Il Tazebao – L’incontro annunciato tra Donald Trump e Vladimir Putin ad Anchorage – una base militare nel cuore dell’Alaska – è l’ultimo, drammatico fotogramma del pivot to Asia: Washington guarda al Pacifico e l’Europa scivola fuori dall’inquadratura. Il vertice del 15 agosto parla di Ucraina e di sfere d’influenza senza europei in regia. La scelta della base militare, con conferenza congiunta annunciata, ribadisce una trattativa che si svolge fuori dai canali multilaterali classici.
Non è una parentesi trumpiana, la continuità è con un disegno iniziato da Obama: dal 2011 la rebalancing strategy ha dirottato attenzioni e risorse verso l’Indo-Pacifico. L’Alaska, porta artica e ponte asiatico, è quindi coerente: l’America tratta con Mosca pensando a Pechino. Agli europei resta spesso il ruolo di cassieri e capri espiatori di sanzioni, energia e armi. L’Europa non regge perché non è una. Da un lato i sovranisti, sabotatori dell’unità, inseguono il modello Meloni: bilateralismi secchi con Washington in cui il peso dell’asimmetria di forze è legge e l’UE mera cornice. ‘Non fratturiamo l’Occidente’, ripetono mentre lo riducono a cocci nazionali. Dall’altro c’è l’eurocrazia pavida: parla di autonomia strategica ma calibra riarmo e indipendenza energetica su standard e direttive d’oltreoceano, aspettando il ritorno del “vecchio paradigma”. Eppure l’UE ha varato una strategia industriale della difesa e ha accelerato sul disaccoppiamento energetico da Mosca, tra progressi e ricadute.
La nuova Jalta di Trump – grande scambio sopra la testa dell’Europa – regge solo se gli europei restano immobili. La Russia guadagnerebbe di più da un’intesa con un’Europa autonoma e prospera nei mercati, nella tecnologia e nella sicurezza. Gli Stati Uniti conoscono il rischio di un’Unione capace di fare massa: non a caso l’euro è l’unica valuta con peso globale in grado di erodere quote al dollaro; le riserve in USD scendono, quelle in euro tornano a salire, e in Europa si discute di più asset “sicuri”. La sfida all’ordine del petrodollaro ha spesso guardato all’euro: nel 2000 Baghdad ottenne di prezzare il petrolio in euro; sul “dinaro d’oro” di Gheddafi, invece, va ricordato che la Libia valutò anche l’uso dell’euro e ne accumulò svariate riserve. La morale è che la leva europea esiste, se l’Europa decide di esistere.
Serve dunque che Mosca ricordi l’inaffidabilità americana e guardi a ovest, non all’Occidente che è una costruzione esclusiva verso gli europei, che li guarda come deplorevoli sin dai tempi di Monroe (e parlare di Europa occidentale, dunque, ha lo stesso sapore di Africa francese, occidentale non come coordinata geografica ma come aggettivazione dell’occupante), bensì all’Europa, che ha una propria realizzazione dentro e fuori l’Occidente. Serve ovvero che l’UE smetta la sudditanza. Solo con una catarsi delle classi dirigenti europee in grado di offrire alla Russia una progettualità alternativa può sgonfiare la scenografia di una Nuova Jalta e neutralizzare il daziatore alla Casa Bianca. Il resto è rumore di fondo. Una pace decisa altrove, per l’Europa, si traduce in cambiali politiche e industriali da onorare per anni.
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