Da Tuttatoscana, una presentazione del libro di Gianni Bonini “Paesaggi mediterranei. Dove la geografia provoca la storia” (Edizioni Samizdat, 2021), in cui ci sono contributi già pubblicati da Il Tazebao ma anche da Il Nodo di Gordio. Foto a cura di Fotocronache Germogli.
Prefazione di Stefania Craxi
To be men not destroyers, l’invito finale dei Cantos chiude icasticamente il XX secolo. Noi non possiamo non farlo nostro e, se è vero che la geografia provoca la storia, tornare ad immergerci nel Mediterraneo, il crocevia liquido che ha sedimentato la nostra civiltà e tornare a studiare i classici proprio quando la cibernetica sembra renderli obsoleti insieme alle nostre aspirazioni alla giustizia sociale (dalla Quarta di copertina)
Paesaggi mediterranei, così come si legge nella Nota dell’autore in apertura al volume, raccoglie nella Prima Parte gli scritti principali pubblicati negli ultimi tre anni, apparsi su riviste come articoli, interviste e saggi brevi di geopolitica scritti tra il 2019 e il 2021; nella Seconda dialoghi con Lorenzo Somigli e altri scritti comparsi tra il 2020 e il 2021.
Scrive Gianni Bonini, manager energetico e appassionato cultore di geopolitica, esponendo le proprie motivazioni a riunire gli scritti che compongono il volume:
Il libro prende avvio dall’assunto fatto proprio da Cyprian Broodbank al capitolo secondo della sua insuperabile summa sul Mediterraneo – Il Mediterraneo, Piccola Biblioteca Einaudi, 2015.
“Esistono posti”, ha scritto il poeta Iosif Brodskij, “la cui osservazione sulla mappa si unisce momentaneamente con la Provvidenza. Posti dove la storia è ineluttabile […] posti dove la geografia provoca la storia.” Il Mediterraneo, prosegue l’archeologo britannico, è pieno di simili luoghi e, pur volendo evitare le semplificazioni deterministiche e riconoscere che la cultura rielabora gli spazi fisici, è evidente che nel corso del tempo questi hanno tendenzialmente incoraggiato o scoraggiato determinate tipologie di attività e decisioni nei popoli vicini.
Così la Storia e la Geopolitica che si intrecciano nei saggi e nelle interviste diventano racconti e narrazioni che vanno oltre la contingenza degli eventi e scavano nelle esistenze dei popoli che si incontrano sullo sfondo, principalmente della prepotente centralità assunta dall’area MENA – Middle East and North Africa – a partire per lo meno dall’Ottocento, dall’apertura del Canale di Suez, ma Napoleone in Egitto non ci andò per capriccio, e poi dalla dissoluzione dell’Impero Ottomano e dalla sostituzione del carbone con la nafta nella Royal Navy.
Mediterranean First non è soltanto l’imperativo strategico di Churchill nel secondo conflitto mondiale, riassume bene ancora oggi l’importanza del vecchio mare nostrum nel quadro di una globalizzazione che si va rattrappendo, il suo essere un formidabile crocevia di scambi commerciali, vitali per la nostra penisola e per buona parte dell’Europa, non solo quella latina, fuoco di un quadrante euro-asiatico che lo storico Franco Cardini ha definito per primo icasticamente “Mediterraneo allargato”, in piena convulsione in Ucraina e sotto crescenti stress da regime change come prolungamento o deriva, se preferite, delle Primavere Arabe.
Il libro si presenta quindi come un’occasione di riflessione civile di respiro che ricerca le radici di un’identità comune e di un meticciato culturale, come il Cardinale Angelo Scola ha chiamato il melting pot di etnie e di culture alla base della koinè mediterranea, che vuole superare il pessimismo attuale dato dall’instabilità endemica nelle sue vicende che non ha mai tuttavia interrotto quel dialogo e quella contaminazione che sono il sale della sua storia.