Gli USA di Biden: una nuova “American Way of Life”?

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Il cambio alla guida dell’Impero porta con sé una rivoluzione culturale: ecco una nuova “American Way of Life”

L’America si sta ripensando. Sentiva di dover rivedere nel profondo il suo modello culturale, che a caduta è diffuso negli altri paesi occidentali, anche in quelli periferici, e non solo. È un’America che ha percepito il declino del proprio Impero. Lo ha messo in luce Gianni Bonini nella sua ultima intervista evidenziando come lo scontro Biden-Trump sia stato uno scontro sulla gestione della crisi dell’Impero e sulle possibili vie d’uscita.

Oggi l’America di Joe Biden, capace di parlare ai tanti esclusi dall’American Dream, a cominciare dalla simbologia scelta per la sua Casa Bianca – nello Studio Ovale entrano i busti di Martin Luther King, Rosa Parks e Cesar Chavez – che inaugura un nuovo Pantheon, si appresta ad una “New Frontier” aggiornata alle attuali sfide globali ovverosia digitale, sostenibilità e inclusione.

A questa nuova transizione lavorava in modo nemmeno troppo carsico il sistema dei media, la sovrastruttura, determinante da sempre nel sedimentare il potere, nel confermarne le credenze, nel farle interiorizzare alle masse cosicché le percepiscano come proprie. Gli alfieri sono Netflix, i social media, che mai come in USA2020 sono scesi nel campo della politica, i colossi della moda mentre il cuneo è il già citato neopresidente Biden che dovrà saper tradurre in concretezza le ambizioni dei nuovi americani.

Cambiano le famiglie, cambia la società

Il primo elemento a variare nella narrazione è la famiglia. La famiglia che da La Casa nella Prateria fino, in veste amara e caustica, ai Simpson è stata il centro propulsivo dell’American Way of Life.

Proprio i Simpson, diffusi per la prima volta proprio poco dopo la caduta del Muro (17 dicembre 1989 con “Un Natale da cani”), accompagnano l’America uscita vincitrice dalla Guerra Fredda, decostruendone i miti, le ambizioni e i sogni e risentendo alla lunga, nel loro inevitabile logoramento, della scomparsa di quel mondo di periferia con le casette a schiera e del suo trapasso verso qualcos’altro.

La società statunitense è cambiata, la famiglia incentrata sul padre (e se si guarda a Homer nemmeno un grande esempio, al netto della simpatia) non regge più il confronto con una realtà ormai altra. I modelli culturali devono adattarsi.

Le famiglie si sono scomposte, l’amore è diventato più instabile e vario. Ed ecco che la famiglia diventa moderna. Proprio la serie tv Modern Family (2009-2020) mostra un’insieme di famiglie, alcune più tradizionali altre più arcobaleno.

Forse in anticipo sui tempi, la serie Glee (2009-2015) seguiva le storie di un gruppo di giovani liceali eterogeneo, mai così eterogeneo (i teenager di Beverly Hills 90210 erano ancora troppo altolocati e normali) e le dinamiche di inclusione che vi si attivano.

Adesso l’eroina è tutta al femminile, intelligente, emancipata financo autodistruttiva in La regina degli Scacchi (consigliata). Per gli amanti dell’horror, c’è Lovecraft Country dove i protagonisti sono una famiglia di colore alle prese con gli orrori parto della mente di H.P. Lovecraft ma anche e soprattutto con il razzismo.

Ieri e oggi

Ultima ma non certo per importanza è Brigderton, la cui sceneggiatrice è Shonda Rhymes, celebre per Grey’s Anatomy. La serie Netflix sta riscuotendo un successo incredibile, tanto che Hollywood Reporter parla di “effetto Bridgerton”. Ambientata nell’Inghilterra della Reggenza (1811-1820), Bridgerton è una serie destinata a fare scalpore. Un esempio? La regina Carlotta è afroamericana, come tanti aristocratici che sfoggiano le loro chiome estrose non proprio tipiche di un Lord. Le innovazioni non finiscono qui. Eloise Bridgerton sembra parlare come una suffragetta di un secolo dopo mentre Penelope Featherington lascia intravedere una qualche idea di body positivity. Non quindi una riproduzione fedele del mondo di allora ma una trasposizione della società di oggi nei vestiti e i codici di allora.

Le ripercussioni anche sulla periferia dell’Impero

Ciò precisato, non stupisca quindi l’apparizione di Achille Lauro allo scorso Festival di Sanremo (ci sarà anche quest’anno) in cui criticava ferocemente la “mascolinità tossica” bardandosi come la Divina Marchesa Luisa Casati Stampa o come Elisabetta I dichiarando di essere diventato “una signorina” oppure che a MasterChef Italia, prodotto da Endemol e anch’esso importato dagli USA, ci siano i cosiddetti “nuovi italiani” o che si stia tanto attenti allo spreco di cibo.

È un modello nuovo che intente rivolgersi alle minoranze di un’America che, dopo il trauma del 2001 e del 2008, cerca un approdo sicuro, ma pure, come si confà ad un impero universale, alle minoranze, ai popoli del mondo, a chi ancora è escluso. È anche questa una grande capacità del modello culturale americano che lo rendono in grado di aggiornarsi per continuare a parlare, affascinare ma soprattutto a vendere.

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