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In morte di Papa Benedetto

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Con l’anno 2022 si è conclusa anche la vita di Papa Benedetto XVI, il cui pontificato, pur se storicamente breve (2005-2013), ha lasciato sicuramente un segno profondo nella Storia contemporanea.

Sicuramente non passerà inosservato che quegli otto anni hanno visto una frattura nei rapporti, tipicamente floridi, tra il Vaticano e gli USA (era presidente Obama) in favore di maggiori legami con l’Europa che, a trazione teutonica, viveva il difficile periodo dell’aggravamento della crisi finanziaria nel 2008, dello spread e di altre complicazioni dovute alle speculazioni finanziarie e bancarie a vario livello.

Si può dire che l’opera di papa Ratzinger sia stata molto più eclettica di quanto molti pensino e vogliano far credere: nonostante la sua intransigenza sulle questioni teologiche e morali, durante il suo mandato da Pontefice la Santa sede ha ricucito lo strappo col mondo islamico, nonostante le speculazioni mediatiche sulla sua citazione di Manuele II Paleologo all’Università di Ratisbona.

Furono 138, infatti, i teologi musulmani che poco tempo dopo gli indirizzarono una lettera per aprire sistematicamente un dialogo sincero e costruttivo col Cristianesimo e le sue istituzioni.

Nel 2010 egli citò La gaia scienza di Nietzsche per riaffermare il primato della fede, vista come più solida e “resistente alla critica e ai cambiamenti” rispetto alla ricerca scientifica, che spesso si è infatti smentita o contraddetta a seguito di nuovi sviluppi e nuove scoperte.

Le aperture diplomatiche

Pur avendo, inoltre, scritto pagine molto dure contro il mondo moderno e le tendenze morali di stampo nichilistico e relativistico, il Vaticano con lui ha aperto nuovi canali diplomatici: si pensi ad esempio al Vietnam, paese pur governato da un sistema socialista, con cui a tutt’oggi la Santa sede è in trattative per l’instaurazione di relazioni diplomatiche, o al viaggio dell’ex Pontefice a Cuba nel 2012, in cui incontrò Raúl Castro. Ma anche alla Cina, con cui, pur restando inattive le relazioni ufficiali, Ratzinger cercò una mediazione per la nomina dei nuovi vescovi; a tal fine, egli invitò apertamente, in una lettera a loro rivolta, i cattolici cinesi legati al Vaticano a uscire dalla clandestinità in nome della riconciliazione e dell’unità con le altre “frange” cattoliche nel Paese (egli ne rilevava tre: quella dei fedeli a Roma, clandestini; quelli che avevano ricevuto la comunione con Roma pur se affiliati alla Chiesa Patriottica; quelli fedeli alla Chiesa Patriottica).

Per quanto riguarda gli altri due paesi socialisti finora rimasti esclusi dalla presente rassegna, vale a dire Laos e Corea del Nord, è da segnalare che, mentre nel primo si procedette alla nomina di delegati apostolici presso le comunità cattoliche locali pur non aprendovi relazioni diplomatiche ufficiali [1], con Pyongyang è rimasto tutto invariato nonostante le voci su possibili visite di Wojtyła (1991, 2000) e Bergoglio (2018, 2021, 2022), mai concretizzatesi: la Repubblica Popolare Democratica di Corea non riconosce il Vaticano e non vi ha rapporti diplomatici di alcun tipo. Ciò però non significa, come spesso affermato in Occidente, che i 3.000 cattolici nordcoreani siano “perseguitati” o “discriminati”.

I cattolici in Corea

Il 30 giugno 1988 fu infatti fondata l’Associazione dei Cattolici di Corea, la quale riunisce i fedeli che si radunano in preghiera presso la Diocesi di Hamhung, la Cattedrale di Changchun a Pyongyang (affiliata alla diocesi della capitale), o all’abbazia benedettina di Tokwon. In quello stesso decennio fu pubblicata, per le funzioni ufficiali, una nuova traduzione della Bibbia [2] e sempre nel 1988 alcuni rappresentanti vaticani assisterono all’apertura della summenzionata Cattedrale di Changchun, mentre due sacerdoti novizi nordcoreani furono inviati a studiare a Roma.

Già durante la rivoluzione coreana, però, il fondatore della RPD di Corea, Kim Il Sung, manifestò un atteggiamento assai diverso da quello dei marxisti più ortodossi e intransigenti verso la religione.

Religione e ideologia comunista: oltre la semplice contrapposizione

Nel quinto volume delle sue memorie, intitolate Attraverso il secolo, egli ricordò come nel 1926 i guerriglieri comunisti entrarono in contatto con un sacerdote chondoista [3], il giovane Tojong Pak In Jin, che voleva unirsi alla lotta per cacciare i giapponesi dalla Corea. Mentre Kim Il Sung era disposto ad accettarlo con entusiasmo, un guerrigliero (viene menzionato il nome di Ri Tong Hak) espresse invece un’opinione contraria. Egli asserì che l’arruolamento di un religioso nei ranghi rivoluzionari ne avrebbe corrotto l’integrità organizzativa e fece riferimento al noto aforisma di Marx per cui «la religione è l’oppio dei popoli». Kim Il Sung si spiegò in questi termini:

«La definizione data da Marx della religione come un oppio non deve essere intesa radicalmente e unilateralmente. Egli metteva in guardia dalla tentazione dei miraggi religiosi, non si opponeva ai credenti in generale. Noi dobbiamo accogliere e unirci a tutti i religiosi patriottici, a prescindere da chi siano. Vi dovete rendere conto che il nostro esercito guerrigliero è una forza armata patriottica, la cui missione fondamentale è la salvezza nazionale antigiapponese, e un esercito del popolo che combatte in nome degli operai, dei contadini e anche della nazione coreana nel suo insieme. È vero, il ruolo centrale in questo esercito lo svolgiamo noi comunisti. Ma ciò non implica l’esclusione di altre tendenze o forze. Persino un religioso può essere arruolato nelle nostre file senza remore, se questa è la sua volontà. E tuttavia, tu non riesci a vedere la manna dal cielo che ci troviamo tra le mani. Col suo aiuto possiamo gettare i semi dell’Associazione per la Restaurazione della Patria tra i chondoisti nelle aree di Kapsan, Phungsan e Samsu e portare la vasta zona di Ryongbuk sotto la nostra influenza. Il tempo dimostrerà il valore di quel ragazzo, per cui è meglio che lo tratti bene e te ne prenda cura al meglio» [4].

Forse in ciò avrà influito la religiosità che si respirava nella sua famiglia (la madre di Kim Il Sung, Kang Pan Sok, era una sacerdotessa presbiteriana), ma questa posizione, alla quale si attenne per tutta la vita, merita certamente una riflessione più ampia relativamente al ruolo che i credenti possono avere ancora oggi nella lotta per il progresso sociale, nonostante la vulgata postmoderna che li vorrebbe simili a dei cavernicoli imbevuti di superstizioni e credenze “medievali”, come se il Medioevo fosse stato soltanto un buio periodo di ignoranza e reazione e non, com’è stato, un’era di profonde ricerche e scoperte che si ripercuotono ancor oggi, in positivo, sulla nostra vita quotidiana.

Molti sono, infine, gli aneddoti relativi agli incontri che Kim Il Sung ebbe, tra gli anni ’80 e gli anni ’90, con vari esponenti del mondo religioso sudcoreano, come il reverendo Kim Song Rak (1904-1989), presidente della Società per la promozione della riunificazione nazionale, consulente dell’Associazione delle Chiese Sudcoreane, membro del Corpo dei presidenti dell’Associazione dei sudcoreani d’oltremare per la democrazia e la riunificazione nazionale negli Stati Uniti, nonché ex rettore dell’Università di Sungjon in Corea del Sud; il reverendo Mun Ik Hwan (1918-1994), pastore cristiano incarcerato più volte durante la dittatura militare per le sue attività in favore della democratizzazione della società e per il suo viaggio nella RPDC nel 1989, e Sun Myung Moon (1920-2012), predicatore cristiano, fondatore della Chiesa dell’Unificazione e presidente della Universal Peace Federation.

Tutti e tre, e merita ricordare l’anticomunismo inveterato di Kim e Sun, riportarono ottime impressioni degli incontri che ebbero col Presidente nordcoreano, affermando che dalle conversazioni avute con lui abbiano potuto dissipare molti dubbi e preconcetti che avevano nei riguardi della RPD di Corea e dei comunisti. Kim Song Rak fu persino attivamente incoraggiato a pregare come da usanza al banchetto offerto in suo onore, a riprova di quanto il dialogo possa ancora funzionare per la reciproca comprensione e il superamento delle divergenze: una lezione  che può servire anche oggi nell’ottica di un miglioramento e di un rinnovamento del dialogo col mondo cattolico in Italia.

Fonti
  1. https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2011/10/24/news/la-diplomazia-secondo-ratzinger-meno-calcoli-piu-fede-1.36926703/
  2. https://dotheword.org/2014/05/14/where-did-our-north-korean-bible-translations-come-from/
  3. Il chondoismo è una religione tipicamente coreana nata dal movimento nazionalistico del Tonghak (1860) e non priva di influenze confuciane, taoiste e buddiste. Si tratta di un credo di origine contadina che, predicando il “cammino della Via del Cielo”, si opponeva alle influenze straniere, al colonialismo e all’oppressione da parte dei ricchi e dei potenti.
  4. Kim Il Sung, Opere, vol. 49, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2010, pag. 298 ed. ing.

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