Il Tazebao – Da circa qualche giorno stiamo assistendo a una “offensiva per procura” su due fronti in quelle che possono definirsi le retrovie naturali della Russia: il Caucaso e il Medio Oriente, più precisamente la Georgia e la Siria. Se a Tbilisi si intensificano, nonostante le parole del Primo ministro Kobakhidze che vorrebbero essere rassicuranti, i tentativi di un nuovo Maidan con lo stesso copione, nella ex provincia romana le milizie salafite hanno lanciato un attacco in profondità nelle aree di Idlib e Aleppo, ottenendo inizialmente un gran numero di successi e riuscendo a entrare addirittura in quest’ultima, metropoli strategica già liberata nel 2016 dopo quattro anni di combattimento. Sfruttando le negligenze dell’Esercito Arabo Siriano nella costruzione della difesa e la rilassatezza seguita alla proclamazione del cessate il fuoco all’inizio del 2020, i miliziani guidati da Tahrir al-Sham, ala siriana di Al-Qaeda, sono giunti anche a minacciare Hama, procedendo ovunque senza praticamente sparare un colpo. Qui, però, la loro avanzata pare essersi fermata, e al momento attuale non sono riusciti a prendere Aleppo: la controffensiva dell’esercito regolare di Damasco ha già portato alla riconquista di una quindicina di villaggi e gli attacchi aerei mirati delle forze russe hanno eliminato più di 600 terroristi, tra cui diversi capi militari. Alcune divisioni della Resistenza Islamica irachena e di Hezbollah sono già state schierate a dar manforte, mentre l’Iran starebbe preparando un attacco contro i centri di comando delle milizie anti-Assad. La Turchia, inizialmente sospettata di coinvolgimento attivo nell’offensiva, si è ripetutamente distanziata dagli eventi in corso, facendo sorgere il sospetto che si sia trattato, come qualche tempo fa ma su scala più estesa, di un tentativo americano-israeliano di sabotare la riconciliazione tra Erdoğan e Assad e abbattere quest’ultimo prima del reinsediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. (JC)
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