Multipolarità in divenire. L’Occhio del Falco: “È nato l’Ankara Consensus”

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L’Ankara Consensus è un segno che nel mondo multipolare in formazione, la stabilità non sarà più garantita dalle superpotenze, ma da potenze medie che scelgono di compromettersi.

Il Tazebao – Nel Corno d’Africa, le mani di Ankara si poggiano sulla costa dimenticata della Somalia, la Turchia ha piantato un’altra bandiera. Cinquecento militari in uniforme mimetica si sono aggiunti ai già consistenti dispiegamenti presenti in Somalia. I cieli sopra Mogadiscio ora sono solcati dagli Akinci, droni armati di fabbricazione turca, che pattugliano il territorio con occhi elettronici, formalmente per dare man forte alla lotta contro al-Shabab, il nemico fantasma che da anni consuma il paese dall’interno. Ma oltre la cooperazione per la sicurezza, è la proiezione strategica di un potere medio che si muove come una superpotenza post-imperiale in cerca di margini nella scomposizione dell’ordine globale.

Il cuore pulsante di questa espansione è un accordo firmato il 7 marzo 2024: un patto energetico che lega Ankara e Mogadiscio nella prospezione congiunta dei fondali marini, alla ricerca di petrolio e gas. È un trattato asimmetrico, almeno in apparenza: niente anticipo da parte turca, ma l’accesso al 90% dei proventi iniziali per coprire i costi di esplorazione. In cambio, la Turchia si impegna a difendere le coste somale e gli impianti che sorgeranno. Ankara si innesta strutturalmente nel corpo fragile dello Stato somalo ancora in frantumi. Pochi attori globali sarebbero disposti a mettere piede in un ginepraio con questo grado di esposizione. La Somalia, disgregata e vulnerabile, offre in cambio della protezione uno spazio di influenza. La posta in gioco è alta, ma i calcoli sono sul lungo termine. Una volta ammortizzati i costi, la parte di produzione destinata alla Somalia potrà salire fino al 70%. Per un paese privo di risorse fiscali strutturate, potrebbe essere l’inizio di una ricostruzione sostenuta. Sempre che la sicurezza tenga, e che il futuro non venga divorato, come spesso accade in Africa, da alleanze instabili e appetiti predatori.

Nel 2024, la Turchia ha anche giocato il ruolo di mediatore nel braccio di ferro tra Somalia ed Etiopia sul tema cruciale dell’accesso al mare. Un intervento non disinteressato, ma che mostra una Turchia pronta a porsi come ago della bilancia in una regione in cui l’Occidente ha smesso di credere. Ciò che prende forma è un modello alternativo: una matrice chiamata da alcuni Ankara Consensus, dove la cooperazione si basa su un baratto lucido di sicurezza, infrastrutture e riconoscimento politico. È un paradigma diverso da quello occidentale, più disinvolto nelle forme e meno condizionato dalla retorica dei diritti. La Somalia diventa così laboratorio e trampolino: uno spazio per proiettarsi non solo verso l’Oceano Indiano, ma verso l’Indo-Pacifico, con ambizioni che sanno di impero secolare rimodellato sulle crisi del presente. Ma Ankara non è Mosca e non è Pechino. È un membro della NATO che partecipa ai tavoli multilaterali, parla le lingue del diritto internazionale, seppure con accenti propri. Questo la rende, paradossalmente, un partner più digeribile per l’Europa. L’Italia, in particolare, intravede in questa assertività una possibile convergenza, tanto più nel quadro del Piano Mattei, dove l’Africa è al centro non per carità, ma per necessità.

L’Ankara Consensus è un segno che nel mondo multipolare in formazione, la stabilità non sarà più garantita dalle superpotenze, ma da potenze medie che scelgono di compromettersi. È un esperimento spigoloso di ordine post-imperiale, in un continente dove l’unico ordine noto finora è stato quello della violenza. Se la potenza media che spalancherà le proprie ali sul Mediterraneo sarà invece l’Italia, o l’ululato del lupo turco sarà udibile da ogni costa, questo è ancora presto per capirlo.

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