A colloquio con la Professoressa Valeria Giannotta dell’Università dell’Aeronautica di Ankara.
Italia-Turchia. Non è solo la partita che apre l’Europeo, tra una Turchia che vanta ormai stabilmente vere e proprie colonie nei campionati europei e tanti campioni, e un’Italia ammaccata, reduce da anni di crisi, che cerca il rilancio e perché no l’impresa. Italia e Turchia, l’una ritrosamente europea perché saldamente mediterranea, l’altra divisa tra identità europea ed asiatica. I rapporti tra i due sono da sempre forti, consolidati, ma anche complessi. Rapporti che, nei mesi scorsi, hanno toccato il loro minimo storico. Il gancio pallonaro con la partita di stasera ci offre la possibilità di entrare nel profondo nei rapporti tra Turchia e Italia. Ne parliamo con la Professoressa dell’Università dell’Aeronautica di Ankara Valeria Giannotta, che ringraziamo sentitamente per la disponibilità e l’attenzione.
Uscita da più parti sconsiderata quella di Draghi, che sicuramente ha prodotto delle ripercussioni pesanti. A che punto sono le relazioni tra i paesi?
“Italia e Turchia si considerano molto più che semplici amici. Anche per questo l’affondo di Draghi è stato un fulmine a ciel sereno per tutti, diplomatici e addetti ai lavori compresi. La Turchia vive un periodo di rinnovato attivismo e spesso viene dipinta come in costante rotta di collisione con l’Europa, eppure gli elementi di convergenza e collaborazione sono molto maggiori dei motivi di conflitto. Prima di quelle dichiarazioni erano stati definiti nuovi obiettivi commerciali volti ad aumentare il volume degli scambi. Nel 2019 erano stati 20.000 miliardi di dollari, ci si era preposti di arrivare ai 30.000 miliardi. L’Italia è il secondo partner commerciale dopo la Germania, il quinto su scala globale. Proprio per questo l’uscita di Draghi è stata estemporanea forse perché dettata da calcoli sbagliati. Sicuramente non era quella la sede. Ricordiamo sempre che in Turchia ci sono circa 1500 aziende italiane, tra cui Barilla, Ferrero, FIAT e Leonardo che possono risentire negativamente di uscite così a gamba tesa. Dalla sponda turca Erdogan è rimasto in silenzio e ha atteso dieci giorni prima di replicare che lui è stato eletto; inoltre, ricordiamo che le maggiori città del paese sono governate dall’opposizione. Quanto al “sofagate” l’errore, come emerso successivamente, è stato europeo. Adesso tra Italia e Turchia c’è una fredda cordialità. I turchi si aspettano delle scuse, che, nonostante le pressioni che ci sono state, anche dall’interno dell’Italia, non arriveranno. Ci aspettava un Erdogan a Roma per la partita e non ci sarà. Aspettiamo il prossimo vertice europeo per vedere se ci sarà un disgelo”.
Nella diffidenza e molto spesso nell’aperta ostilità verso la Turchia influisce il rinnovato attivismo in politica estera.
“Erdogan ha voluto ricostruire un ruolo in politica estera partendo dai paesi dove ci sono delle basi, culturali ancorché politiche. E si parte, sempre, dall’eredità ottomana che è comunque ancora viva e radicata nei popoli. La Turchia viene accettata e percepita come affine in Nord Africa, Medioriente e Africa, mai come un attore coloniale. I turchi possono dialogare con più facilità con i locali. A questo si associa una politica di scambia universitari e accademici che ho potuto apprezzare direttamente. Io ho studenti africani che frequentano le università grazie alle borse di studio del governo turco. Quando sono arrivata in Turchia non ce ne erano, oggi sono molti e favoriscono le relazioni. Queste sinergie sono indispensabili per il nuovo ruolo strategico che la Turchia vuole giocare”.
Abbiamo citato il disegno neo-ottomano di Erdogan. Possiamo dire che se non tutti almeno larga parte dei problemi del Medioriente derivino dalla dissoluzione dell’Impero Ottomano. In tal senso non ci mancano le colpe.
“Per limitarsi ai soli curdi, questione molto complessa, i problemi cominciano con la fine della Prima Guerra Mondiale e quindi con la creazione a tavolino degli stati che prima non esistevano. I Turchi sono molto ancora traumatizzati – è passato appena un secolo – dalla disgregazione dell’Impero e sono preoccupati dall’ombra di chi vuole scomporre la nazione turca. Non a caso l’unità della nazione è il mantra dell’Erdogan della seconda maniera. Eppure, la Turchia, se ci pensiamo, grazie ad Ataturk, è il paese della regione che maggiormente si avvicina all’Occidente. Quello di Ataturk, un leader in tutto e per tutto di stampo occidentale, è stato un processo di state building coerente e di successo. In più, vorrei ricordare che la Turchia è calata in una regione profondamente travagliata: tutti i vicini versano in condizioni, momentanee o spesso ultradecennali, di crisi. Anche per questo la politica estera non è mai criticata internamente, nemmeno quella di Erdogan”.
Uno dei paesi dove la Turchia è tornata è la Libia, poco dopo averla persa un secolo prima. Nel frattempo, l’Italia, apprezzata dai libici e fortemente interessata, latita…
“Italia e Turchia supportano lo stesso governo in Libia e spesso hanno interessi affini mentre la Francia sta abbandonando Haftar. Nella prossima conferenza di Berlino Ankara avrà un ruolo pesante e riconosciuto che prima non aveva. La Turchia ha interessi precisi ed è stata determinante nel cessate il fuoco. In questo Mediterraneo così allargato, dove le acque territoriali sono delimitate e ristrette per via della triangolazione Grecia, Turchia, Israele, era determinante una testa di ponte nel Mediterraneo, che la Turchia ha trovato in Libia. La Turchia è tornata. Gli investimenti economici erano sempre molti in Libia, ben prima delle primavere arabe, e adesso si punta anche ad aprire un centro di logistica in Libia. Gli interessi in politica estera tra Turchia e Italia non configgono anche quando si parla di politica estera l’Italia…”
A fronte di questa nuova Turchia, all’interno del paese prevalgono le spinte conservatrice, se vogliamo dire, “anatoliche”.
“Ci troviamo all’interno di un sistema presidenziale che ha sperimentato un forte accentramento intorno ad Erdogan. Il presidente ha riscoperto la sua identità politica preesistente rispetto all’AKP, una sintesi islamico-nazionalista. Adesso, infatti, il partito di Erdogan è sempre più conservatore del passato. A livello di sondaggi, l’AKP, anche saldato con i nazionalisti non avrebbe la maggioranza, eppure, mentre il supporto verso Erdogan si assottiglia dentro e fuori l’AKP, l’opposizione non guadagna terreno. Cresce invece la polarizzazione: tutti contro Erdogan, dentro il partito di Erdogan e fuori. La conflittualità dentro l’AKP è in costante aumento”.
Anche per questa trasformazione di Erdogan e del suo partito non sembra esserci più spazio per una Turchia in Europa.
“Seppur a malincuore escludo che ci siano delle possibilità reali. L’adesione è oramai una strada chiusa. Già nel 2005 era chiaro che ci fossero dei problemi insormontabili. I problemi erano e sono relativi a Cipro, che era, per altro, entrata poco prima in Europa. La grande miopia dell’Europa è stata prendere un membro con un grave problema al suo interno. L’incomunicabilità tra Turchia e greco-ciprioti ha bloccato il processo. In più, nel 2005 non c’erano i problemi che ci sono oggi. Erdogan veniva presentato diversamente all’opinione pubblica, l’economia non era in crisi come oggi. I problemi sono gli stessi di allora, aggravati dalla crisi. Senza dimenticare il deterioramento dei diritti in Turchia che preoccupa gli attori europei. La scelta è di non procedere al negoziato. L’unica via percorribile rimane quella di una collaborazione, più o meno strutturata e stretta, come nel caso dei migranti. Anche se in questo caso la Turchia, che pur ha fatto richiesta di aderire, tale non viene considerata…”
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