L’intervento di Leonardo Tirabassi autore de La nuova guerra mondiale durante l’evento “Il mondo grande e terribile”
Il libro La nuova guerra mondiale è uscito la scorsa estate: è una raccolta degli articoli precedentemente pubblicati su Il Sussidiario, che hanno il difetto dell’occasionalità, perché scritti volta per volta, ma anche il pregio della freschezza; nel libro c’è anche un saggio scritto per l’associazione Pensare l’Europa.
Mi occupo di questioni internazionali e di guerra da quasi trent’anni. Ciò che ho cercato di fare è stato smontare, pezzo per pezzo, gli avvenimenti per capire cosa stesse succedendo così da eliminare, per quanto possibile, la partigianeria. Non è detto che uno non possa stare da una parte o dall’altra, anzi. Ho cercato, però, di capire gli elementi che compongono il quadro. Se la politica non fa questo non è in grado di risolvere nulla.
Gli elementi della guerra sono sempre gli stessi:
- Il contesto internazionale;
- La storia delle relazioni tra i due paesi;
- La grammatica della guerra, che ha una sua logica, ferrea e intelligibile.
Esistono la tecnica, l’organizzazione, la volontà: tutto questo, il massimo dell’intelligenza umana, converge nella guerra. Per questo va capita. Per fermarla. Se non si capisce la guerra non la si può fermare. Non basta dire “voglio la pace”: è un afflato morale bello ma inutile. Bisogna capire la guerra.
La prima guerra mondiale, come ha notato Sapelli nella prefazione, è stata quella dei Sette anni. Oggi il mondo è diventato molto piccolo, interconnesso e uno. Non esistono più due mondi, con due economie e ideologie, visto che ci sono reti e mercati, come quello del gas, che sono comuni a tutti. La riprova è nell’interconnessione tra Stati Uniti e Cina.
Il punto centrale del sistema internazionale è quello dell’ordine, poi arrivano la giustizia e l’uguaglianza. Dalla caduta del Muro il problema è stato latente. Fin quando la Cina è assurta a superpotenza globale. Non solo, non c’è stato un accordo con la potenza sconfitta, la Russia. Gli accordi internazionali dopo le guerre maturano per ragioni di sicurezza e rappresentano, come qualsiasi codice, un sistema interpretativo. In mancanza di questo set di norme non si sa come comportarsi in caso di lite e su come incorniciare le mosse dell’avversario. Non c’è stato un accordo con la Russia sconfitta, il paese più esteso, ricco di risorse naturali, dotato di un arsenale nucleare. Questo ordine post-89 esplode definitivamente con l’ingresso della Cina, un altro paese con una tradizione imperiale, in questo caso millenaria.
In questa confusione globale esiste pur sempre un centro geografico: il Mediterraneo, colto nella sua versione allargata, perché è il punto di contatto di tre continenti. Se non c’è accordo sul Mediterraneo, il caos dilaga anche altrove. Non a caso, dopo l’Ucraina, c’è Gaza, c’è Israele. Il conflitto avviene ancora lungo la linea di rottura della Prima guerra mondiale: l’Ucraina, i Balcani, il Medioriente. Siamo sempre lì.
Un nuovo ordine internazionale non può prescindere dalla partecipazione di una nuova potenza, come la Cina, di una potenza, per quanto acciaccata, come la Russia, e delle potenze che stanno emergendo, come Turchia e Iran, o ancora l’India, un paese con alto livello di alfabetizzazione e industrie avanzate. Questo è lo scenario in cui si inserisce anche la guerra in Ucraina, che è una guerra multistrato. C’è uno scontro, tra Cina – ha guadagni immediati e strategici – e Stati Uniti, e ci sono potenze che giocano su ogni tensione per ricavarne vantaggi.
Il diritto internazionale chiarisce che c’è un aggressore, ciò però non esaurisce le ragioni all’origine della guerra. La Russia la definisce una “guerra patriottica”, come prosecuzione della guerra contro il nazifascismo. La Russia si sente accerchiata. Ne vogliamo tener conto? Un ordine mondiale deve valere per tutti, se si vuole un ordine di consenso, altrimenti ci vuole un ordine della forza e il più forte, o prepotente, deve comandare e saper ridurre al minimo il livello di violenza. In questo momento il più forte non è in grado di produrre stabilità.
La guerra si fa per un obiettivo politico e si usa il dispositivo militare per piegare la volontà di un altro che altrimenti non si piegherebbe. Per questo, si dice, che a scatenare la guerra sia il difensore, che non si piega alla volontà dell’attaccante. Nella Seconda guerra, che è stata una guerra totale, l’obiettivo politico ha portato alla totale cancellazione del nemico. In questo caso, è impossibile sconfiggere la Russia ed è impossibile distruggere l’Ucraina, nonostante sia sempre più devastata. In Vietnam gli Stati Uniti non hanno mai perso una battaglia; eppure, sono considerati perdenti perché l’opinione pubblica, sempre più determinante nelle guerre, ha visto nell’offensiva del Têt una grande vittoria dei Vietcong, quando non è stato così, militarmente, sul campo di battaglia. La Russia non rischia la distruzione e nemmeno l’Ucraina, visto che si combatte solo in un solo fronte, concentrato in una parte del fronte: non è una guerra totale, anche perché il gas russo ancora scorre attraverso l’Ucraina.
Il numero dei morti, invece, è impressionante, paragonato alle guerre moderne e nonostante sia una guerra concentrata geograficamente. I numeri sono tenuti segreti da ambo le parti ma si possono ricostruire, con buona precisione: si stimano dai 70 ai 100 mila caduti per parte. Sono numeri impressionanti. Sono stati 60 mila i morti militari in Vietnam, in 15 anni; in Afghanistan i russi ne perdono 52 mila, in 10 anni. Questi numeri sono già elevatissimi senza attacchi devastanti sul territorio nemico quali bombardamenti a tappeto, al netto di qualche azione di propaganda.
Tornando all’ordine internazionale, si doveva garantire la sicurezza sia ai paesi dell’ex-Patto di Varsavia, come la Polonia, sia quelli ex-URSS, come i Baltici o la Finlandia, perché hanno una sensibilità diversa sulla Russia rispetto alla nostra, ma così non è stato; non è un caso che, alla prima occasione utile, abbiano chiesto di entrare nella Nato. Ugualmente, c’è il principio dell’autodeterminazione dei popoli, perché ci sono le minoranze etniche che non si riconoscono in un determinato Stato: non sempre funziona sempre come con la Cecoslovacchia. Per questo ci vuole un nuovo ordine internazionale. L’ONU non serve a nulla senza nuovi attori globali, l’Unione Europea non serve a nulla se non diventa un mediatore. E fino ad oggi non lo ha fatto.