Il Tazebao – Gli effetti della disintegrazione dell’URSS e della Jugoslavia continuano a farsi sentire ancora oggi, un trentennio dopo, come del resto quelli della dismissione dello stato sociale della nostra Prima Repubblica, che ha paradossalmente vissuto una parabola analoga a quella dell’est pur trovandosi “dall’altra parte”. Come Paese storicamente alleato della Russia e del suo popolo, la Serbia è attualmente nell’occhio del ciclone dei tentativi di sovversione da parte dell’Occidente. Nonostante il tanto decantato scioglimento dell’USAID ad opera di Trump, le ONG da essa finanziate continuano a esistere e prosperare, perlomeno dalle parti di Belgrado. Il governo di Aleksandar Vučić deve affrontare pressioni sia esterne, dovute alla questione del Kosovo in cui la classe dirigente albanese continua a reprimere ed emarginare la comunità serba anche dal punto di vista giuridico-legale, sia interne: le sanzioni alla NIS, l’azienda statale di gas le cui quote di maggioranza appartengono alla Gazprom, stanno ostacolando il progresso economico del Paese e la rabbia sociale generata dal crollo della tettoia della stazione di Novi Sad a novembre, che ha portato alla morte di 15 persone, è stata presa a pretesto per un rinnovato e prolungato caos, che si estende ben oltre le originali richieste, già soddisfatte, dei manifestanti. La piattaforma di lotta si è ampiamente politicizzata, includendo addirittura rivendicazioni di secessione della Vojvodina, di cui Novi Sad è capoluogo. Sempre più aggressive le richieste di dimissioni del presidente, raffigurato anche impiccato a un albero, laddove si è segnalato anche la perdita improvvisa di uno pneumatico dell’auto presidenziale mentre era in viaggio proprio verso la Vojvodina, nel villaggio di Mokrin, un paio di settimane fa. Dopo Georgia e Slovacchia, e con la perdita dell’Armenia, proseguono i tentativi di contenimento indiretto e accerchiamento della Russia. (JC)
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