Come le nuove capacità estrattive degli Stati Uniti hanno rivoluzionato la situazione strategica mondiale
Basato su un articolo pubblicato su The Seneca Effect il 27 novembre 2022: The Most Amazing Graph of the 21st Century: How the Empire is Striking Back!
Nel 1956, Marion King Hubbert aveva previsto che la produzione di petrolio degli Stati Uniti avrebbe seguito una curva “a campana”, iniziando un declino irreversibile intorno al 1970. La previsione si era rivelata corretta: il declino del petrolio americano è iniziato nel 1970 ed è continuato ininterrotto per 40 anni. Ma, intorno al 2010, un evento inaspettato ha cambiato tutto. La curva di produzione petrolifera degli USA ha ripreso a crescere. Non solo, ma è cresciuta a una velocità tale da portarla già nel 2019 a superare il massimo del 1970. Questo brusco rimbalzo ha riportato gli Stati Uniti al ruolo di maggior produttore mondiale di greggio e a diventare sensibilmente più aggressivi in termini geopolitici. Sostenuto dalla sua produzione di petrolio in crescita, l’Impero Americano sta tornando all’attacco, ma per quanto tempo ancora?
Tutte le guerre sono guerre per le risorse. E, allo stesso tempo, sono le risorse che permettono le guerre. Le società del passato si combattevano più che altro per il dominio delle risorse agricole. Ma gli imperi agricoli erano soggetti a un destino comune: il sovra-sfruttamento agricolo impoveriva il suolo, seguivano carestie e declino della popolazione. Alla fine, gli imperi crollano lasciando solo rovine e incisioni sulla roccia dove gli imperatori dichiarano la loro gloria e la loro fiducia che il loro impero sarebbe durato per sempre.
Le cose sono in parte cambiate con i combustibili fossili
Già l’Impero Napoleonico era stato reso possibile dalle miniere di carbone dell’Alsazia ma, ancora prima, le miniere di carbone inglesi avevano spinto la Gran Bretagna verso il dominio mondiale. Si dice che l’Impero Britannico fu creato da uomini di ferro e navi di legno, ma né gli eserciti né le navi sarebbero potuti esistere senza il carbone. Serviva a fare l’acciaio con il quale si facevano le armi; serviva a risparmiare la legna, con la quale si potevano costruire le navi. Le navi partivano dall’Europa portando eserciti numerosi e bene armati a conquistare nuove terre. Gli abitanti venivano sterminati o resi schiavi, e le terre usate per produrre zucchero, che veniva esportato in Europa per nutrire una popolazione sempre più numerosa che poteva formare nuovi eserciti e continuare il ciclo.
I combustibili fossili resero possibili imperi molto più vasti e potenti di quelli agricoli, ma anche i fossili erano soggetti alla stessa maledizione: l’esaurimento delle risorse.
Il ciclo degli imperi basati sul carbone cominciò a mostrare segni di declino verso la fine del secolo XIX, quando Gran Bretagna, Francia, e Germania, si trovavano a dover cominciare ad affrontare i limiti delle loro risorse. Il primo paese europeo a dover ridimensionare i propri sogni imperiali fu la Francia, che non fu mai in grado di competere con la produzione di carbone inglese e tedesca.
Le due guerre mondiali hanno visto fronteggiarsi sul continente Europeo i maggior produttori di carbone dell’epoca. Entrambi erano al culmine del loro ciclo produttivo. Il picco del carbone per l’Inghilterra era arrivato nel 1913, per la Germania fu nel 1940. Alla fine, il carbone inglese riuscì a sconfiggere il carbone tedesco ma, già con la seconda guerra mondiale, il petrolio aveva affiancato il carbone come sorgente di energia che creava gli imperi. Fu la carenza di petrolio a condannare le forze dell’Asse, schiacciate dalle superiori capacità produttive degli Alleati.
Per approfondire: Il Fascismo e il carbone: storia di un fallimento che ci influenza ancora oggi
Gli imperi petroliferi
La seconda guerra mondiale generò due imperi petroliferi paralleli e opposti: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. La competizione fra i due blocchi non generò mai una guerra combattuta direttamente, ma entrambi dovevano prima o poi fronteggiare l’inevitabile declino della loro produzione. Gli Stati Uniti furono i primi a raggiungere il loro picco produttivo, nel 1970. Il risultato fu un periodo di incertezza e di sbandamento, con la sconfitta in Vietnam nel 1975.
Questo periodo aprì una breve finestra temporale che avrebbe potuto consentire ai produttori petroliferi del Medio Oriente, diventati a questo punto i maggiori produttori mondiali, di giocare un ruolo attivo nella politica globale. Un tentativo in questo senso fu il primo embargo petrolifero del 1973, in parallelo con la guerra dello Yom Kippur. La vittoria degli israeliani, che ripeteva il successo di qualche anno prima con la “guerra dei sei giorni”, dimostrava che il solo controllo del petrolio non è sufficiente per una strategia efficace: ha bisogno di essere accoppiato con un dispositivo militare efficace. La debolezza militare degli stati Arabi e la loro mancanza di unità politica li portò ad accettare un’alleanza con gli Stati Uniti che si assicurarono di fatto il controllo dei paesi petroliferi del Medio Oriente. Nel 1980, la “Dottrina Carter” prendeva atto della situazione e la formalizzava: i paesi Arabi erano adesso parte dell’Impero Americano.
L’Unione Sovietica cercò di contrastare gli Stati Uniti nel Medio Oriente, ma con la guerra dello Yom Kippur ne fu espulsa in modo definitivo. Nel 1990, l’impero sovietico andava incontro al suo picco petrolifero che ne causò il collasso. Come tutti gli imperi della storia, anche quello sovietico aveva finito per suicidarsi con spese militari eccessive rispetto a quelle che le sue risorse interne potevano sostenere.
Con il crollo dell’Unione Sovietica, il dominio mondiale dell’Impero Americano sembrava completo. Ma la caratteristica di tutte le ricchezze che si basano su risorse finite è che non possono durare in eterno. Uno dei problemi per gli Stati Uniti era il continuo declino della produzione petrolifera sul territorio nazionale, cosa che li forzava a spese militari gigantesche per mantener il controllo del Medio Oriente. Come tutti gli imperi del passato, anche quello Americano si trovava in difficoltà a mantenere il proprio apparato militare ipertrofico in una fase di declino produttivo.
Nel frattempo, l’erede principale della vecchia Unione Sovietica, la Russia, vedeva un piccolo rinascimento petrolifero. Non più costretta a rifornire l’intera Unione, e neppure a supportare un apparato militare ipertrofico, la Russia poteva permettersi di ricostruire la propria economia esportando petrolio. Allo stesso tempo, anche l’Europa vedeva un momento di prosperità negli anni 1970 e 1980, con lo sfruttamento dei giacimenti del Mare del Nord. Ma, con il loro esaurimento, si affidava sempre di più alla Russia per avere energia a basso prezzo in forma di petrolio gas naturale importato via gasdotto.
In questa situazione, gli Stati Uniti si trovavano di nuovo in difficoltà strategica. Non potendo esportare né petrolio né gas, non avevano modo di tenere sotto controllo i loro alleati Europei.
Il rilancio della produzione “stars and stripes”
All’inizio del ventunesimo secolo, nessun geologo sano di mente avrebbe detto che il declino della produzione Americana poteva essere fermato, per non dire invertito. Ma, verso il 2010, qualcosa ha cambiato completamente la situazione e con essa il panorama energetico mondiale.
La produzione di petrolio negli Stati Uniti ha ricominciato ad aumentare rapidamente. Nel 2018, la produzione statunitense era tornata ai livelli del picco del 1970. Nel 2019 lo ha superato e ha continuato a crescere. La produzione di gas naturale ha seguito la stessa tendenza, salendo rapidamente a livelli mai visti prima. Nel 2020, la crisi del Covid ha causato un nuovo calo della produzione, che però è stato oggi in gran parte recuperato. Con le nuove risorse interne, gli Stati Uniti sono di nuovo il più grande produttore mondiale e sono di nuovo in grado di esportare petrolio in tutto il mondo.
Come è stato possibile?
Cosa è successo per cambiare così tanto le cose nell’industria petrolifera statunitense? La causa ha un nome: si chiama “tight oil” o “shale oil”, (“petrolio di scisto”) estratto tramite fracking (fratturazione idraulica).
Non è un concetto nuovo: l’idea era già nota negli anni ’30. La tecnologia consiste nel pompare sottoterra un fluido ad alta pressione per fratturare la roccia che contiene il petrolio e il gas, e farlo fluire in superficie. Riesce a mobilizzare il petrolio e il gas da giacimenti che non sarebbero sfruttabili in altri modi.
Il problema del fracking è che è costoso, al punto che è difficile per gli operatori impegnati nel settore ottenere dei profitti. Ma il concetto che qualcosa si fa solo se genera profitti non vale quando si lavora su scala strategica e le spese militari non sono soggette agli stessi parametri di quelle per la produzione di beni per il mercato civile. Non sappiamo esattamente quale meccanismo finanziario abbia portato le multinazionali petrolifere a investire somme gigantesche nell’estrazione del petrolio di scisto (e, incidentalmente, di investirle soltanto nel territorio degli Stati Uniti). In ogni caso, con il secondo decennio del XXI secolo, il mondo è cambiato.
Non sorprende quindi che l’Impero Americano stia ritornando a espandersi, esplorando nuove direzioni. Prima della rivoluzione del fracking, l’Impero aveva una carenza di petrolio e tendeva al controllo diretto di regioni produttive (l’Iraq) o ritenute potenzialmente produttive (l’Afghanistan). Ma dopo la rivoluzione, non ce n’era più bisogno. L’impero aveva risorse in abbondanza a casa propria e poteva utilizzarle come strumento di controllo. Era un approccio estremamente efficace quando accoppiato con un apparato militare unico in tutto il mondo, come è quello americano oggi.
Quindi, abbiamo visto gli Stati Uniti muoversi in modo aggressivo per riprendersi il mercato europeo dell’energia, che avevano in gran parte abbandonato alla Russia negli anni 1990.
Molto di quello che è accaduto negli ultimi tempi si spiega come una guerra economica per il controllo delle esportazioni di gas in Europa. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti si stanno comportando in modo aggressivo anche nei confronti della Cina, che considerano giustamente il loro principale concorrente a lungo termine. Tutto quello che stiamo vedendo ha una logica precisa: era, in un certo senso, inevitabile dati i cambiamenti strutturali del mercato dei combustibili fossili.
Quanto durerà l’abbondanza petrolifera creata dagli scisti?
Anche qui, siamo di fronte a una risorsa limitata. Nonostante l’ottimismo generale, la crescita della produzione petrolifera negli USA sta chiaramente rallentando, mentre l’Impero sta affrontando nuovi vincoli in termini di risorse: terra, acqua, cibo, suolo fertile e altro ancora. Così, siamo di fronte a una nuova fase strategica il cui sviluppo è difficilmente prevedibile.
Se gli Stati Uniti riusciranno a rilanciare la produzione di petrolio di scisto dopo lo stop della pandemia, e a mantenerne la crescita per almeno un decennio, l’Impero Americano avrà la possibilità, unica (e forse anche ultima) nella storia, di ottenere quell’egemonia mondiale che i Neocon avevano teorizzato verso la fine degli anni 1990.
Schiacciando la Russia, l’unico possibile concorrente in grado di competere in termini di produzione di energia fossile, gli Stati Uniti si troverebbero di fronte soltanto la Cina. Un competitore temibile, certamente, ma privo di risorse petrolifere interne comparabili a quelle degli Stati Uniti.
Viceversa, potrebbe succedere che anche il petrolio di scisto raggiunga il suo picco produttivo a breve scadenza. In questo caso, l’Impero Americano si troverà di fronte al collasso, esattamente come era successo a quello sovietico circa 30 anni fa. Ne potrebbe seguire un periodo di frammentazione, probabilmente di caos, simile al periodo medievale europeo dopo il crollo dell’Impero Romano, fino a che l’economia non si stabilizzerà sulla base di nuove fonti energetiche.
Come il petrolio ha sostituito il carbone, a questo punto spetta all’energia rinnovabile sostituire il petrolio. Sarà un mondo diverso e (se qualcuno sopravvivrà al grande rivolgimento) può darsi che la disponibilità di un’abbondante radiazione solare ribalti completamente la tendenza alla supremazia delle regioni del nord su quelle del sud, che durava in Europa fin dalla caduta dell’Impero Romano. Forse torneremmo addirittura a una situazione simile a quella dell’Impero Cartaginese, con l’Africa del Nord il centro produttivo energetico del blocco Afro-Eurasiatico. Questo è il potere dell’energia, e gli imperi non sono che schiavi delle forze che governano l’universo!