Se decenni di “dissenso” valgono lo 0,25%: Quo vadis Italia?

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Un primo resoconto, a margine della presentazione del Manifesto per l’Italia socialista e grande, da parte di uno dei relatori

Il Tazebao – A fronte dei risultati elettorali delle regionali in Umbria ed Emilia-Romagna, dove il “dissenso” è stato numericamente battuto anche da schede nulle e schede bianche, le riflessioni assieme a Lorenzo Somigli e Jean-Claude Martini emerse ed esposte venerdì a quelle Termopili culturali che rappresenta L’Ora Blu a Firenze sono più attuali e concrete che mai. Come Martini ha fatto notare nell’introduzione, il Manifesto lanciato per i quattro anni de Il Tazebao ha fatto breccia, raccogliendo simpatie ed osservazioni aggiuntive (e ben una critica), su ambienti politici ulteriori rispetto alla galassia “rossobruna” su cui già il Socialismo Italico trovava substrato. Il far ripartire una proposta politica seria senza piagnistei elettoralisti è sicuramente l’essenziale per avere qualcosa in più rispetto a quello che c’è già, che si dimostra inadeguato a rappresentare il popolo italiano e la sua più alta espressione: la classe lavoratrice. Somigli ha proseguito estendendo l’argomento sottolineando la ricchezza e vivacità del progetto, che conta di case editrici, canali di informazione, militanti e associazioni di vario genere, creando dal confronto e dall’azione comune una sintesi efficace agli attuali problemi. Dopo una mia breve esposizione sugli scopi dell’Artverkaro Edizioni che, come ho avuto modo di sottolineare, al contrario delle case editrici legate ad organizzazioni politiche, non vuole scadere nella mera riproposizione del classico ideologico, ma aggiungere nuovi spunti e nuovi autori al panorama editoriale socialista, aiutando anche l’aggiornamento delle nozioni ad oggi sempre più essenziali. La necessità di ripartire, come indicato nel manifesto, da un movimento di massa (da costruire, o meglio dire in costruzione), legato alla struttura e alla sovrastruttura del popolo italiano.

Martini, come ben sottolineato da Somigli uno dei più fini analisti in merito alla Corea popolare, potendo dire al contrario di altri di esserci stato, ha parlato delle similitudini nella storia fra Italia e Corea, ambedue penisole, ambedue scadute in certi periodi nel feticismo per l’estero. I coreani del nord stanno riscoprendo in questa fase una propria concezione eurasiatica legata anche alla collaborazione strategica con la Russia, avendo al tempo stesso un forte amore per l’Italia e ciò che rappresenta l’italianità nel mondo. Somigli, legandosi al discorso, ha sottolineato la centralità del Mediterraneo a livello mondiale, su cui a sua volta si proietta la dimensione centrale dell’Italia in esso: venti trimestri consecutivi di calo industriale sono il segnale, in dissonanza con quello che abbiamo da offrire, che ci sia la necessità di qualcosa di nuovo. Al contrario di lasciare che il nuovo sia un termine estemporaneo o una copia della copia, abbiamo perciò elaborato un manifesto, anche “sparagnino” se vogliamo, per iniziare a posare già una prima pietra. Senza muri di testo.

Ho sottolineato a tal proposito che di fatto ciò almeno non ci rende ipocriti: il manifesto incarna nel linguaggio e nei modi l’ambiziosità che ne è racchiusa, al contrario di tanti che nella finta umiltà di facciata predicano male e razzolano peggio.

Il mettere al centro la dimensione mediterranea dell’Italia, come ho avuto modo di dire all’incontro, è secondo me una delle parti decisive del manifesto e della nostra concezione politica: le varie formazioni socialiste presenti, o meglio dire presenti-assenti, ad oggi hanno una fortissima crisi di identità. Ci si vuole appellare ad una classe lavoratrice italiana, ma si fa fatica a definire sia la classe lavoratrice che la nazionalità di riferimento, in una logica sfumata. Ritrovare la propria identità mediterranea non significa necessariamente calarsi gli anfibi e marciare su casa altrui, come l’ha intesa e la intenderebbe qualcuno, quanto fare propri quei valori che ci hanno sempre distinto dal resto degli europei: il sud Europa ha sempre avuto un’attitudine diplomatica diversa, sia in guerra che in pace, in contrapposizione a quella visione di “pigri, indolenti e stupidi” che ci siamo trovati storicamente affibbiati e che i burocrati di Bruxelles hanno fatto propria. Somigli ha giustamente sottolineato che l’Italia è la seconda manifattura d’Europa, ho rincarato ricordando di quando in periodo Covid le aziende tedesche chiudevano per mancanza di componenti italiani. Questa concezione di collaborazione che hanno i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ingiustamente accantonata, avrebbe potuto prevenire diverse questioni nazionali ed internazionali di cui oggi siamo vittima, come la pressione sociale derivata dall’immigrazione. Recuperare cosa significa essere mediterranei, per recuperare la nostra identità nazionale, senza scadere negli sciovinismi e nei cosmopolitismi.

Somigli ha proseguito in merito agli errori geopolitici dell’Italia, preferendo ignorare gli sviluppi in Europa dell’est e la decapitazione delle dirigenze del socialismo arabo, a cui oggi ci troviamo a mettere una pezza. Fra i firmatari, i tre esteri dichiarati e quelli in attesa che spiccano rappresentano la speranza che la nuova gioventù italiana possa recuperare quei valori che ci hanno sempre contraddistinto. Il socialismo ha rappresentato l’elevazione dei valori materiali e spirituali di milioni di italiani, che dal siluramento di Craxi ha visto una crisi generale ancora più estesa.

La crescita collettiva che stiamo avendo, come progetto, è il segnale che una strada è sicuramente possibile. Nulla di ciò che si trova nel programma del SOCIT o nel Manifesto, come ho ribadito, è irrealizzabile: deriva da un’attenta lettura della realtà, non promette nulla se non la responsabilità politica di fare proprie quelle idee.

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