Il Tazebao – A vacanze finite, i treni tornano (o, meglio, continuano) ad accumulare ritardi sempre più gravi. Ieri sulla Roma-Firenze un guasto tecnico tra Valdarno e Arezzo, un punto dei più problematici, ha portato a dilazioni fino a oltre 50 minuti, arrivando persino a due ore da Roma Termini: già 104 i casi di forti rallentamenti e sospensioni della circolazione ferroviaria dall’inizio dell’anno; l’AD, anziché assumersi la responsabilità di quanto accaduto, scusarsi umilmente per non essere stato in grado di servire al meglio i cittadini, punire i responsabili delle negligenze e adoperarsi assieme al Ministero dei Trasporti per una modernizzazione delle linee ferroviarie nazionali come alternativa all’offerta delle sue dimissioni, ha cercato di giustificarsi e minimizzare il danno, sostenendo che «i disagi di mille persone non sono un disastro» (evidentemente perché, buon per lui, non gli è mai capitato di essere tra quelle mille) rispetto ai due milioni e mezzo che Trenitalia asserisce di spostare ogni anno. A ulteriore riprova di quanto, nella nostra cosiddetta democrazia, il “dèmos” non conti nulla, il Fatto Quotidiano ha riportato le vicende di una studentessa-lavoratrice part-time fiorentina licenziata a novembre per i troppi ritardi accumulati a causa dei disservizi dei treni e reintegrata soltanto ieri, col pagamento dovutole dei due mesi di disoccupazione imposta. Vediamo dunque come l’inefficienza sempre più totalizzante e pervasiva di qualsiasi servizio in Italia si ripercuote sempre più direttamente e frequentemente sulla vita e sui diritti del cittadino, soprattutto laddove quello al lavoro si trova progressivamente al centro degli attacchi sia dell’incedere della crisi economica (calano produttività e salari e aumentano le ore, ma con contratti sempre più precari, opportunità lavorative sempre meno frequenti e senza ricambio generazionale) che della narrazione mediatica dominante, tipica del capitalismo moderno, in cui si esaltano l’ozio e il parassitismo e si promettono guadagni facili con minimo o nessuno sforzo. (JC)
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