Il Tazebao – Lontano dai riflettori della “stampa che conta”, continuano indiscriminati i bombardamenti statunitensi sullo Yemen e quelli israeliani sulla Siria. Particolarmente scalpore ha destato la vanteria di Trump di aver colpito un «raduno di terroristi di Ansarallah che preparavano un attacco contro le navi americane nel Mar Rosso», quando si è poi saputo che la foto da egli stesso pubblicata sul suo profilo X ritraeva in realtà dei civili in cerchio intenti a celebrare l’Eid al-Fitr, la fine del Ramadan (tutti morti). Solo nelle ultime 24 ore, comunque, l’aeronautica degli Stati Uniti ha lanciato almeno 27 attacchi sul territorio yemenita controllato da Ansarallah, concentrandosi principalmente sul porto di Hodeida, la capitale Sana’a e l’importante città di Sa’ada, senza risparmiare neppure altre località come al-Jawf, Imran, Dhamar, Marib e al-Bayda. Non sono però mancati neppure bombardamenti da parte dell’artiglieria saudita, che il 15 ha colpito la zona di Qatabar, al confine proprio con l’Arabia Saudita e controllata dalla coalizione filo-Riad, ferendo quattro civili. La questione siriana vede invece intrecciarsi molti più aspetti, solo all’apparenza contraddittori: se le manifestazioni anti-israeliane non si limitano più solo all’area di Quneitra ma arrivano fino a Damasco, così come gli attacchi dell’aviazione israeliana che il 22 marzo hanno ripreso a distruggere infrastrutture strategiche stavolta nel centro della Siria (soprattutto nei pressi di Palmira, dove sono stati danneggiati due aeroporti e distrutti sistemi di difesa antiaerea, depositi e la torre di controllo dell’aeroporto cittadino, col ferimento di quattro soldati dell’esercito), Al-Sharaa deve fronteggiare altre problematiche: resti dell’ex Esercito Arabo Siriano che hanno attaccato, pare, un checkpoint a nord di Homs, forze della resistenza locale a Tartus che ne hanno preso di mira un altro nell’area di Draykish, un’ondata di bombardamenti israeliani a Homs, Daraa e Rif Dimashq, che hanno comportato anche vittime civili e le proteste dei drusi a Majdal Shams. Parallelamente a ciò, però, la nuova Siria cerca di ritagliarsi uno spazio diplomatico: all’interno gli accordi con le forze curde per la reintegrazione dei territori da essi controllati sotto l’egida di Damasco; ad Aleppo, si stanno rimuovendo le barriere dai quartieri di Sheikh Maqsoud e Ashrafiya, mentre le Forze Democratiche Siriane hanno iniziato il ritiro dall’area della diga di Tishrin, sempre a nord, nel contesto della creazione di una zona cuscinetto con l’area controllata dell’Esercito Nazionale Siriano. All’esterno, ed è la notizia che ha avuto più risalto internazionalmente, l’instaurazione di rapporti diplomatici con la Corea del Sud il 10 aprile: Damasco era l’ultima che mancava tra i membri dell’ONU, dopo la restaurazione delle relazioni con Cuba l’anno scorso, precedentemente rotte nel 1960 all’indomani della rivoluzione socialista guidata da Fidel Castro. La Siria li aveva invece recisi nel 1966 quando riconobbe la Corea del Nord come unica legittima rappresentante della penisola coreana. Pyongyang rimane quindi l’unica nelle Nazioni Unite a non riconoscere Seoul. (JC)

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