L’Occhio del Falco: “Basta dipendere dall’esterno per la difesa”

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Il TazebaoC’è un’Europa che muore e un’altra che fatica a nascere, riadattare i motti di ieri è oggi necessario in un’epoca di trasformazioni epocali. Una quiete illusoria avvolge il continente europeo. Sotto la superficie di apparente stabilità si cela un sistema difensivo fragile, incapace di affrontare le sfide di un panorama geopolitico in rapida trasformazione. Al centro di questa vulnerabilità si trova l’Italia, emblema di un’Europa che per troppo tempo ha sacrificato la propria sicurezza sull’altare dell’austerità fiscale.

Il dramma della situazione militare italiana è arcinoto, dichiarava in tempi non sospetti l’Ammiraglio Cavo Dragone: “Siamo assolutamente sottodimensionati”, una penuria di personale effettivo nata dalle politiche di austerità dell’era Monti. Non da analisti, ma da vertici militari arriva la fredda diagnosi: l’Italia possiede arsenali ridotti, tecnologie obsolescenti e filiere logistiche inadeguate per operazioni prolungate senza supporto esterno.

Tale debolezza non è casuale, è conseguenza di precise scelte politiche. Il paradigma economico europeo ha, fino ad oggi, ritenuto improponibile una centralità della spesa militare, vista come un lusso incompatibile con il rigore fiscale di Bruxelles. Per decenni l’Europa ha privilegiato il dogma dell’equilibrio di bilancio, sacrificando investimenti strategici in nome dei parametri di Maastricht. L’Italia già gravata da un elevato debito pubblico ha dovuto demolire interi settori d’investimento statale, dalla Difesa alla ricerca. Il risultato è stato duplice: un’Europa militarmente vulnerabile e un crescente malcontento sociale per anni di stagnazione economica e deterioramento dei servizi.

Dalle ceneri di questo sistema fallimentare potrebbe nascere una nuova visione continentale: più autonoma, coesa e fondata su un rinnovato intervento pubblico strategico. L’obiettivo è che l’Europa prenda finalmente in mano il proprio destino, liberandosi dalla dipendenza dagli Stati Uniti e dai condizionamenti di mercati globali instabili. In concreto, ciò significa investire in infrastrutture moderne, tecnologie emergenti, filiere industriali vitali (prima fra tutte quella dei semiconduttori) e nell’industria della Difesa continentale. Ciò implica privilegiare sistemi d’arma progettati e costruiti in Europa, sviluppare tecnologie chiave internamente e rendere le forze armate in grado di operare congiuntamente. Esempi concreti sono il consorzio italo-britannico-giapponese per il futuro caccia Tempest, o la cooperazione franco-tedesca sui nuovi mezzi corazzati. Progettare, produrre, addestrarsi insieme: su questa triade si può costruire una difesa credibile, senza escludere partner esterni ma senza dipenderne vitalmente.

Sopravvivere nel ventunesimo secolo richiede il grande spazio, non esistono pretese di sovranità che tengano, grava ancora la constatazione del secolo scorso: “L’Italia non ha il carbone”. Costruire il grande spazio oggi è la sfida del secolo: da un lato c’è il gigante europeo in agonia, una costruzione post-1945 che implode nella propria inconsistenza. Dall’altro però, si schiudono le frontiere del potenziale, contro le anime belle pacefondaie, contro chi da un secolo si barcamena per cambiare un padrone con un altro, è possibile – nonché vitale – costruire il nuovo modello. Un modello fondato sulla spesa pubblica, sulla partecipazione statale, sul riarmo attento alle esigenze nazionali e libero dagli spauracchi del debito, se l’Europa vuole ripensarsi potenza, deve camminare questa strada, o non camminerà mai più.

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