I passaggi salienti dell’intervento di Petre Roman alla conferenza internazionale alla SWISS UMEF University di Ginevra.
“Pensai: sono nato una seconda volta”. È il ricordo che Petre Roman, già Primo Ministro della Romania, condivide con la platea globale della SWISS UMEF University di Ginevra, riferendosi a uno dei momenti più concitati della sua vita, i fatti del dicembre 1989 a Bucarest, quando scelse di “stare sulla barricata”, riuscendo a salvarsi. La repressione di Ceaușescu, che sente scappargli via di mano il paese, si fa feroce ma non riesce a frenare il cambiamento: “Quello fu il punto di svolta della mia vita. Al tempo ero professore di scienza idraulica. Il consiglio rivoluzionario decise di affidarmi l’incarico. Comincia la mia vita politica”.
Alternandosi tra inglese e francese, Roman parla per diverse ore stimolando le domande dei presenti e fondendo il metodo e un rigore tutto scientifico con la necessità di mediazione e concretezza che ha imparato nella sua carriera politica al vertice. Roman riferisce che il suo dissenso matura con la “legge per la sicurezza pubblica che, secondo il volere del regime, doveva essere presentata in tutti i luoghi pubblici, incluse le università. E così fu anche da noi”. “Quando l’ufficiale della Securitate ebbe finito di spiegare, intervenni e chiesi dove stessimo andando, se verso Stalin e verso il passato”. In effetti, la Romania era l’unico paese dove non era stato avviato nemmeno un minimo programma di riforma. “Non mi supportò nessuno allora, tutti rimasero in silenzio, a capo chino, ci fu una persona che mi disse che avevo salvato la coscienza di tutti”.
Passa poi a raccontare le sue prime mosse a capo del governo, quando eredita una situazione disastrosa, e dei suoi incontri con Mitterrand e González. Con quest’ultimo, tratta il problema degli orfani, spesso con disabilità, sulle orme di quanto fatto dalla madre durante la guerra civile in Spagna – il padre Valter era volontario – con i “niños de la guerra”.
Si sofferma su di uno dei passaggi più difficili della sua esperienza di governo ovvero il conflitto in Transilvania dove c’è una comunità ungherese vittima di un processo di assimilazione forzata durante il comunismo: “Abbiamo evitato il peggio – spiega – solo inviando l’esercito a tenere separate le fazioni”. Sulla Moldavia, altra questione spinosa, sostiene che “non ci sono le condizioni per la riunificazione” anche se “oltre 1 milione di moldavi ha già il passaporto rumeno”.
Venendo all’attualità della guerra in Ucraina, non ha dubbi: “C’è un aggressore e un aggredito”. “La ricostruzione – aggiunge – è sempre un’opportunità, può esserlo per l’Ucraina come lo è stato per la Germania dopo la Seconda guerra mondiale”.
Roman definisce poi “un capolavoro della diplomazia cinese” l’accordo mediato tra Iran e Arabia Saudita. Sulla Cina, Roman fa anche una ricostruzione sui rapporti con la Romania che affondano nelle scelte fatte a fine anni ’60. “La Romania – ricorda l’ex Primo Ministro – riuscì a ottenere il ritiro dei russi avvicinandosi alla Cina”.
Per quanto riguarda l’allargamento della NATO, Roman riferisce di aver considerato la Russia “sempre un pericolo”, mostrando di aver sposato la linea di difesa preventiva del Presidente Clinton, illustrata nel testo di un anno fa per The Atlantic ovverosia “essere preparati per il peggio”. Su domanda dei presenti, si sofferma anche sulla questione palestinese, ha aggiunto: “Il piano Olmert era un’ottima opportunità oggi sfumata”.
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English version
“I thought: I was born a second time”. It is the memory that Petre Roman, former Prime Minister of Romania, shares with the global audience of the SWISS UMEF University in Geneva, referring to one of the most critical moments of his life, the events of December 1989 in Bucharest, when he chose to “stay on the barricade”, surviving. The repression of Ceaușescu, who feels the country slipping out of his hands, becomes ferocious but is unable to stop the change: “That was the turning point of my life. At the time, I was a professor of hydraulic science, and later the revolutionary council decided to entrust me the assignment. So, my political life begins”.
Alternating between English and French, Roman spoke for several hours, stimulating questions from those present and fusing the method and scientific rigour with the need for mediation and concreteness that he learned in his political career at the top. Roman reports that his dissent stems from the “public safety law which, according to the regime, had to be presented in all public places, including universities. And so it was with us too”. “When the Securitate officer had finished explaining it, I intervened and asked where we were going, whether towards Stalin or the past.” Indeed, Romania was the only country where the regime had not embarked on any reform program. “No one supported me then, and everyone was silent, heads bowed. Only one person told me that I had saved everyone’s conscience.”
Next, he recounts his first moves as head of government – he inherited a disastrous economic situation – and his meetings with Mitterrand and González. With the latter, he deals with the problem of Romanian orphans, often with disabilities, in the footsteps of what his mother did during the civil war in Spain – his father Valter was a volunteer – with the “niños de la Guerra”.
He dwells on one of the most complex passages of his government experience or the conflict in Transylvania, where there is a Hungarian community victim of a process of forced assimilation during the communist regime: “We avoided the worst – Roman explains – sending the army to keep the factions apart”. On Moldova, another thorny issue, he claims that “there are no conditions for reunification” even though “over 1 million Moldovans already have a Romanian passport”.
Coming to the news of the war in Ukraine, he has no doubts: “There is an aggressor, and one attacked”. “Reconstruction – he adds – is always an opportunity: it can be for Ukraine as it was for Germany after the Second World War”.
Roman then defines the agreement between Iran and Saudi Arabia as “a masterpiece of Chinese diplomacy”. About China, Roman also reconstructs relations with Romania that stem from the choices made at the end of the 1960s. “Romania – recalls the former Prime Minister – managed to get the Russians to withdraw by getting closer to China”.
As far as NATO enlargement is concerned, Roman reports that he has considered Russia “always a danger”, showing that he has embraced President Clinton’s line of preventive defence, illustrated in the text of a year ago for The Atlantic, i.e. “be prepared for the worst”. Asked by those present, he also dwelt on the Palestinian question, adding: “The Olmert plan was an excellent opportunity that has now vanished”.