28 ottobre: il coup de théâtre di Mussolini visto da Laura Lodigiani

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Laura Lodigiani: “Grazie al movimento futurista la cultura italiana era all’avanguardia come lo era nel cinema. Re Vittorio Emanuele III? Da rivalutare…”

Cento anni da quella fatidica ultima settimana dell’ottobre del 1922. Giorni che avrebbero cambiato la storia d’Italia. La mia riflessione su quegli eventi storici e il rapporto con la nostra contemporaneità viene rimarcata dall’osservare singolari coincidenze. Coincidenze che nulla vogliono presagire né argomentare ma che certamente non si possono trascurare anche se, forse, solo per sfizio.

Il 30 ottobre 1922 il Re incarica Benito Mussolini, il più giovane Presidente del Consiglio dei ministri italiano. Il 25 ottobre 2022 il Capo dello Stato incarica Giorgia Meloni, la prima donna Presidente del Consiglio dei ministri italiano.

Due incarichi da primato con la stessa iniziale M e ambedue di destra e ambedue dopo due anni tribolati e di governi instabili. Ma altro non c’è! Se sappiamo quasi tutto della M targata 1922, della seconda targata 2022 nulla è dato, se non l’attesa.

Proviamo a smitizzare un mito, che ha servito in egual misura, prima e dopo, a destra e a manca, per raggiungere i propri scopi politici e ritorniamo alla realtà non senza un pizzico di teatralità. La marcia su Roma fu il capolavoro del giovane e ardito Benito Mussolini.

Mussolini giocò con sapienza le carte che aveva in mano con quella sicura e audace determinazione che solo i trentenni si possono permettere. Mussolini era un uomo attento ai tempi che mutavano, un uomo che sapeva coglierne i bagliori. Era stato interventista e aveva partecipato alla Grande Guerra. Una guerra vinta sul campo ma non al tavolo di Pace di Versailles. Una guerra vinta ma non senza pesantissime conseguenze economiche nel paese.

L’Italia era stanca di incertezze e di governi instabili e inetti, testimone Versailles. Incapaci di affrontare le nuove sfide del secolo incombente dove dal 15 al 18 tutto era stato travolto con la fine di vecchi imperi e l’affacciarsi di nuovi ceti sociali mentre l’economia galoppava verso il futuro.

Dall’inizio secolo la cultura italiana con il movimento futurista era già all’avanguardia come lo era nell’industria cinematografica, ben 21 case cinematografiche a Torino prima ancora che a Hollywood. E dove la cultura è avanguardia così anche altri settori lo sono di conseguenza: dall’industria pesante a quella manifatturiera.

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Dal giornalismo alla divisa con l’esperienza sul campo della guerra Mussolini si fa interprete del mondo ormai diverso che vuole guardare al futuro con nuove modalità ed occhi. Ed è con gli “arditi” delle unità d’assalto che sfida il futuro, dalle mostrine alle camicie, il nero è “il colore della morte che infutura la vita simbolo della nostra disperazione e della nostra ferocia”; romanticismo e futurismo teatralmente intrecciati e proprio la teatralità sembra essere il filo conduttore di quella fine ottobre di un secolo fa.

Un disegno da grande opera lirica o colossal quello che avrebbe portato, non alla violenta presa di potere sapientemente ventilata, ma all’incarico del Re di formare il nuovo governo al giovane deputato fascista. Arrivato in parlamento nel 1921 con 35 camerati in un’alleanza denominata Blocchi Nazionali (una sorta di cdx ante litteram) che comprendeva oltre ai Fasci da Combattimento, i Liberali Giolittiani e l’Associazione Nazionalista Italiana in totale 107 parlamentari.

Dopo 22 mesi in cui si sono succeduti ben 4 governi – Giolitti, Bonomi, Facta, Facta – i tempi erano ormai maturi per un incarico che superasse le incertezze politiche e le rivolte che dilaniavano il paese. Sul teatro politico Mussolini avviò la sua regia e organizzò le sue masse di comparse e cori. Le camicie nere sempre più numerose, soprattutto di reduci e contadini, in un Italia stanca di disordini e scioperi inconcludenti, vennero radunate in più punti della nazione soprattutto nel centro sud con i riferimenti certi di Napoli e Perugia. A Napoli il 24 ottobre in piazza del Plebiscito, da sempre punto convergente di rivolte e proteste, si radunarono 40mila camicie nere e forse arrivarono a 60mila.

Mussolini a Napoli si appellò alle sue masse e poi concluse la sua serata al Teatro San Carlo dove si rappresentava, sotto la direzione dello stesso Pietro Mascagni, “Il piccolo Marat”, una delle sue opere così dette “politiche”. Opera che aveva debuttato con grande successo al Costanzo di Roma l’anno prima quasi dimenticata dall’avvento della Repubblica, ritenuta troppo fascista, per fortuna non così all’estero, Pina Bausch famosa coreografa ne ha tratto un balletto.

Dopo la splendida serata all’Opera, Mussolini riparte in treno per Milano con una sola breve sosta a Roma per un rilevante breve incontro con il Gran Maestro della massoneria. Mentre Mussolini a Milano lavora al suo disegno, a Roma il governo Facta tenta di avviare lo Stato di Assedio, ma il Re al fine, dopo un primo assenso di massima, non lo firma.

Cosa ha spinto il Re a questa decisione?

Credo le ragioni siano molteplici, sia politiche che familiari.

Dopo un secolo, forse sarebbe bene ridare a Vittorio Emanuele III una statura diversa evitando di dedurla solo dalla sua fisicità. In 20 anni di regno ha rispettato democraticamente un parlamento perennemente instabile e indeciso su tutto fino alla guerra dove solo Lui alfine ha deciso per l’alleanza vincente e forse se a Versailles fosse andato lui le cose sarebbero state meno peggio se non migliori.

Ma con i se non si fa la storia.

Dunque, dopo il disastro e umiliazione di Versailles, in un Regno con focolai di rivolta ovunque, un Parlamento che non riusciva ad esprimere se non fugaci capi di governo; coi bagliori della rivoluzione russa e la tragica fine della famiglia Romanov e  la nascita l’anno prima  in Italia di un partito comunista e già presene nel nuovo in parlamento; un esercito non proprio così certo a detta dei suoi stessi generali, soprattutto dopo gli avvenimenti di Fiume con l’avventura dannunziana; la  considerazione che in famiglia sia la Regina Madre Margherita, sia il cugino Duca d’Aosta, Emanuele Filiberto simpatizzavano per i Fasci. Tutte considerazioni consone ad evitare lo stato d’assedio e il rischio di una rivoluzione cruenta e guerra civile. Nel mentre il 28 ottobre migliaia di camice nere arrivavano a Roma. Così il Re non firmò e Facta si dimise.

Mussolini a Milano trattava con i partiti dell’area governativa per costituire un governo di coalizione. Non a caso il giorno della marcia su Roma il futuro Duce era a Milano per definire gli ultimi accordi. E la sera, in attesa degli eventi sperati, andò al Teatro Manzoni a vedere una commedia di Ferenc Molnàr, autore del romanzo “I ragazzi della via Pal”. L’atteso telegramma del Re con la convocazione a Roma arrivò puntuale per formare il nuovo governo e la lista dei ministri già pronta e concordata con tutte le forze politiche per un governo di larghe intese. Le intese non comprendevano i socialisti e comunisti.

Personalità indiscusse della nostra cultura plaudirono il nuovo governo Mussolini, da Luigi Pirandello, Giuseppe Ungaretti, Filippo Tommaso Marinetti a Guglielmo Marconi e molti del mondo accademico.

Calò il sipario sull’ultima settimana dell’ottobre 1922 e calò con una sorta di “marcia trionfale” di verdiana memoria con una sfilata di camicie nere alla presenza del Re!

All is well that ends well!

Con gli occhi smaliziati che il teatro ci permette possiamo riguardare la nostra storia senza pregiudizi né ideologie e coglierne i valori autentici dell’esperienza, affrontando il futuro più saldi agguerriti e consentitemi “arditi”.

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