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Israele/Palestina 1, Mazin Qumsiyeh (biologo e attivista)

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Il Tazebao apre oggi un ciclo di riflessioni con l’obiettivo di approfondire cause ed effetti del conflitto israelo-palestinese.
Mazin Qumsiyeh: “Le conseguenze della ‘colonizzazione’ sono chiare. Illusione pensare di dividere il Paese tra colonizzatori e colonizzati”.

Lo leggiamo spesso firmarsi le sue come “un beduino nel cyberspazio, un paesano a casa”, il dott. Mazin Qumsiyeh è un biologo, scrittore e attivista non violento palestinese. Dopo aver vissuto molti anni negli Stati Uniti e aver insegnato a Yale e alla Duke University, è tornato in Palestina nel 2008. È stato fondatore e tesoriere nazionale di Al-Awda, la Coalizione per il diritto di ritorno palestinese negli Stati Uniti. È stato presidente della Fondazione per la conservazione della Terra Santa e dell’Associazione mediorientale di genetica. Fondatore e Presidente del Museo di storia naturale della Palestina e dell’Istituto per la biodiversità e la sostenibilità all’Università di Betlemme. Ho avuto la fortuna di intervistare il professor Qumsiyeh questo Santo Stefano.

Salve, grazie moltissimo per aver accettato l’intervista. Pare che questo Natale a Betlemme sia stato un po’ diverso. Qual è la situazione lì?

“La Palestina è una delle zone di conflitto nel mondo che viene sempre minimizzata dai media. Se ci sono proteste in Azerbaijan ne sentiamo parlare o se uccidono un paio di persone qui e lì, ma quando si tratta di Palestina c’è omertà, come se non esistessimo o se vivessimo su un pianeta diverso.

Proprio oggi, il Ministero della Salute ha dichiarato che la situazione è catastrofica, specialmente a Gaza. Israele ha appena bombardato Gaza, per esempio. Non l’ho visto su CNN, o su Fox News… Hanno bombardato un ospedale pediatrico e ci sono stati feriti all’interno, per via del vetro rotto e dei proiettili. Questa è la realtà di quello che sta accadendo qui, con l’occupazione militare coloniale che ci ha sottratto la nostra terra, acqua, e risorse naturali, impoverendoci in modo importante e isolando il resto della popolazione in dei ghetti.

La Palestina non è mai stata un Paese povero e non aveva problemi strutturali o una carenza di risorse naturali. I palestinesi crescevano il loro cibo e lo esportavano: la maggior parte degli agrumi in Europa venivano importati dalla Palestina qualche anno fa. Siamo parte della mezzaluna fertile, dove gli esseri umani hanno sviluppato l’agricoltura. Poi, è arrivato il sionismo e ha portato povertà e pulizie etniche. Dei 13 milioni di palestinesi nel mondo, 7,5 sono rifugiati o sfollati”.

“La Palestina non è mai stata un Paese povero e non aveva problemi strutturali”

E nella Cisgiordania? Ci sono state delle notizie sul fatto che Israele ha deliberatamente trattenuto dei beni di prima necessità destinati ai palestinesi.

“La colonizzazione ci ha preso 11 migliaia di miliardi di dollari di proprietà, fra case, terre ecc. Come i Bantu in Sudafrica, che erano dipendenti dall’economia sudafricana perché erano sotto assedio e non potevano produrre e importare il loro cibo, noi ora siamo nella stessa situazione. Israele guadagna 12 miliardi di dollari all’anno tenendo l’economia della Cisgiordania in ostaggio. E questa cifra non tiene conto del saccheggiamento delle risorse naturali: acqua, minerali del Mar Morto, petrolio e gas naturale sulla costa del Mediterraneo, in acque palestinesi. Anche escludendo le terre occupate nel 1948, il gas naturale nel Mediterraneo e nelle acque al largo della striscia di Gaza, che è stata occupata nel 1967.

Puoi leggere di queste cose in “The Gaza Strip: The Political Economy of De-development” di Sara Roy oppure nel libro di Ilan Pappe sulla pulizia etnica della Palestina. Autori israeliani ed ebrei hanno scritto estensivamente sul saccheggio dal 1948 a oggi. Tornando al trattenimento di risorse dai palestinesi, Israele dovrebbe incassare le tasse da parte dei palestinesi, secondo gli accordi di Oslo. Quando compro un cellulare, pago il 17% a Israele, che dovrebbe prendere i soldi e reinvestirli. Ma nei 27 anni dall’entrata in vigore di Oslo, Israele ha sempre dedotto tutto quello che si sentiva. Ivi inclusi i sussidi dovuti ai prigionieri, alle famiglie loro e dei martiri. Qualsiasi soldato israeliano, ucciso anche durante una resistenza legittima dei palestinesi, si detrae dalle tasse quello che dovrebbe essere un compenso. Tutte queste politiche violano le leggi internazionali.

I sintomi della colonizzazione sono noti a chiunque ne abbia studiato la storia. Per esempio, gli europei in America o in Sudafrica o in altre parti del mondo dove il colonizzatore lascia povertà e morte. E per ora, almeno 100, 000 palestinesi sono stati uccisi. Non è una novità, né per Israele, né per qualunque altra parte del mondo.

“I sintomi della colonizzazione sono noti a chiunque ne abbia studiato la storia”

E la colonizzazione può finire in tre modi. O come è finita in Algeria, con i francesi che hanno dovuto fare i bagagli e tornare in Europa. Un milione di loro, 6-7 generazioni alcuni di cui non avevano mai visto la Francia. Questo il primo scenario. Secondo scenario, quello che è successo in Australia e in America, il genocidio dei nativi. Cosa che comunque è successa anche in Algeria, ci sono stati 2 milioni di morti nella lotta per l’indipendenza. Il terzo scenario è il più comune, è successo in 160 Paesi del mondo. Quasi tutti i Paesi visto questa situazione, dall’Inghilterra alla Svizzera al Sudamerica e in Canada, che è quando i discendenti dei colonizzatori e dei colonizzati condividono il Paese. Non c’è un quarto scenario. E penso che sia illusione credere che dividere un Paese fra colonizzatori e colonizzati possa funzionare. Non è mai successo, non può succedere per tantissime ragioni. Le discuto nel mio libro Sharing the Land of Canaan se ti interessa”.

Qual è stata l’idea, la visione, la matrice che ti ha portato a fondare l’Istituto palestinese per la biodiversità e la sostenibilità?

“Abbiamo discusso la prognosi e non dobbiamo discutere oltre i sintomi della colonizzazione, ma la terapia è la resistenza. Il lavoro che facciamo all’istituto è la terapia per ciò che ci affligge come specie: ci sono migliaia di istituzioni così per il mondo, che si occupano di giustizia, eguaglianza, diritti e ambiente. Il nostro motto all’istituto è rispetto: rispetto per noi stessi, per gli altri e per la natura. E per metterlo in pratica ci occupiamo di ricerca, istruzione e conservazione”.

Quale consideri essere il progetto di ricerca più importante, dal punto di vista sociale e politico?

“Pensiamo che tutti i nostri progetti siano importanti: che siano sugli insediamenti israeliani industriali che scaricano rifiuti tossici su di noi, o che siano sulla ricerca della biodiversità, dei cambiamenti climatici, oppure sulla gestione delle aree protette. Portiamo avanti anche ricerca medica, sull’aumento dell’incidenza di malattie genetiche, mutazioni, infertilità, virus, e così via”.

Com’è cambiata la vostra attività con la pandemia?

“Chiaramente il Covid ha cambiato il mondo. Quello che facciamo è risultato ancora più importante. Parlavamo già dell’impatto degli esseri umani sui cambiamenti climatici, di come questi riducano l’immunità, rendendo l’organismo più suscettibile alle infezioni e innalzando i tassi di mortalità. Questo accade soprattutto in regioni dove la dieta contiene molta frutta e verdura (in agricolture che dipendono da pesticidi, insetticidi e fertilizzanti chimici). Per esempio, questo è uno dei motivi per cui il virus ha avuto un impatto maggiore a Nord Italia rispetto al Sud: il tasso d’inquinamento e ciò che fa al sistema immunitario è veramente significativo.

Stavamo già parlando di tutto questo, e ora la gente ci ascolta, e si sta rendendo conto di quanto sia importante vivere una vita sana in un ambiente protetto. La curiosità è aumentata. Sul lato negativo, però, molto del nostro supporto derivava da persone che ci visitavano, o che ci avevano conosciuto da uno dei miei tanti viaggi, in cui parlo un po’ della situazione che affrontiamo. E che come risultato avevano contribuito con soldi, strumenti, libri, qualsiasi cosa. Certo che è cambiato con le restrizioni sul viaggio. E l’economia è deteriorata: avevamo il 30% di disoccupazione, ora siamo oltre il 50%: vuol dire che i nostri studenti non possono permettersi l’università. E per tutti nel mondo è un momento difficile, le persone preferiscono aiutare le proprie comunità”.

Le scelte di Trump e Biden

Stiamo vedendo una transizione presidenziale negli Stati Uniti, e una nuova alleanza fra Arabia saudita e Israele, oltre che con Bahrain, Yemen… In quanto cittadino americano, che ne pensi?

“Nel breve termine, gli Stati Uniti estorcono miliardi di dollari da questi Paesi. Ma questi soldi, ovviamente, vanno alle industrie d’armi che a loro volta vendono i prodotti ai sauditi oppure alle istituzioni finanziarie come Citybank, che investono in petrodollari. L’americano medio non trae nessun vantaggio dall’estorsione di Emirati Arabi, Bahrain ecc.  Ma non è una novità. E tutto questo ovviamente a spese della popolazione sofferente di Paesi come Palestina, Yemen, Siria”.

E Israele?

“Israele in tutto questo è un parassita, loro li prendono i soldi. I sionisti hanno parecchia influenza sulla politica estera americana, che favorisce solo gli straricchi, fra cui anche molti sionisti. Non favorisce i contribuenti americani, e non favorisce nemmeno i contribuenti israeliani, un quarto dei quali vivono in povertà. E il loro governo prende miliardi dei nostri dollari. Perché anche io sono contribuente, nonostante non viva più negli Stati Uniti da 12 anni. E la maggior parte degli americani è contraria ai miliardi che vengono versati in quanto assistenza straniera nelle casse di Israele e alle tante guerre che vengono combattute per conto di Israele: in Iraq, Siria, Somalia, Yemen, Afghanistan… Ma il Congresso non è il popolo, viene comprato e venduto dalle lobby. Le quali tendono a votare per continuare a supportare Israele e altre guerre, anche quando il popolo americano soffre, anche indebitandosi. Hanno votato ora per un contributo di $600 dollari a persona, ridicolo! E il governo americano continua a indebitarsi: oggi il debito è di 24, 000 miliardi di dollari – con interessi, ovviamente. E il debito verrà ripagato in un modo o nell’altro. Un modo di ripagarlo è di svalutare il dollaro, distruggendo il potere d’acquisto delle persone. E questo è il motivo per cui anche il rapporto con Israele può essere determinante per gli Stati Uniti e negli ultimi 30/40 anni la tendenza è stata in discesa. E ora vediamo l’ascesa di altre superpotenze come la Cina e la Russia grazie anche a questa politica estera e a un governo che viene gestito senza coscienza o interesse per il benessere del popolo, nemmeno del popolo israeliano”.

I tuoi interessi di ricerca sono cambiati da quando sei tornato in Palestina?

“Sì, prima lavoravo a cose più generali come la ricerca oncologica e ora sono più interessato alla ricerca che avviene in paesi in via di sviluppo. Ad esempio, la conservazione della biodiversità e il cambiamento climatico, l’impatto ambientale della crescita demografica, e la distruzione degli habitat naturali. Questo è diventato molto più importante per me che studiare la resistenza farmacologica e i tumori. Stavo già facendo molte di queste cose, ma da quando sono tornato in Palestina è diventato il mio obiettivo principale. Il punto della questione è, come facciamo a salvare noi stessi e il pianeta? La ricerca biomedica aiuta poche persone con una particolare malattia. Ma la ricerca che sto facendo io è importante a salvare la nostra specie”.

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