Cosa ci dicono le proteste del popolo romeno di questi giorni sul nostro tempo confuso?
Il Tazebao – Trentacinque anni dopo la caduta e del Muro di Berlino e la fucilazione di Nicolae ed Elena Ceauşescu, sia l’Europa che la Romania si trovano attanagliati nel caos e nelle contraddizioni interne ed esterne nonostante le promesse di “un’era di pace” che avrebbe dovuto seguire al 1989.
Soprattutto gli ex Paesi socialisti nell’Europa orientale, quelli che con più gioia e illusioni sono entrati a far parte del campo occidentale, ammaliati dalle chimere di lusso e ricchezza, si trovano a vivere le contraddizioni più stridenti, in particolare con una realtà che non solo non ha dato loro la prosperità sognata, ma ha tolto loro anche i benefici di cui godevano sotto il socialismo (lavoro fisso e garantito, casa sicura, assistenza sanitaria e istruzione gratuite e di ottimo livello…). Emblematici, proprio nel caso romeno, il decreto legge 149 e la legge 15, entrambe approvate nel 1990, che hanno smantellato del tutto, anche formalmente, il sistema socialista.
Oggi assistiamo a un inasprimento delle contraddizioni tra Stati Uniti e Unione Europea, poiché quest’ultima non può strutturalmente sottomettersi al nuovo corso di “primato dell’America” stabilito da Donald Trump, in quanto polo imperialista con anch’esso i suoi interessi e i suoi mercati, non sempre collimanti con quelli di Washington. La manipolazione delle forze comunemente ritenute “populiste” o “di estrema destra” da parte degli americani e la conseguente repressione da parte del regime di Bruxelles degli elementi ad esse afferenti, come è appunto il caso di Călin Georgescu e del suo (fortunatamente) breve arresto, lo dimostrano. Ma esse, come pure le manifestazioni di massa che si susseguono oramai da mesi in Romania, ma anche le proteste in Bulgaria contro l’entrata nell’euro, prevista per il prossimo anno, i tentativi di destabilizzazione della Georgia prima e della Serbia adesso, il mandato d’arresto contro il Presidente della Repubblica Serba Milorad Dodik e le rinfocolate tensioni nei Balcani, dimostrano anche che i popoli non ci stanno e reclamano la loro parte nel nuovo capitolo storico che si sta aprendo per il Vecchio Continente.
Fra tre mesi ricorrerà il 50° anniversario della visita del Presidente Kim Il Sung nella Repubblica Socialista di Romania, nel contesto di un viaggio diplomatico che egli compì anche in Cina, Algeria, Mauritania, Bulgaria e Jugoslavia. Nel suo discorso pronunciato alla manifestazione di massa dedicata all’amicizia coreo-romena, organizzata dal Comitato di Bucarest del PCR in onore della delegazione del Partito del Lavoro di Corea e del governo della RPDC il 24 maggio 1975, Kim Il Sung tratteggiò un quadro di indubbia attualità:
«Mentre la crisi economica si aggrava nei paesi capitalisti e gli ambienti dominanti vi intensificano lo sfruttamento e il saccheggio dei lavoratori, la lotta della classe operaia e degli altri lavoratori di questi paesi acquista sempre maggiore ampiezza. Questa lotta costituisce un potente fattore dell’inasprimento delle contraddizioni interne del capitalismo e del crollo delle sue basi» (Kim Il Sung, Discorsi pronunciati in occasione di visite all’estero, Associazione per i rapporti culturali con la Repubblica popolare democratica di Corea, Roma 1976, p. 36.).
Ancora nel 1984, in un discorso pronunciato a un raduno di massa d’amicizia romeno-coreana, egli fece notare:
«Un problema di massima preoccupazione comune per i popoli del mondo al momento attuale è come impedire la guerra e salvaguardare la pace e la sicurezza universali.
A causa delle scellerate manovre d’aggressione e di guerra da parte degli imperialisti, che nutrono la chimera dell’egemonia mondiale, la situazione internazionale si fa più tesa ogni giorno che passa. Questa è la ragione della profonda ansia dei popoli del mondo amanti della pace.
[…]
Oggi esiste ancora nel mondo un ordine economico internazionale assai ingiusto e obsoleto, quale fu instaurato nel passato dagli imperialisti e dai colonialisti. Di conseguenza, le differenze tra i Paesi ricchi e sviluppati d’Occidente e la povertà di quelli in via di sviluppo aumenta quotidianamente» (Amicizia fraterna imperitura. Le visite ufficiali del grande Leader compagno Kim Il Sung in Unione Sovietica e negli altri Paesi socialisti europei, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1984, p. 194 ed. ing.).
Se all’epoca Kim Il Sung esaltò il ruolo del Partito Comunista Romeno e della Repubblica Socialista di Romania nella difesa della pace e della stabilità mondiali nell’ottica del perseguimento di una linea indipendente e autonoma in politica estera, oggi il cambiamento di campo della Romania l’ha resa “parte del problema”, nel senso che la NATO, di cui fa parte da più di vent’anni, vuole usarla come base d’attacco contro la Russia (vedasi l’ampliamento del porto di Costanza deciso dall’Alleanza Atlantica a tal fine). Il popolo romeno, tra i quali vari sondaggi da una decina d’anni rivelano serpeggiare una sempre più diffusa nostalgia per l’Epoca de Aur, non ci sta e, come spesso ha fatto in questi ultimi trent’anni, anche per cause “minori” come il crollo di una discoteca nel 2017 le cui proteste succedutesi portarono addirittura alla caduta del governo, scende in piazza unito e compatto, senza simboli di partito ma solo con le bandiere nazionali. Probabilmente è anche per questo che sui media non ottengono visibilità né notorietà: l’assenza di vessilli UE o NATO non rende, per la propaganda occidentale. Si tratta dunque, volendola vedere dalla prospettiva della concezione kimilsungista-kimjongilista, di proteste scaturenti dal naturale desiderio dei popoli, in questo caso quello della vecchia Tracia, di indipendenza e sovranità, contro ogni politica di egemonia e asservimento. Secondarie sono la direzione e le parole d’ordine specifiche: ciò che conta è che oggettivamente indeboliscono la presa europea sul Paese, ampliando le contraddizioni tra Washington e Bruxelles. È qui che ogni socialista degno di questo nome è tenuto a intervenire attivamente e concretamente.