La cooperazione italiana riveste un ruolo chiave negli incentivi allo sviluppo e nella ricostruzione del tessuto sociale del Libano in crisi
Il Sussidiario – Tra Italia e Libano esiste un legame profondo che affonda in secoli di rapporti commerciali e soprattutto culturali. Anche dopo i regni crociati – ci fu la Signoria di Gibelletto retta dai genovesi – i contatti rimasero stabili. Tra i più solidi quelli tra l’emiro druso Fakhr al-Din, ricordato per essere il primo a unificare il Libano, e il Granducato di Toscana nel corso del Seicento; l’emiro fu per un periodo esiliato proprio in Toscana e lì tenne un interessante diario in cui annotò le meraviglie italiane. Negli anni più recenti, dopo l’indipendenza del Libano, che comunque ha vissuto un processo di “occidentalizzazione” e che quindi è legato alla cultura europea, l’Italia non ha mai abbandonato il Paese. Nemmeno nei frangenti più complessi, come durante gli anni 80, grazie all’impegno di Craxi, Andreotti e Spadolini.
Oggi, oltre al contingente Unifil posizionato in quello che rimane un versante critico, l’Italia è operativa e presente soprattutto con la cooperazione che sostiene concretamente un Paese fragile e diviso. L’impatto è tangibile e molto apprezzato dalla popolazione locale. C’è una continuità nell’impegno italiano in Libano che è stata rimarcata e rilanciata anche dal ministro degli Esteri Tajani nel corso della sua ultima visita.
In questa cornice, risulta particolarmente incisivo il lavoro del Ciheam di Bari, vero e proprio fiore all’occhiello della cooperazione italiana. Il Ciheam è un organismo intergovernativo fondato nel 1962 a cui aderiscono 13 Paesi rivieraschi e nasce in quella temperie di rinnovati rapporti mediterranei di cui l’Italia, soprattutto grazie ad Aldo Moro, fu protagonista e promotrice.
L’Istituto di Bari – è una delle sedi insieme a Chania, Saragozza e Montpellier – opera in settori strategici, grazie alle molte competenze tecnico-scientifiche di cui dispone, per lo sviluppo e l’ambiente: la pesca nel rispetto delle risorse ittiche del mare, la tutela e la promozione dell’olio del Libano, il restauro delle infrastrutture idriche e di ingegneria idraulica, fondamentali in assenza di una rete pubblica efficiente, e in generale il sostegno alle aree rurali e all’agricoltura, settore nel quale è impiegato oltre il 20% della popolazione. Il Ciheam di Bari, come ogni anno, sarà presente al Meeting di Rimini (per esempio al panel sulle “comuni sfide con l’Africa”).
Intorno a questi progetti, si è sviluppata una fitta serie di iniziative di rilievo come il mercato settimanale Via Appia a Byblos, a cui partecipano cento tra piccole imprese e artisti. Il nome riprende quello dell’antica strada romana che connetteva Byblos a Palmyra passando per Baalbek, ma anche quello della via che connetteva Roma con Brundisium e che ha contribuito a rendere la Puglia una porta verso l’Oriente. Via Appia ha sede nel centro Unesco e nasce, anche con il sostegno della cooperazione e del Festival di Byblos, per sostenere l’artigianato locale e le imprese rurali, per la difesa di una identità agroalimentare mediterranea. Sempre con il contributo della cooperazione italiana è nata “The Lebanese village”, cooperativa che offre lavoro a molte donne del territorio (sono il 60% dei dipendenti) e permette di preservare quei prodotti locali che altrimenti scomparirebbero nell’omologazione globale.
Infine, la cooperazione italiana contribuisce alla ricerca scientifica e nella tutela della biosfera mediterranea a partire dal fondale marino. Perché, insomma, la ricchezza del Libano non è solo nei giacimenti di gas. A questo contribuisce il battello Qana donato nel 2009 dalla cooperazione, con il contributo di FederPesca e sempre del Ciheam di Bari. Un mare condiviso e da tutelare congiuntamente, tra una sponda e l’altra. Buone pratiche, in linea con la necessità di gestire con oculatezza le risorse, per la stabilizzazione locale.
Un modello di convivenza che resiste e che getta le basi per una prospettiva di concordia e pace.
Tuttavia, la tensione nel Paese è tornata a livelli di allerta e ogni incidente rischia di innescare uno scontro più ampio. Nei giorni scorsi, un camion si è ribaltato a Kahaleh, ne è nato uno scontro a fuoco tra i residenti cristiani e i miliziani in cui è rimasto ucciso Fadi Bejjani; non è casuale che quel camion transitasse proprio da lì essendo quello un punto di passaggio tra la valle della Bekaa, roccaforte sciita, e Beirut. Poco prima, Elias Hasrouni, membro delle Forze libanesi, è stato ucciso in un villaggio cristiano, Ain Ebel, nel Sud del Paese, zona a netta prevalenza sciita. Eppure, c’è chi continua ogni giorno e dal basso a provare a scrivere un’altra storia, cooperando.