaran in Siria, nonostante i nostri media non riportino questa notizia. Il ritiro americano dall’Afghanistan contribuirà sicuramento al ritorno dei Talebani, forza dominante nel paese. Talebani che con l’Iran non hanno mai avuto un buon rapporto. Ricordiamo che nel 1998 si è quasi sfiorata una guerra tra Afghanistan e Iran. Dall’altro lato un passo avanti è stato compiuto: l’aiuto iraniano, delle milizie sciite iraniane ai partiti sciiti iracheni, così come alle forze odierne in Bahrein o nella stessa Siria. Con Raisi, questo atteggiamento di uso strumentale con le forze allineate con l’Iran potrebbe aumentare.

È anche vero che si sono persi otto anni: Rouhani ha cercato diportare un’immagine di Iran molto diversa. Noi siamo abituati a vedere il ministro degli esteri iraniano Zarif, che parla benissimo inglese, che ha studiato in America, ha una sua capacità di tessere relazioni diplomatiche. Lui è il grande artefice dell’accordo sul nucleare. Oggi bisogna vedere chi sarà il prossimo ministro degli esteri, probabilmente una figura molto diversa da quella di Zarif. Si fanno nomi, ma niente è sicuro al momento e comunque sono tutti molto lontani da quella che è la nostra immagine di uomo politico che deve tessere rapporti internazionali. Non è prudente lanciarsi in commenti avventati; il nuovo governo si insedierà ad agosto e ogni ministro dovrà ricevere la fiducia del Parlamento iraniano. L’incontro tra Rouhani e il nuovo presidente eletto, Raisi, fa presagire un passaggio tranquillo e graduale. Bisogna vedere quale sarà il futuro di certi dossier e soprattutto bisogna aspettare gli esiti dei colloqui di Vienna. Il capo delegazione iraniana è ritornato oggi a Teheran per una pausa”.

Qual è la posizione di Raisi sul nucleare?

“È favorevole ad un accordo, ma ad un accordo diverso da quello passato perché non ha portato i benefici sperati e quelli promessi dal governo uscente di Rouhani. Il JCPOA ha certamente portato dei cambiamenti nel paese, ma si tratta di cambiamenti minimi. Ancor prima che Trump si ritirasse in modo unilaterale dall’accordo, questo non funzionava un granchè perché gli investimenti promessi al paese non arrivavano, perché gli istituti di credito più grandi non concedevano prestiti alle imprese perché temevano ritorsioni già annunciate dagli USA. La rielezione di Rouhani non fu molto semplice nel 2018 proprio per questo. Con l’uscita definitiva di Trump dall’accordo la situazione è peggiorata ulteriormente. Il paese ha dovuto affrontare nodi internazionali abbastanza grandi. Anche noi abbiamo fatto il nostro: ricordiamo che all’indomani dell’accordo, nel 2015, c’era un volo Alitalia diretto per Teheran tutti i giorni. Quando Trump annunciò la ritirata, l’allora governo Conte I, avviando una sterzata filoamericana, intimò alle imprese che investivano in Iran di ritirarsi e i voli Alitalia vennero tolti. Se Raisi riuscisse a sottoscrivere un nuovo accordo, sarebbe molto più favorevole all’Ira di quello di Rouhani.

Non è un mistero che nel 2015, la Guida non sostenne Rouhani nella sottoscrizione dell’accordo, ne prese atto, lo accettò, ma non ne fu mai entusiasta. Insieme a lui, anche un buon numero di politici iraniani”.

A livello globale il 2021 è a un anno di grandi cambiamenti. Fuori Trump, dentro Biden. Fine (apparente?) dell’era Netanyahu. I rapporti con Israele?

“C’è una questione ideologica di fondo che difficilmente verrà superata. Ma la narrazione è molto più complessa di quel che si possa pensare. La Repubblica Islamica non riconosce lo stato di Israele, c’è, poi, l’appoggio alla causa palestinese. Durante la guerra contro l’Iraq, non è un mistero, che l’Iran abbia ricevuto armi da Israele in un’ottica di contenimento di Saddam Hussein. Netanyahu aveva fatto della questione iraniana una minaccia esistenziale per Israele, il nuovo governo, sinceramente, non so che grado di credibilità abbia. Ha al suo interno anime politiche molto diverse, è una destra più radicale dei governi passati. Bisogna tenere separate le intenzioni del governo israeliano e le intenzioni dell’esercito israeliano: le forze armate israeliane erano molto più ottimiste sull’accordo del nucleare nel 2015 rispetto all’allora esecutivo. Da non sottovalutare è anche la posizione dell’amministrazione Biden in merito alla faccenda”.

Torniamo alla campagna elettorale. Su quali temi si è giocato il confronto tra i candidati?

“Economia, economia e ancora economia. Ma anche la volontà di rincorrere un colpevole di questa situazione economica stagnante. Il governo uscente Rouhani, non poteva difendersi, non ci sono stati “rappresentanti” del suo governo tra i candidati. Però c’erano, comunque, delle figure riconducibili a Rouhani: Hemmati, ex governatore della banca centrale, ha cercato di proporsi come outsider, nonostante i suoi link con l’esecutivo uscente. Hemmati ha proposto sé stesso come il “Draghi italiano”, un economista che entra in politica per la salvezza del paese. Si è parlato brevemente di politica internazionale, si è parlato molto di questioni legate ai diritti, come le libertà di internet, la libertà di espressione. Raisi si è detto contrario alla censura su Internet, ma, in qualità di capo della Magistratura, non si capisce come mai non sia intervenuto prima. Così come Hemmati quando parlava di riforme nel campo della finanza e delle banche…

Il culmine dei dibattiti televisivi tra candidati sui temi elettorali, si è raggiunto con la questione della presenza femminile in politica: tutti hanno promesso ministri donne nei loro governi, ma alle presidenziali non c’erano candidati donne.

Negli scorsi anni, la partecipazione elettorale è stata enorme. Anche tra i candidati e i loro dibattiti c’era stata maggiore vivacità, quest’anno no, la campagna elettorale è stata molto sottotono e i dati sull’affluenza lo dimostrano. È il record più negativo di sempre per la Repubblica Islamica: ha votato solo il 48,8% degli aventi diritto. Si temeva addirittura un dato inferiore. Di questo 48,8%, circa il 62% ha votato per Raisi, non è una cifra grandissima tutto sommato. 15% di chi ha votato, ha votato scheda nulla in segno di protesta”.

Un affluenza bassa che può indicare un inizio di scollamento ma che sicuramente è determinata dalla scarsa scelta.

“Sicuramente. Le bocciature del Consiglio dei Guardiani hanno tolto ogni residuo di entusiasmo a chi voleva andare a votare. C’è anche da dire che i due grandi esclusi, Ali Ardashir Larijani, ex presidente del Parlamento, vicino anche al presidente uscente Rouhani ed ex negoziatore del nucleare, e l’ex vicepresidente, Eshaq Jahangiri, non abbiamo la ‘prova provata’, non sarebbero stati in grado di attirare tutti questi elettori. Probabilmente avrebbe sempre vinto Raisi, con una percentuale minore, e forse avrebbe anche rischiato di andare al ballottaggio. Tutto questo perché c’è un clima di grande disillusione. Larijani è una vecchia faccia della politica iraniana, insieme alla famiglia che ha occupato tutti gli angoli del potere. È curioso notare che sia stato escluso dalle presidenziali, nonostante il fratello sieda tra i 12 membri del Consiglio dei Guardiani.

Concludiamo dicendo che sono state elezioni pilotate dall’alto, ma pilotate sapendo di contare su un consenso che oggettivamente Raisi ha”.

I candidati donna sono stati tanti nelle amministrative, come si spiega questo?

“Per un motivo semplice: i candidati delle amministrative non sono ‘decisi’ dai Guardiani, ma dal Ministro degli Interni, che, evidentemente, ha un ordine di giudizio più largo e ha ammesso molte donne. Bisogna aspettare almeno fino a lunedì per avere un risultato veritiero ed preciso. Ricordiamo che il voto per le amministrative è uno dei risultati ottenuti durante gli otto anni di riformismo di Mohammad Khatami”.

Tra gli altri attori influenti sulla regione c’è la Russia con cui c’è un rapporto ondivago.

“È un matrimonio di interessi. L’Iran vede la Russia come un competitor prima che un alleato. Su alcune questioni possono trovarsi dalla stessa parte, ma questo non implica l’amicizia. Russia e Iran competono per quanto riguarda il settore energetico. Putin fu il primo presidente della Federazione russa a visitare l’Iran di Ahmadinejad, questo ci fa capire che tipo di rapporti esistono tra i due paesi. L’Iran non può fare completamento affidamento sulla Russia, almeno non in tutte le stagioni”.

Su Raisi può pesare l’ombra della sentenza del 1988? Ricostruiamo quei fatti.

“Estate 1988. È da poco finita la guerra Iran- Iraq. Khomeyni, in un famoso discorso radiofonico, annuncia di bere la “coppa del veleno”, cioè di accettare il cessate il fuoco voluto dalle Nazioni Unite e stabilito un anno prima della fine della guerra. Cessate il fuoco che riporta allo status quo antecedente il conflitto. Una fazione iraniana che aveva partecipato alla rivoluzione, ma che poi si era distaccata, i Mujahedin-e-Khalq, i Mujahedin del popolo, (MKO), un’organizzazione armata, aveva trovato rifugio nell’Iraq di Saddam Hussein. A guerra terminata, c’è un’ultima spedizione quasi disperata di questo contingente dei MKO che attraversa la frontiera iraniana con l’obiettivo di arrivare a Teheran e ribaltare il governo della Repubblica Islamica. Saddam Hussei appoggia questa spedizione, ma questi vengono completamente massacrati dalle forze iraniane. In quel momento, nelle carceri iraniani, c’erano migliaia di prigionieri politici. La rivoluzione in Iran avviene nel 1979, ma gli anni più duri di lotta interna durano fino al’83-84. I Mujahedin-e-Khalq, che erano usciti di scena nell’81, avevano ingaggiato una guerriglia con l’allora governo iraniano.

Khomeyni, allora, prende una drastica decisione: cosa fare di tutti i prigionieri politici? Vengono posti di fronte a una scelta: o l’abiura della propria fede politica o l’esecuzione.

Ebrahim Raisi, allora, fa parte del “Tribunale della Morte” e moltissimi di questi prigionieri vengono giustiziati e buttati nelle fosse comuni. È un passaggio terribile della storia iraniana. Rappresentavano davvero una minaccia per la stabilità della giovane Repubblica o era solo una questione di vendetta? Non lo sapremo mai.

Molti hanno chiesto che i responsabili di questa vicenda venissero sottoposti al giudizio del Tribunale Internazionale dei diritti umani, ma tale organo non può processare per fatti avvenuti prima del 2002, ma esiste la possibilità per le Magistrature dei singoli paesi, di procedere per i diritti per i quali il titolo di capo di stato o di governo non prevede immunità. Per Raisi è, dunque, difficile andare in viaggi istituzionali in paesi nei quali vige questa regola. Questo è un dato che si deve tenere a mente quando si affronta la figura del nuovo presidente”.


Resta sempre aggiornato con Il Tazebao

Unisciti al gruppo Telegram per ricevere i nostri approfondimenti appena usciti. Instagram sarà il nostro supplemento fotografico. I video animano il nostro canale YouTube. Infine, inviando una mail all’indirizzo della redazione (redazione@iltazebao.com) puoi ricevere la newsletter settimanale.

Cerca un nuovo articolo

Resta sempre aggiornato
Scopri Il Tazebao

Ho letto la Privacy Policy

Il Tazebao
Scopri altri articoli