Una prospettiva sul conflitto non banale e meritevole in quanto figlia dell’esperienza sul campo.
Alcuni passaggi salienti dell’intervento di Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa e autore de “L’ultima guerra contro l’Europa”, alla presentazione promossa dall’Associazione Francesco Bosi presso la Libreria Campus di Firenze.
Gianandrea Gaiani: Ringrazio la Libreria Campus che ci ospita, il Consiglio Regionale della Toscana e, con particolare affetto, l’Associazione Francesco Bosi. Francesco Bosi apparteneva a una cultura politica di cui oggi si sente tanto la mancanza. Aveva una umanità e una competenza politica che ho testato sul campo in missione. C’è una stanchezza generale rispetto alla guerra. Noi occidentali siamo fatti così. Succede oggi con l’Ucraina, è successo prima con l’Afghanistan. Ci siamo andati anche noi lasciandoci 33 caduti. A un certo punto, non siamo più in grado di sostenere il costo, non solo economico, che un conflitto comporta. Ricordo – per citare un’altra guerra – che gli ufficiali iracheni ci dissero di non essere pronti, dopo la distruzione dell’esercito di Saddam, a fare senza di noi; pochi anni dopo l’Isis prese il controllo del Nord Iraq. Dopo aver visto tanti scenari di guerra sono aduso a non distinguere mai tra buoni e cattivi: ci sono gli interessi nazionali. Gli americani, per esempio, sanno benissimo quali sono i loro interessi e li perseguono. I curdi sono stati abbandonati almeno tre volte dopo essere stati invitati a insorgere. Insomma, c’è un fattore politico. Non siamo più capaci di pagare il prezzo che le guerre comportano. Sono state 3600 circa le perdite in Afghanistan, che era per altro una guerra a bassa intensità, dove si sparavano circa 30 colpi di cannone al giorno, gli ucraini ne sparano circa 6 mila, i russi perfino il doppio. Tra Covid e guerra abbiamo perso un po’ la dimensione del tempo ma sono passati appena due anni dal ritiro dall’Afghanistan. Oggi nessun esercito europeo potrebbe sostenere una guerra ad alta intensità e convenzionale come quella in Ucraina. Per questo facciamo combattere gli altri, oggi gli ucraini, fino all’ultimo ucraino. In effetti, nessuno prenderebbe un voto parlando di prolungare la guerra. Già qualche scricchiolio nel “fronte occidentale” si è visto. Il grano ucraino, che avrebbe dovuto arrivare ai paesi più poveri, solo per il 3% è andato in Africa, è andato per la stragrande maggioranza in Cina o in Europa, rovinando certi mercati interni. Da qui la presa di posizione e lo smarcamento della Polonia. L’Ungheria, invece, ha un problema serio per le discriminazioni della minoranza ungherese in Transcarpazia, mentre la Polonia ha sempre guardato con interesse ai territori dell’est dell’attuale Ucraina. Slovacchia e Repubblica Ceca hanno pagato un prezzo altissimo per la disconnessione dal gas russo da cui dipendevano molto più di noi. Nel mentre, compriamo non più il gas naturale via gasdotto ma il gnl dalla Russia, che paghiamo sempre di più. Non solo, l’Europa ha ridotto i consumi di gas fino al 20%. Non è necessariamente una buona notizia: vuol dire che siamo in piena deindustrializzazione. Abbiamo il record di fallimenti. Per questo, c’è una crescente tendenza allo smarcamento. In tutto questo, noi perdiamo sicuramente, perdono gli ucraini perché il loro paese è devastato, perde anche la Russia perché sta pagando il prezzo economico per il distacco dal mondo occidentale, oltre alle perdite materiali. In molti pensavamo che la Russia non avrebbe mai dichiarato guerra. La valutazione dei russi è stata differente: una guerra oggi per evitarne una più grande domani con la NATO. L’Europa era la prima potenza economica, si avvia alla recessione e ha rinunciato a un ruolo geopolitico autonomo. Non se ne parla ma oltre alla fuga dal dollaro c’è quella dall’euro. Questo dovrebbe preoccuparci e molto.
Lorenzo Somigli: Abbiamo capito da queste prime battute che sei un ospite di rilievo. Rendo anch’io un doveroso omaggio a Francesco Bosi, l’ho conosciuto negli ultimi anni, aveva chiaro il valore della mediazione politica, vedeva un suo problema nel problema dell’altro. E questa è la politica. Il libro è importante perché è importante rileggere questi mesi di guerra, in cronistoria, perché altrimenti rischiamo di dimenticare, tra social e quotidianità confusa. Con questo libro dimostra che le potenze globali, come la Cina, con il suo sistema di capitalismo politico, e gli Stati Uniti hanno dei piani molto chiari per il prossimo futuro. L’Europa è destinata a essere solo una propaggine economica della NATO?
GG: Questa guerra è nata con l’obiettivo di sconfiggere la potenza emergente, con tutte le sue interne contraddizioni, ovverosia l’Europa. Del resto, se non abbiamo una linea chiara, e la nostra risentiva degli appetiti francesi e tedeschi, qualcun altro la fa per noi. Per questo, l’Europa non è stata capace di produrre alcuna iniziativa per la pace. È cominciata con la rivoluzione o il colpo di stato del Maidan, un’operazione che ha avuto l’avallo degli Stati Uniti – gli Stati Uniti perseguono i propri interessi con molta trasparenza. Al tempo, Victoria Nuland disse che “non ci sono problemi in Ucraina” perché avevano un controllo su oltre dieci ministri del governo. La Russia lamenta il problema dell’espansione della NATO dal 2007: un’argomentazione che prima aveva spazio su tutti i media e in tutti i partiti, dal Centrodestra a Grillo, e che oggi è sparita. La vera colpa è non aver fatto nulla per prevenire questa crisi. Gli accordi di Minsk sono serviti per prendere tempo, lo hanno ammesso anche candidamente alcuni leader dell’Alleanza. Perché non abbiamo fatto niente per l’applicazione degli accordi? Che interesse abbiamo a una guerra ai nostri confini? Storicamente, gli anglosassoni sbarcano quando c’è una grande potenza europea che tenta di saldarsi con la Russia. È legittimo per gli Stati Uniti, è meno legittimo per noi. Come Italia, avevamo un ruolo di mediazione con la Russia, lo abbiamo completamente abbandonato, lasciandolo ad altri, dai presidenti africani. In cambio che cosa abbiamo avuto? Niente.
LS: La base della geopolitica è da rintracciare negli studi di Mackinder, Spykman, Homer Lea o ancora dell’ammiraglio Mahan. C’è chi sostiene che lo scontro avvenga sempre e comunque all’interno di una cornice di capitalismo. Come hai detto, in effetti, è molto difficile disconnettere la Russia dal sistema degli scambi globali. Oggi ha ancora un senso lo schema che contrappone potenze continentali e quelle marine?
GG: In questo momento sono saltati tutti gli schemi. L’obiettivo iniziale è fare pressione sulla Russia. Tuttavia, la guerra non è il solo strumento per farlo. Ci sono le basi missilistiche – missili anti-missile – in Polonia e in Romania che avrebbero l’obiettivo, ufficialmente, di intercettare missili provenienti dall’Iran. Sono missili polivalenti come quelli da crociera che possono raggiungere perfino il territorio russo, perfino con testate nucleari. È una situazione analoga alla crisi dei missili a Cuba. Gli Stati Uniti piazzarono i missili in Puglia e in Turchia, i russi risposero: questo nei film di Hollywood non si vede. Tornando alla guerra, il primo errore è stato fatto dai russi, che avevano in mente di fare una sorta di parata. Il secondo errore è stato dell’Europa che ha accettato un conflitto alle porte. Ugualmente, l’impatto c’è anche sulla Cina, che non ha ancora combattuto una guerra convenzionale e che paga le conseguenze di questa. Come diceva Napoleone, nessun piano resiste alla prima ora di battaglia: è vero oggi come allora. C’è il rischio di un indebolimento di quelle leadership che pensavano di arricchirsi con questa guerra, ovvero Cina e Stati Uniti in primis; quindi, non solo chi è nel mezzo come noi. Spesso mi è stato chiesto della salute di Putin. Mi sembra ragionevolmente in forma, considerando che ha 70 anni. Mi preoccupa più la salute del Presidente degli Stati Uniti. Anche perché, al momento, è lui il candidato ufficiale e potrebbe governare altri quattro anni. Se Biden, come sembra, non è così lucido, qualcosa non va e non solo negli Stati Uniti. È un grande problema per l’Occidente. È un tema che dobbiamo porci adesso. Del resto, dal Covid in poi, vedo che le nostre garanzie democratiche sono sempre più in difficoltà.