Il Tazebao – È un rovente avvio di settembre. C’è chi in estate ha lavorato, magari fuori dei riflettori (eppure i riflettori ci cercano), per far legna in vista di un inverno durissimo, che richiederà pochi sproloqui e molti fatti. Prima, però, a proposito di legna, continuiamo nella nostra opera di taglio dei rami secchi.
Nel gergo politico, il “trombato” è colui che si trova politicamente fregato o compromesso sia in conseguenza a proprie scelte, di una mancata capacità di reagire a decisioni sconvenienti altrui nei suoi confronti, sia perenni delusi che, ogni volta, devono imbarcarsi in una nuova avventura per dimenticare la precedente, cocente, delusione. Seppur si applichi anche alle donne, terrò un maschile sovraesteso. Seppur si applichi a tutte le generazioni, parlerò dei giovani a cui si affibbia il termine.
Nella politica parlamentare, la figura del trombato è sempre il giovane che, galvanizzato (giustamente in molti casi) dagli ottimi risultati raggiunti in seno al partito, prova ad alzare la testa d’innanzi al “grande vecchio” (stravecchio, vecchissimo, oltre-vecchio in molti dei casi che ci si parano di fronte) e chiedere di più, finendo inevitabilmente all’angolo in ombra. Casi come questi, spesso frequenti nelle elezioni comunali e in cui sono passati anche ottimi compagni, ci ricordano che gli apparati politici borghesi non accettano cambi della guardia, al massimo vedendo la nostra generazione come utili ascari per le battaglie che non vogliono combattere, o sarebbero ridicoli a condurre. Carne da zero e virgola.
Nella politica extraparlamentare, c’è un ambito variegato di applicazione del termine.
Abbiamo i solisti, quelli che hanno provato a fare qualcosa di proprio ma ne sono rimasti delusi, buttandosi da una realtà all’altra o dedicandosi ad attività circostanziali, che attirano quei quindici minuti di attenzione. I Leitmotive sono due: “a che serve l’organizzazione?”, risultando poi incapaci di dare soluzione di continuità; “l’organizzazione giusta non esiste ancora”, risultando poi abili saltatori di palo in frasca quando si uniscono a tutto benché meno quella che li rappresenta meglio. Hanno in comune il guardare i progetti in crescita e sviluppo con astio, gettando un malinconico sguardo al proprio passato politico e vedendolo edulcorato in numeri e sostanza, la cui realtà oggettiva viene puntualmente e a scapito loro confermata dalla loro condizione, prendendo spizzichi e bocconi altrui per diluire la brodaglia, il mucho texto, dei propri scritti.
Abbiamo poi i filosofi, quelli che si rifiutano di fare politica o cooperare con organizzazioni politiche per esperienza pregressa spiacevole (in senso soggettivo), che tuttavia sono assolutamente politici. Dipingono le proprie opinioni come pareri personali, sognando segretamente che un giorno la massa gli si presenti davanti casa e gli chieda di guidarli, guardando perciò con rancore chiunque si impegni politicamente. Insomma, il mondo cambia, loro non vivono la carne viva di un Paese in dismissione, ma, non si sa bene perché, a un certo punto si dovrebbe tutti andare da loro.
Una menzione onorevole sono gli intellettuali. Categoria che di solito nasce in seno ai partiti, non si sentono abbastanza valorizzati (leggere tra le righe, non avere la segreteria) e decidono di giocarsi strampalate carte per fare la quadra delle situazioni: sabotaggi, scissioni (atomiche), ed analoghi. La loro abilità di scrittura, la loro cultura, si dimostra inutile nelle piazze, all’abile penna non equivale certo oratoria eccelsa. Raramente si tirano dietro elementi validi, attirando altri trombati nella loro impresa che, se ci fosse pianificata pure la fuga in Svizzera, ricorderebbe solo una cosa per tasso di disfattismo generale.
Dulcis in fundo, una categoria di cui vi faccio anticipazione: le vedove.
Categoria in divenire, dicesi tutte quelle figure giovani che devono il proprio successo al “grande vecchio”, che fra malattie nascoste e età anagrafica avanzata non ha certo vita eterna. Pensione di reversibilità? Non esiste in politica, anche se andrebbe introdotta per pietà nei confronti di chi ha sacrificato gli anni di più alto ardore politico dietro a folli macchinazioni di gente che la sua occasione la ebbe, l’ha avuta e la riebbe a suo tempo. E magari ha prodotto poco. O nulla.