1921/2021, Tito Barbini (ex sindaco di Cortona): “La militanza nel PCI era generosità. Renzi…”

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Intervista all’ex sindaco di Cortona ed ex assessore regionale Tito Barbini.

Tito Barbini è sindaco di Cortona dal 1970 al 1980. Quindi presidente della provincia di Arezzo. Con quasi 6000 preferenze nel 1990 approda in Consiglio Regionale, ricoprendo gli incarichi di assessore alla sicurezza sociale e quindi, nella legislatura successiva, all’urbanistica. Nel 2004 interrompe la sua carriera politica salvo poi aderire a Liberi e Uguali nel 2018 in aperto contrasto con Matteo Renzi. Oggi, per arricchire ulteriormente lo special sul PCI de Il Tazebao, Tito Barbini ci ha rilasciato la seguente intervista.

“Qualcuno era comunista perché credeva di essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri”, cantava Gaber. Lei perché era comunista?

“Lo diventai durante la mia adolescenza, fu naturale come bere un bicchiere d’acqua, grazie a quel senso di giustizia e di libertà che avevo preso dai miei genitori. Il senso del dovere, poi, con quelle radici profonde e potenti. Erano cose pensate per farmi crescere. Pochi concetti ma che dovevano essere ben chiari. E poi valori, che avrei dovuto tenere sempre presente. La dignità che ho incontrato nella mia Cortona, fin da ragazzo e poi da sindaco, alle Feste della Liberazione e del Primo Maggio quando c’era la distribuzione militante dell’Unità, ai cortei del sindacato o sulle panche di legno delle feste dell’Unità dove non si finiva mai di aspettare la salsiccia e il bicchiere di vino rosso, ma l’attesa non pesava perché si conversava anche con chi non avevi mai visto prima. Ecco, mi viene in mente la generosità della militanza quando la politica era una cosa bella, il senso di comunità. Dopo è arrivato il ’68 e l’impegno nella politica con il movimento studentesco. Sapevi che negli anni sessanta soltanto il 3 per cento dei figli degli operai e dei contadini arrivavano all’università?”

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Ennesima domanda dal tono nostalgico. La mitologia della Prima Repubblica, ancora oggi, invade i salotti televisivi e il dibattito giornalistico: pare che i selfie di Renzi e Salvini facciano rimpiangere persino Andreotti. Lei che ne era parte integrante, sente la mancanza dei valori e le idee che animano l’arena politica fino a trent’anni fa? Davvero si stava meglio quando si stava peggio?

“Sì, era un’altra stagione della politica e delle istituzioni. Ora bisogna guardare avanti. Speriamo invece di uscire con l’idea di poter costruire un Paese capace di rispondere in futuro, in maniera moderna ed efficace, alle grandi emergenze del nostro tempo. Rafforziamo il nostro straordinario sistema sanitario pubblico e finanziamo finalmente, in modo serio, la ricerca. Ci troviamo di fronte a sviluppi della scienza, della conoscenza che oggi ci consentono di fronteggiare meglio eventi che fino a ieri sembravano non dominabili. E allora, che facciamo? Che risposta dà il mondo politico? E anzi: che cos’è la politica, dopo il coronavirus? Tornerà ad essere tornaconto elettorale, solo arte di arrangiarsi, conservazione di posizioni di potere, oppure può essere un’altra cosa? Per esempio, una grande stagione di innovazione della politica e delle istituzioni”.

Lei nel 2016 ha pubblicato uno dei suoi libri di maggior successo “Quell’idea che ci era sembrata così bella. Da Berlinguer a Renzi, il lungo viaggio” (2016, ASKA Editore). Cinquant’anni di vita politica e istituzionale nel filo di un racconto sul fallimento storico del comunismo. Ecco, mettendo il dito sulla piaga, cosa è andato storto in questo viaggio?

“Rispondo alla domanda con una sola riflessione. Ha ragione Umberto Eco. Anch’io penso che la voglia di rivoluzione non si esaurisce mai. Ho bisogno, ancora oggi, di una grande idea, di un progetto di vita, di una fine non banale, della voglia e della capacità di indignarmi.  Della passione per il cambiamento, infine. Allora, tutto questo ha a che vedere con quella “religiosità laica” di cui parla Eco, riconoscendo un senso del sacro, una propensione alla comunione, o comunque alla sua attesa, che riesce a convivere anche, come nel mio caso, in assenza di religione. Quell’entusiasmo di ragazzino, quando tutto era possibile, è svanito alla luce della storia e dei troppi tradimenti. Per fortuna, però, c’era dell’altro. C’è la nostra storia di comunisti italiani. C’è stato e c’è il tuo rapporto con le persone in carne e ossa. Con gli operai, gli studenti, i contadini. Una ricchezza immensa, che solo la politica in un grande Partito di massa ti poteva donare. Ecco perché è davvero triste la morte di un’idea di cambiamento e di futuro che è stata la mia idea di politica”.

Il comunismo, come il nazismo, si è macchiato di atroci genocidi, dunque si dovrebbe evitare ogni forma di proselitismo: il dispiegarsi delle commemorazioni ed iniziative per il Centenario dalla nascita del PCI ha dato adito a questa perenne ed irrisolta questione. Faziosa polemica o par condicio, a suo avviso?

“No, è sbagliato, storicamente ed eticamente, paragonare il nazismo con il genocidio della Shoah con i crimini del comunismo. Non dei comunisti italiani, tengo a precisare. Certo i comunisti hanno preso atto con troppo ritardo dell’orrore di Stalin o di Pol Pot. Ecco perché preferisco una giornata dei ricordi alla giornata del ricordo. La tragedia delle Foibe e l’Esodo, devono portarci a collocare quegli eventi nella cornice storica del loro accadere, a compimento di una guerra sciagurata, delle violenze dei fascisti italiani e quelle naziste sulla popolazione slovena, riconoscere i crimini che scortarono l’epilogo e i postumi di quel conflitto, le foibe tra quelli, è una forma di rispetto per tutte le vittime. Ho davanti a me un bel libro di Barbara Spinelli sui totalitarismi d’Europa, che racchiude una frase che trovo stupenda: “Siamo nani che camminano sulle spalle di giganti”. I giganti sono le nostre storie, i successivi e contraddittori volti che abbiamo avuto in passato e che ci portiamo dietro come bagagli. Dalle loro alte spalle possiamo vedere un certo numero di cose in più, e un po’ più lontano. Pur avendo la vista assai debole possiamo, con il loro aiuto, andare al di là della memoria e dell’oblio”.

Nell’analizzare la distribuzione dei consensi, molti opinionisti hanno definito il PD come un partito ZTL, visto che i propri voti sono soventemente concentrati nella fasce medio alte della cittadinanza che vive nei centri urbani. È questa la cifra (o il memento mori?) di una sinistra che, perdendo la fiducia dei ceti che storicamente rappresentava, ha smesso di fare la sinistra. Per Lei, con questa sua nuova veste di “polo dei poteri forte”, il Partito Democratico ha tradito i suoi padri?

“No, non solo, il Partito Democratico ha tradito i valori presenti alla sua fondazione. Insomma siamo in presenza di una assuefazione dei fenomeni degenerativi di questi anni che ci coinvolge tutti. Non mi dilungo a indicare tutti i segnali d’allarme che mi vengono dalla memoria e dalla quotidianità. Sono tanti, piccoli e grandi. Metto solo a verbale una cosa: che il clima e la gestione di Renzi, la sua influenza nel PD, hanno ormai generato un personale politico inquietante e con scarsi valori che si richiamano alla sinistra. Ormai non mi preoccupo per me, ma i miei figli e nipoti in quale paese vivranno? Ecco perché il fragile organismo della democrazia italiana ha bisogno di una grande opposizione democratica e se non reagisce vuol dire che ha perso gli anticorpi e può morirne nel sonno”.

In tal senso l’aretino rappresenta un “case study” degno di nota. Nell’ultimo lustro tutte le storiche roccaforti rosse sono state espugnate dal centrodestra: nel 2015 il centrosinistra viene sconfitto alle elezioni amministrative di Arezzo; e, negli anni successivi, le “capitali” delle quattro valli che compongono la provincia (Montevarchi, Sansepolcro, Bibbiena, Cortona) cambiano colore. Qual è la sua diagnosi?

“Renzi ci ha regalato queste sconfitte. Una dopo l’altra. Non mi fate parlare di Cortona. Il mio legame politico e sentimentale con Cortona è così grande che non riesco ad essere lucido e distaccato nell’analisi della sconfitta. Ora sono soltanto triste. I valori che hanno innervato per decenni l’azione di tanti amministratori sono franati definitivamente e le macerie hanno nascosto un patrimonio inestimabile. Forse riusciremo a riprendersi in questa nostra città, sicuramente i giovani riusciranno, con una opposizione intelligente, a guardare al futuro. Un’ultima cosa vorrei dire, riguarda Cortona e tutte le città dove il centro sinistra ha perso. Vi sembra normale che dopo avere portato il PD alla più grave sconfitta della sua storia, Renzi faccia una scissione e crei Italia Viva?”

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